mercoledì 4 ottobre 2006

Serve una scomunica?

Il Vaticano, comunicando che la legge ecclesiastica ha comminato la suprema sanzione espulsiva a monsignor Milingo, sa bene che non ha risolto nessun problema.

Milingo, questo vecchio e notissimo vescovo africano, non è affatto un rivoluzionario. La sua teologia e la sua pratica pastorale sono addirittura molto tradizionali. Talune sue celebrazioni, che danno grande risalto ad esorcismi e guarigioni, forse comprensibili nel contesto africano, in Europa e negli USA hanno accentuato la dimensione dello spettacolo e della superstizione. Di lui ho diffusamente scritto in uno dei miei recenti libri “L’ultima ruota del carro” senza molta simpatia.

La tempesta vaticana lo investì quasi sei anni fa quando decise di sposarsi con Maria Sung, una agopunturista coreana. In quegli anni fui affettuosamente vicino a questa donna che mi incontrò a Roma e venne a trovarmi a Pinerolo. Quando Milingo sotto pesanti pressioni vaticane si dileguò, Maria Sung fu gravemente offesa nella sua dignità e nei suoi sentimenti.

La ricordo bene, seduta nel mio studio, assolutamente sicura dei suoi sentimenti e dell’amore di suo marito: “Devono lasciarmelo incontrare. Nessuno mi convincerà del fatto che mio marito Milingo mi abbia dimenticata. Voglio sentirlo dire da lui, non da un vescovo di curia. Voglio poterlo incontrare e, se lui deciderà di lasciarmi, prenderò atto della sua decisione...”. Non potei esserle di molto aiuto perché quel prelato vaticano omosessuale che mi aveva fornito riservatamente alcune notizie, forse per paura di essere messo nei guai, non si fece più vivo con me.

In tutta la vicenda di Milingo, in realtà l’istituzione ecclesiastica si comportò come se questa donna non esistesse. Lidia Ravera, intervenendo in quei giorni su un quotidiano scriveva:

“Si può provare una istintiva simpatia per quella cicciotella determinata quanto facile alle lacrime che è la signora Milingo, si può trovare bizzarra la sua scelta di sposare un vescovo esorcista dall’ambigua collocazione ideale (è un servitore di Dio? un venditore di fede? un mercante in magie?), si può sospettare di scempiaggine tutta quanta la setta di Moon (vi ricordate la parodia de “L’ottavo nano”? “Trova Dio prima che Dio trovi te”).

Eppure viene voglia di spendere una parola in suo favore. Non è la solita tiritera femminista che dietro ogni donna abbandonata vede una sorta di agnello sacrificale da sistemare in testa al corteo per contestare le soverchierie del fallo. E di meno, ma anche di più. E che, soprattutto in questo caso, è difficile capire le ragioni del Papa, Giovanni Paolo Secondo, e della schiera dei vescovi e cardinali che si muove ai suoi ordini: Non è questione di essere o non essere laici. E’ questione di essere o non essere donne.

Il Papa, nonostante alcune esternazioni “moderne” che anche noi siamo fìglie di Dio, che l’anima in effetti l’abbiamo e, nei casi più gravi, anche il cervello, che andiamo onorate nel nome della Madonna e accolte nel regno dei Cieli, non perde occasione per dimostrare la sua totale (forse inconscia, ma non per questo meno insopportabile) assenza di riguardi nei confronti delle femmine della specie.

L’atteggiamento del Vaticano versus Maria Sung maritata Milingo è, a dir poco, crudele: nasconde suo marito, gli impone di sottoscrivere la frase “nel nome di Gesù ritorno nella chiesa cattolica”, si disinteressa dei sentimenti della ripudiata.

Maria Sung, caro Santopadre e Padresanto, pur essendo donna, il che costituisce, da Eva in poi, una discreta aggravante, è pur sempre un essere umano. Nessuno si è chiesto, nelle sontuose stanze del Vaticano, che cosa prova in questo momento? Fosse anche una povera pazza resta il fatto che si era appena sposata, aveva scelto un compagno, aveva stretto un legame, ci contava. Metti che fosse innamorata.

Succede anche alle settarie della “luna” (moon); metti che sia davvero incinta, non vorrà mica farla abortire perché ha sottratto alla Chiesa lo sperma di un vescovo, proprio lei, Sua Santità, che negò l’interruzione di gravidanza perfino alle vittime dello stupro etnico? Certo che no! D’accordo: allora parliamo di quell’eventuale bambino, a cui viene negato il padre perché deve eseguire il rito del “ritorno nella Chiesa cattolica”.

Dovè è finito il presepe, papà mamma piccino, con cui bollate gli umani fallibili divorziandi o separati da secoli? E l’indissolubilità del legame? Non c’è più, perché i due si sono sposati a modo loro? Ma lo vede allora, Santo Padre, che voi sovrapponete le regole alle persone? Voi non amate, davvero, l’umanità: Voi la ordinate secondo un corpus di norme, un codice dei codici morali e li amate in base al loro tasso di adeguamento allo schema. La compassione è una forma di amore più grandioso, più generoso, meno presuntuoso.

Un padre santo e compassionevole, non avrebbe sopportato le lacrime di quella povera donna, per settaria e fanatica che fosse, le avrebbe personalmente asciugate con un lembo della sublime veste e poi l’avrebbe invitata nelle segrete stanze del castello papale, sala udienze e suppliche, e avrebbe discusso con lei, anche con lei, anche se è una donna, della strana situazione in cui il vescovo suo marito si è andato a cacciare.

Forse l’avrebbe convinta a ritirarsi e sposare un bravo barbiere, un dentista, un marinaio, un ginecologo (così si eviterebbe l’umorismo involontario di frasi come “E’ monsignor Milingo che conosce la data delle mie mestruazioni”). Forse sarebbe stata lei a convincere loro, il vescovo e il pontefice, delle ragioni dell’amore. E allora: uno si sarebbe “spretato” da solo, e l’altro avrebbe dovuto rinunciare ad ogni pretesa pretesca.

Forse le cose sarebbero andate come sono andate, male, fra intrighi e lettere ingessate.Ma almeno noi, tutte, non avremmo dovuto assistere, ancora una volta, a quel brutto spettacolo: una donna che si dispera. Fra i lazzi dei convenuti a guardare. Sola. Chiusa fuori dal Tempio” (L’Unità, 17 agosto 2001).

Il loro amore ha prevalso sui giochi di curia e i coniugi Milingo - Sung sono di nuovo insieme. Ora Milingo, questo vescovo esuberante, mai dimentico della sua Africa (dove molti sono i preti celibi padri di numerosa prole), ha abbracciato la causa dei preti che sono stati estromessi a causa del loro matrimonio.

Si può discutere, concordare o dissentire dalla decisione di Milingo di ordinare vescovi quattro preti sposati, ma la sua scelta va letta e forse può essere compresa all’interno di un itinerario ben documentato.

Da anni le associazioni dei preti sposati chiedono al Vaticano di riesaminare la legge del celibato obbligatorio per i preti. Riconoscendo nel celibato un dono di Dio, si propone di riprendere la tradizione del primo millennio nel quale esso costituiva una scelta facoltativa. In sostanza si tratta, nella chiesa cattolica occidentale, di superare la presunta incompatibilità tra ministero e matrimonio.

Il vaticano, nonostante le pressioni ricevuta da numerosi cardinali e vescovi, continua a chiudere le porte con un diniego privo di convincenti motivazioni bibliche, teologiche e pastorali. Così una tradizione del secondo millennio è diventata intangibile.

Tutti conosciamo i guai che derivano da questa legge ecclesiastica assurda, disumana, oppressiva. Monsignor Milingo e Maria Sung hanno deciso di rompere gli indugi e di farsi carico della buona causa di questi preti e di questi amori con una vera e propria “forzatura”.

La scomunica è un altro passo falso del Vaticano (che si sta specializzando in colpi di testa piuttosto autolesivi) e ribadisce pubblicamente un ostinato rifiuto del dialogo.

In realtà, sotto sotto, il Vaticano sta facendo ponti d’oro a Milingo perché migliaia di preti e centinaia di vescovi sono d’accordo con lui. E’ in atto (per chi come me ha informazioni precise) una trattativa serrata anche perché in Africa, dove Milingo e Maria Sung intendono ritornare, il celibato obbligatorio è una leggenda e altrove molto spesso è una ipocrisia o un tormento, proprio perché non è scelto, ma imposto.

Non credo che i problemi della testimonianza cristiana si risolvano d’incanto abolendo il celibato obbligatorio dei preti, ma ogni volta che si rompe uno degli anelli della “disumanità” ecclesiastica, si compie, a mio avviso, un passo di avvicinamento al vangelo di Gesù di Nazareth.

Nella mia chiesa sento spesso mancare quell’umanità senza la quale tutti i più alati discorsi teologici diventano evasivi e ambigui, destituiti di ogni credibilità. E’ pur vero che alla enorme crisi numerica del clero si sopperisce con migliaia di preti stranieri e con una accoglienza priva di selezione, ma i problemi dilazionati nel tempo possono ulteriormente aggravarsi.

Con grande coraggio il cardinale Poletto, arcivescovo di Torino, in un contesto in cui molti soggetti cercano nella veste talare una scorciatoia per risolvere i loro problemi psicologici e di inserimento nella società, ha gettato l’allarme: “Dobbiamo proprio pensare che il seminario diventi una clinica?” (La Repubblica, 29 settembre 2006, pag. 37).

Molti fattori possono sollecitare un ripensamento anche perché ministri amorosamente realizzati probabilmente costituirebbero un primo passo verso l’ordinazione delle donne. Che sia questa “previsione” a terrorizzare e a paralizzare le gerarchie vaticane?

Intanto attorno all’iniziativa di Monsignor Milingo e dei nuovi quattro vescovi, validamente ordinati secondo la dottrina cattolica ufficiale, molte associazioni di preti sposati si stanno mobilitando. Il dialogo si sta surriscaldando. Il che può essere un gran bene, in questo lungo e gelido inverno della chiesa cattolica.

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