mercoledì 25 giugno 2008

CONTRADDIZIONE E BENEDIZIONE

Commento alla lettura biblica - domenica 29 giugno 2008

Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Matteo 16, 13-23).



In genere questa espressiva pagina del Vangelo di Matteo, almeno nei primi versetti, trova una eco in Marco 8 e Luca 9. Gesù vuole sapere che cosa si pensi di lui.


Ed allora molti dei commentatori pongono l'accento e sottolineano la risposta di Pietro per poi scivolare, falsificando il testo e dimenticando il contesto, nell'elogio del papato!!

Umorismo della teologia imperiale...

Rispettiamo il testo e non dimentichiamo che Gesù pone una domanda. Non è affatto strano e fuorviante supporre che il nazareno, mentre il suo messaggio incontrava scarsa accoglienza e crescente opposizione, volesse confrontarsi con i suoi discepoli e sapere da loro come fosse percepita la sua testimonianza.

Ma perchè non pensare che Gesù avesse bisogno anch'egli del confronto, del sostegno dei suoi amici per capire se non era fuori strada?

Noi siamo stati abituati ad un Gesù sempre sicuro, pimpante, divino, inossidabile. Qui il Vangelo ci presenta un Gesù bisognoso di rassicurazione, di sostegno.

Per dirla in una parola: un Gesù che ha anche lui bisogno degli altri per capire e percorrere la sua strada. Chissà quante volte Gesù nel dialogo con se stesso e nella preghiera al Padre si sarà interrogato sul suo percorso, sulla sua fedeltà ai poveri, agli ultimi, a Dio.

Questa dimensione della piena umanità e della fragilità del nazareno è straordinariamente stimolante per la nostra vita quotidiana, ma completamente occultata dalla predicazione e dalla catechesi.

La fede di Pietro

E' bello lo slancio sincero di Pietro e l'espressione benedicente di Gesù.

La Bibbia è piena di queste locuzioni enfatiche, promissorie, solenni. Ad Abramo viene promesso di diventare il tramite della benedizione per tutti i popoli, con una discendenza più numerosa della polvere della terra (Genesi 1, 2-13); a Davide viene promesso un regno eterno... .

Questi linguaggi biblici sono il segno della benevolenza incommensurabile e senza pari di Dio che accompagna nell'adempimento di una missione, nell'affrontare il cammino della vita.

La "comunità" di Matteo non sa nulla del papato, questa deviazione che arriverà secoli dopo attraverso una costruzione di stampo imperiale.

Invece ad Antiochia, dove probabilmente questo vangelo venne redatto, si conservava memoria del fatto che era stato Pietro a suggerire la strada "liberatoria" (ecco sciogliere e legare), in un momento di altissima tensione tra i "partigiani di Giacomo" e i "partigiani di Paolo", più aperto ai cosiddetti incirconcisi.

Era stato l'insegnamento accogliente di Pietro che aveva fatto della comunità una "casa degli uni e degli altri", che aveva così permesso il proseguimento dell'esperienza comunitaria.

A Pietro, scrisse Matteo, Gesù stesso aveva riconosciuto questa fede saggia ed accogliente come dono particolare di Dio.

La comunità di Matteo riconosce nella indicazione di Pietro un segnale "rivelato" da Dio stesso, non un espediente tattico umano.

Ma, tessuto questo straordinario elogio della fede e dell'insegnamento di Pietro, pochi versetti dopo lo stesso discepolo viene chiamato Satana e gli viene intimato di passare dietro, di allontanarsi, come "un ostacolo, come uno che non ha il senso delle cose di Dio".

Le contraddizioni di Pietro e le nostre

Dimentichiamo quell'oscenità che è il papato romano, quella montatura blasfema che viene gabbata come risalente a Gesù, quella direzione generale degli affari ecclesiastici e quell'imprenditore del sacro truffaldino che è il pontificato romano.

Pietro è altro: è quel pescatore che si mette al seguito di Gesù con tanta passione ed altrettanta fragilità. I vangeli a più riprese ci ricordano sia l'una che l'altra. Matteo e Marco lo chiamano addirittura Satana.

Pietro esprime in sè la figura del discepolo. Come facciamo noi, gente debole e fragile, a proseguire il cammino di Gesù? Non ci è richiesta nè la perfezione nè il superamento della nostra fragilità.

Pietro come tutti i discepoli, come ciascuno/a di noi, vive i tempi della fede e i giorni di Satana, immagine dell'infedeltà. Siamo, come Pietro, uomini e donne segnati dalle contraddizioni. Nessuno di noi ne è esente.

Dircelo, riconoscerlo, dare un nome alle nostre personali e comunitarie ambiguità può diventare il primo passo per muoverci verso la conversione.

E' relativamente facile parlare contro la chiesa del potere e del denaro; è più difficile cercare ogni giorno di convertirci ad una vita sobria. E' facile parlare di impegno, di libertà dalle idolatrie quotidiane; è altra cosa vivere la nostra esistenza quotidiana uscendo dai nostri egoismi e dalle nostre pigrizie.

Lo possiamo constatare anche nelle nostre comunità. Spesso proprio chi rimprovera gli altri di scarsa partecipazione... non lo vedi mai ai momenti fondanti della lettura biblica e dell'eucarestia. Oppure spesso noi che facciamo grandi discorsi, di amore, di solidarietà, di relazioni costruttive... abbiamo tanti tratti di meschinità, di piccineria... .

Se parto da me che spesso celebro l'elogio del riposo sabbatico, noto una mia mai guarita contraddizione: il sabato e la domenica ho impegni come tutti gli altri giorni della settimana, e spesso ancora di più.

La lettura biblica ed il confronto comunitario mi servono a prendere atto che le contraddizioni e le incoerenze non sono affatto tutte fuori di me. Potrò continuare a denunciare quelle che rilevo all'esterno solo se riconosco le mie.

E riconoscerle non è tutto perchè poi è necessario mettere mano e cuore alla mia personale conversione.

Ma c'è un oltre

Gesù annuncia che, nonostante le nostre incoerenze, fragilità e contraddizioni, Dio mantiene la sua fiducia nei nostri riguardi. La Sua magnanimità non è la conseguenza della nostra virtù.

Già ai tempi di Matteo era difficile perseverare nel cammino del profeta nazareno. Come potevano avere fiducia questi quattro gatti che oggi chiamiamo un pò ampollosamente "la comunità di Matteo"?

Gesù, come l'evangelista ribadirà ai versetti 18-20 del capitolo 18, aveva trasmesso ai suoi discepoli il messaggio della straripante fiducia di Dio: "per quanto siate pochi e deboli, per quanto siate segnati dalla contraddizione, Dio accompagnerà con il Suo amore ciò che voi "legate e sciogliete", quello che cercherete di fare".

Nessun conferimento di poteri, ma una straordinaria promessa. E' parte costitutiva della nostra fede, l'impegno di alimentare la nostra fiducia in Dio, ma è ancor più necessario che ci ricordiamo della fiducia che Dio nutre verso di noi.

E' il Suo amore che non arretra e non si ritira davanti ai nostri limiti, errori, voltafaccia e irriga i sentieri del nostro cuore sospingendoci fiduciosi verso la vita, dentro la vita.

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