domenica 31 agosto 2008
IL VESCOVO DI PINEROLO NON SI PRESENTA
VA' OGGI NELLA VIGNA
sabato 30 agosto 2008
NOBILTA' D'ANIMO
Alla convention del Partito Democratico di Denver negli USA abbiamo assistito ad una convergenza di intenti, di animi e di progetti che davvero apre alla speranza.
L'IMBROGLIO
Vanno a ripescare Air France come azionista di minoranza. Non sai se sia più imbroglio, illusione, incompetenza, umorismo.
Ha ragione Veltroni: avremo un compagnia di bandierina.
Gli esuberi totali, quelli della compagnia e di Fiumicino, non sono ancora conteggiati.
Lo presentano come un trionfo, ma sarà una Alitalia in perdita, ben diversa dal progetto espansivo che il governo Prodi aveva messo a punto con Air France.
Siamo nell'Italia degli imbrogli.
ASSEMBLEA A PRALI
PERDERSI PER TROVARSI
Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno.Pietro, trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai». Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua? Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua (Matteo 16, 21-27).
Se si legge di seguito e con attenzione il capitolo 16 di Matteo si prova un certo brivido. Al versetto 17, Pietro viene dichiarato "Beato", ricolmo della benedizione di Dio e della promessa di Gesù; qui lo stesso discepolo viene definito "satana" e "scandalo"e pietra d'inciampo, ostacolo.
Sappiamo bene che i Vangeli sono testimonianze, non cronache o stenografie delle parole di Gesù, ma queste righe potrebbero in qualche modo essere la eco fedele di una contraddizione che il maestro di Nazareth evidenziò nella vita di questo discepolo appassionato. La tradizione che poi sfociò nel Vangelo di Matteo, in cui Pietro occupa un posto rilevante, sembra in realtà alludere ad ogni discepolo di cui Pietro è figura e rappresentate.
Quindi questo "oscillare" tra beatitudine e tradimento, che qui viene impersonato da Pietro, in realtà registra un percorso o almeno un rischio che accomuna un po' tutti nelle origine cristiane.
Leggendo oggi questa pagina non facciamo fatica a ritrovarci in essa, a vedere il "Pietro" che c'è in ciascuno/a di noi.
Questa è un'ammonizione preziosa per ogni generazione di cristiani: nessuno/a di noi, per quanto carico della benedizione di Dio, è mai garantito dal diventare "satana" e "scandalo". La strada di Gesù non è mai una via gloriosa e senza ostacoli.
Satana
Il diavolo non esiste, ma è una significativa figura biblica, un linguaggio che indica un "porsi contro", un essere contrario. Ebbene, che cosa oggi può rendere me e te "satana" rispetto alla proposta di Gesù?
Pietro sognava forse un sentiero di successo per Gesù e per il gruppo e non aveva ancora adeguatamente fatto i conti con la sordità e la cecità che attorniava il gruppo del maestro di Nazareth. Soprattutto - ecco il punto chiave di questa figura - Pietro non aveva ancora preso atto della "divisione" che c'era nel suo cuore. L'opposizione al vangelo non è solo qualcosa che troviamo massicciamente presente nel mondo, ma è una realtà che attraversa in profondità il mio cuore.
E' troppo semplice, anzi deviante, collocare l'opposizione al vangelo completamente fuori di noi. Ci vuole un bel pizzico di coraggio per riconoscere che anch'io "faccio resistenza", anch'io mi oppongo al vangelo, anch'io sono "il Pietro" destinatario di tanti doni di Dio, ma anche "il Pietro" che trova nella sua vita desideri, pensieri e comportamenti contrari alla strada di Gesù.
La violenza, l'indifferenza, l'egoismo, il narcisismo, la banalità, la superficialità … sono dei "satana" con cui debbo fare i conti ogni giorno in prima persona. Non solo, ma io sono anche "il Pietro" che è "di scandalo", cioè non dà una buona testimonianza e crea ostacoli e inciampo al cammino di fede di altri/e.
In questo modo il vangelo di Matteo, narrando di Pietro, parla di me, di te di ciascuno/a di noi, delle nostre chiese.
Se guardo al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione e a certi scenari religiosi, sia liturgici che mediatici, tutto è all'insegna della grandezza, dell'efficienza, della potenza. Dominano sfoggio e ostentazione. Troppo spesso, sotto un grande crocifisso, campeggia un altare più ricco di un trono imperiale con tante eminenze vestiti da paggi imperiali tra volute di incenso. Si tratta di uno "stile" che purtroppo impregna e offusca "satanicamente" il tessuto della nostra chiesa.
Prenda la sua croce
Ma allora, per non essere Satana e per non essere di "scandalo", che cosa devono fare i discepoli di ieri e di oggi?
L'indicazione perentoria di Gesù va colta nel suo significato profondo: rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguire Gesù. Tre punti di un programma poco allettante che spesso hanno fatto del cristianesimo una religione della negazione di sé, quasi dell'odio di sé, di una ascesi mortificante e umiliante ed hanno prodotto degli "eroi tristi e superbi", psicologicamente prigionieri delle loro pratiche virtuose.
Questo linguaggio paradossale del vangelo può dar luogo a grossolani fraintendimenti. Infatti il rinnegamento di cui parla Gesù non ha nulla in comune con un'abnegazione autodistruttiva. Si tratta piuttosto di cessare di mettere se stessi al centro di tutto, di collocare le esigenze del regno di Dio al primo posto, di coniugare e congiungere amore di sé e amore del prossimo.
In questa luce prendere la propria croce non è un invito a tuffarsi nelle sofferenze, a cercarle come se il cristiano esemplare fosse chi si crocifigge e si autoflagella. Sarebbe un terribile equivoco. Prendere la propria croce non significa riprendere la via di certa ascetica tradizionale, ma assumere le proprie responsabilità, le proprie decisioni perché la nostra vita non sia banale o non resti prigioniera degli idoli. Gesù non ci invita mai a disertare dalla vita, a fuggire dalla felicità autentica.
Egli piuttosto ci mette sull'avviso: se decidi di radicare la tua vita sulla strada dell'autenticità, della giustizia, della solidarietà … sappi che ti butteranno addosso la croce: non aspettarti il battimani.
Ma Gesù invita i discepoli alla consapevolezza che questa "croce" alla quale va incontro, questi sentieri, questi percorsi di vita quotidiana sono un perdere la propria vita per "ritrovarla" come esistenza densa, ricca di senso. La parola di Gesù è una sollecitazione a "prendere questa croce" senza lasciarci spaventare, vincendo la paura di andare verso il nulla.
"Mi segua": ecco l'ultima secca esortazione. La sequela di Gesù non è una calda ammirazione di un eroe e di un modello, ma la ricerca di orientare tutta la nostra esistenza nella direzione della sua vita nelle concrete scelte di ogni giorno.
Poi, come mi testimonia Paola in una densissima lettera, ci sono giorni in cui la malattia o la disoccupazione o la solitudine hanno il peso di una croce totalizzante, che toglie la stessa possibilità di aprire il cuore alla fiducia. Non è spenta in quest'ora la fede in Dio. Credere che Dio non ci abbandona mai, anche se siamo precipitati nella disperazione o nella abulia più totale, forse è tutto ciò che possiamo fare nella nostra condizione creaturale. Spesso la fede in un Dio che non interviene ci avvicina all'esperienza e al grido inascoltato eppure fidente di Gesù.
Perdere per trovare
Sono vecchio e una constatazione mi viene spontanea. Se negli anni della mia esistenza qualche volta ho saputo andare oltre il mio egoismo e perdere la mia vita e non l'ho tenuta avidamente per me, ebbene davvero l'ho trovata e ritrovata più genuina, più aperta, più felice, più feconda.
Gesù non fa promesse a vanvera. Vorrei prendere molto più sul serio questa promessa. Tanti uomini e tante donne oggi, in uno scenario nazionale e mondiale dominato da chi cerca pretesti per nuove guerre e fa politica per "allargare i propri granai", esperimentano che mettere a disposizione ciò che si è e ciò che si ha è l'unico modo per ritrovare il senso della propria vita.
Sempre di più, o Dio, la strada che Tu ci indichi al seguito di Gesù è di straordinaria attualità e fecondità. Senza il Tuo soffio vitale noi siamo tentati ogni giorno di annacquare il messaggio del vangelo.
venerdì 29 agosto 2008
OBAMA
HA GIA' SVOLTATO
Non ho inneggiato, in pieno accordo con Chiara Saraceno, alle posizioni di Famiglia Cristiana di due settimane fa. Com'era prevedibile, con la politica di un colpo al cerchio e uno alla botte, ora è ritornata al centro per criticare il Partito Democratico.
Nulla di strano in questo: lo facciamo in tanti. Ma questo tenersi le mani libere di Famiglia Cristiana (che tuonò contro la proposta dei DICO) è quel tipico genio funesto del cattolicesimo che poi finisce sempre in braccio al papa nella difesa dei "valori non negoziabili".
PASSERELLA
Al meeting di Comunione e Liberazione si sta concludendo la passerella di chiesa gerarchica, governo, fascisti: tutti in perfetto accordo tra di loro.
E' caduto il pudore ed è scomparsa la decenza: tutti vanno chiaramente e tranquillamente d'accordo e lo dicono senza mezzi termini al Paese che, purtroppo, segue distrattamente e si informa poco o nulla. Effettivamente tra il ritorno in pista di Air France e il rincaro della pasta il cittadino pensa di più alla seconda realtà
LE RESPONSABILITA' DELL'INDUISMO
Quello che succede in India costituisce una medaglia dalle mille sfaccettature, comprese le responsabilità dei missionari cattolici e cristiani, specialmente di quelli esclusivisti e fondamentalisti. Ma c'è dell'altro.
Federico Rampini, su Repubblica del 27 agosto compie una riflessione articolata alla quale qui non posso che accennare: La furia omicida contro le comunità cristiane nello Stato dell'Orissa rivela una feroce contraddizione in cui si dibatte oggi l'India. L'induismo è una delle religioni più praticate del mondo, con un miliardo di fedeli. E' anche l'unica importante religione che sancisce il principio di non eguaglianza degli esseri umani fin dalla nascita. La sopravvivenza delle caste è la ragione per cui il cristianesimo come anche l'islam e il buddismo continuano a reclutare nuovi adepti nei ceti più diseredati.
mercoledì 27 agosto 2008
REGISTRAZIONE DI UNA MIA CONVERSAZIONE SULLA LAICITA'
Partirei con alcuni punti intanto. Se uno riflette a partire dalle prime pagine della Bibbia, si trova di fronte ad un processo di desacralizzazione: sono le cosiddette pagine della creazione dei primi capitoli della Bibbia. Questo mi pare estremamente interessante. Perché? Perché nulla nel racconto biblico della creazione è divino, tutto è creaturale, e quindi: il sole viene "posto", la luna viene "collocata". Nulla è un’entità sacral-divina, tutto appartiene all’ambito della "terrestrità", della creaturalità. I racconti di creazione nella cultura ebraica, con tutto l’immaginario che essi hanno e tutto l’impianto letterario narrativo, che è assolutamente straordinario, sono caratterizzati dalla desacralizzazione. Tutto ciò che è creato lo è esattamente nella misura in cui non è divino. Tutto sta in relazione a Dio, ma nulla è divino. Questo è il messaggio. E’ un genere di una grandezza letteraria inimmaginabile. Quando dico che tutto sta in relazione non intendo dire: creazionismo, evoluzionismo, questi sono problemi della cultura successiva. I giorni Dio li ha fatti, e in questi giorni ha collocato il creato. Il creato è una realtà che ha avuto un "inizio da…", e quindi è una realtà non divina. Questo è assolutamente diverso da alcuni miti della fertilità. E’ assolutamente diverso da alcune culture babilonesi, anche se ha delle parentele linguistiche e anche immaginative.
La seconda cosa è che la terminologia "laico, laicità, laicismo" ha una parentela con il termine greco laos, popolo, quindi è qualche cosa che appartiene al popolo ed è separato, nel linguaggio biblico, da quello che viene chiamato cleros, l’eredità: la parte che ha la maggiore eredità. Cleroi in greco vuol dire ereditare. E’ la parte separata dal popolo. Laicità trova la sua etimologia in laos popolo. Avremo qui una contesa nei secoli cristiani, perchè in realtà il processo di laicizzazione avviene a partire dall’umanesimo. E’ bene conoscere questo piccolo tratto di storia, oggi molto illustrato, devo dire anche bene, sull’ultimo numero di "Rocca". Nell’ Umanesimo accade che, di fronte ad una cristianitas dove il clero aveva in mano tutto, comincia crescere un popolo che vuole separare delle competenze, degli ambiti. Questa separazione di competenze e di ambiti determina delle lotte. L’Umanesimo comincia, il Rinascimento sarà una fase espansiva di questa cultura, di questo concepire che c’è un’autonomia del profano, un’autonomia del culturale, dell’umano, un’autonomia letteraria, scientifica. I passi saranno lenti, conflittuali, tergiversanti, ma ben orientati in questa direzione. E’ una battaglia che avviene ancora dentro la cristianità, dove delle forze egemoni vogliono contenere tutto, dirigere tutto. Un processo che aveva avutola sua affermazione, siamo nel 1075, con papa Gregorio ed il cosiddetto dictatus papae, che aveva procamato l’estrema superiorità del romano pontefice su qualunque potere umano: "Il sommo pontefice non è giudicato da nessuno". Mai un’affermazione così perentoria avrebbe potuto essere pronunciata nel primo millennio! E’ chiaro che le forze della razionalità laica, esprimendoci nel linguaggio di oggi, a partire dall’Umanesimo, rintracciano delle dissonanze da questo pensiero. Anche perché con l’Umanesimo fiorisce l’espansione culturale: i documenti, la proliferazione dei manoscritti, le grandi esplorazioni delle scienze antiche. Per primo l’Islam aveva tradotto i classici greci, ci aveva regalato la cultura greca, potevamo finalmente fruire di queste conoscenze. Comincia questa grande espansione del pensiero desacralizzato, "deassolutizzato" dalla cristianità.
Sarà poi la volta della Rivoluzione Francese, con l’importanza della separazione dell’altare dal trono. I preti e i movimenti religiosi che hanno assunto e hanno inneggiato a questa posizione, che in fondo liberava la fede da un’alleanza ambigua e imprigionante, sono stati defenestrati. La chiesa cattolica ha preso una posizione di restaurazione e quei movimenti credenti che hanno tentato invece di far fronte a questo nuovo spazio di libertà per la fede, ma anche per la cultura , la ricerca, le scienze, sono stati divisi, rimossi, puniti.
Pensate poi il Positivismo, l’Ottocento, il Novecento, l’autonomia delle scienze, i movimenti, il femminismo, la classe operaia che nasce "in contrasto". I processi di laicizzazione sono stati visti, a partire dall’Umanesimo, senza voler generalizzare, quasi sempre come movimenti nemici.
C’è, a partire negli ultimi 50 - 60 anni, un evento straordinariamente nuovo: è l’evento del pluralismo religioso, della interculturalità: non solo più religioni, ma la loro interconnessione. Non avendo noi una storia coloniale come
Oggi c’è un’altra grande domanda sul piano della laicità: l’ateo, l’agnostico ha una etica? Che cosa crede chi non crede a nessuna religione. Questa è la grande comparsa storica successiva. Noi veniamo da una tradizione in cui l’ateo o doveva nascondersi o doveva trasformarsi, doveva fingere. Noi sentivamo il dovere di convertire l’ateo. All’ateo mancava sempre qualcosa. Questa è la nostra tradizione. Il nostro punto di vista esprimeva questo: l’ateo non può avere un’etica diversa, perché la mia concezione confessionale è quella che ha la pienezza della vita, dell’etica e invece l’ateo, "poveretto lui/poveretta lei", può avere un’etica, ma su cosa si fonda? E’ l’infinita discussione, che è stata fatta nei secoli, se sia possibile un’etica rigorosamente "costruttiva", non fondata su una religione. Oggi qual è la posizione? E’ duplice, nel campo del cristianesimo: c’è chi come Ratzinger dice: senza Dio manca l’afflato fondamentale dell’etica e della verità; e chi invece, come i due studiosi prima citati, Armido Rizzi e Hans Kung, dice: è tempo di cambiare completamente concezione. Rizzi e Kung, due pensatori assai diversi, dicono: l’ateo può fondare nella sua esperienza, nella sua interiorità, nel confronto societario, culturale, un’etica rigorosamente positiva e costruttiva, come il credente. Non c’è nessuna superiorità del credente nei confronti dell’ateismo, o della realtà della persona atea. Ma allora voi mi direte: la fede non incide? Certo la fede può essere la motivazione per me. La fede mi dà un orientamento, mi dà un ethos, ma altre persone lo possono ricavare altrove, con altre motivazioni. Una società laica presuppone che si prenda atto della possibilità di percorsi diversi, diversamente motivanti, ma realmente motivanti. Questo mi pare molto interessante. Noi oggi lo vediamo nel dipanarsi della matassa politica, culturale: credenti e non credenti spesso si trovano insieme con motivazioni solide e costruttive, per la liberazione, la giustizia, i diritti ecc.
Oggi ci troviamo di fronte a problemi così grandi: l’ecosistema, le biotecnologie e molti altri, che nessuna cultura e nessuna tradizione religiosa può pensarsi come autosufficiente. E poi, sostiene Rizzi, non esiste nessuna cultura, nessuna tradizione dalla quale non si possa ricavare qualcosa. Notate che questo non è il relativismo bieco, il qualunquismo dell’ «una religione vale l’altra». Tutto sta nel confronto. Il confronto ci fa discernere, ma non ci fa escludere. Noi, su queste grandi tematiche, abbiamo bisogno di confronto, di accoglienza reciproca, di discernimento, di capacità di confrontarci. Il confronto non dice nemmeno che dobbiamo convergere tutti in una unità ideologica o di pensiero o di prassi. Ma che possiamo, su grandi problemi, assumere alcune pietre miliari comuni, mantenendo delle identità, delle divergenze e delle differenze. Che abbiamo veramente bisogno di tutti. Io credo che questa, oggi, sia una delle esperienze etiche importanti. L’abbiamo visto nei referendum, quando una sola etica viene posta come assoluto. Kung in una pagina molto bella dice :"L’etica è quella bilancia precaria tra ideale e realtà che deve essere trovata sempre di nuovo". E’ una bilancia precaria. Perché a tutti noi, a tutte noi, penso a tutte le donne, piacerebbe non dover mai ricorrere all’aborto. Questo è l’ideale, la realtà è un’altra. La bilancia etica non è fatta di principi assoluti, è fatta appunto di questa oscillazione tra ideali e realtà, un’oscillazione che deve essere sempre trovata di nuovo: nel percorso delle persone, delle culture, nel variare dei tempi, nel variare di mille componenti. Tutte le volte che noi accediamo a delle decisioni importanti, il principio sta davanti a noi, ma la componente necessaria per la nostra decisione è la realtà del cammino comunitario, delle possibilità. Oggi l’etica si apre a questo confronto, a questa dinamica umile. Fedele ai problemi, al dubbio, al "non so", fedele anche al "cerchiamo ancora, cerchiamo oltre". La nostra fede come cristiani e cristiane è tale da comportare un forte ethos di fraternità e di amore. Ma le modalità con cui questo ethos dell’amore si concretizza nelle singole situazioni non appartiene alla fede. Appartiene alla mediazione della cultura, della razionalità e della coscienza. Noi sappiamo bene che questo è un cammino. I modi per amare sono veramente molti. I meccanismi della laicità alimentano questa grande distinzione tra l’ethos, come orizzonte dell’amore, della giustizia e l’etica come dimensione collettiva di questa istanza. E ancora, con la morale, che deriva da mores, i costumi, le declinazioni comunitarie e personali dell’etica. In un primo tempo, in molte culture che sono sacrali, tutto sta insieme, poi nel processo di laicità tutto lentamente si distingue e spesso si separa.
Concludo con alcune piccole osservazioni che mi sembrano utili. Credo che una delle cose più importanti della nostra vita sia creare in noi dei soggetti etici, soggetti attenti all’etica, creatori di etica, con altri nel confronto, evidentemente. Dei soggetti attivi nel processo etico della società, delle chiese, della coscienza personale. Quindi, persone che veramente credono e vivono la responsabilità etica.
La seconda cosa che mi pare interessante è la "pratica del cercare ancora". Su tante questioni noi sentiamo che è importante cercare. Quante questioni l’umana esistenza ancora ci porrà, l’importante è cercare. Le questioni nuove che s’affacciano: il rapporto tra coscienza, scienza, cultura, natura. Quanto c’è da cercare. Nella consapevolezza e nella pace, non siamo sul terreno dell’assoluto. Siamo sul terreno in cui uomini e donne si confrontano e cercano delle soluzioni sempre perfettibili.
La terza cosa: l’interscambio. Aprirci ad una piazza grande. Ma soprattutto ad una piazza abitata da molti volti e molte culture, non per perdere una identità, ma per non imporla, per non farne un assoluto, non rinnegarla, ma porla a servizio. Su questo c’è da fare un lavoro enorme nella nostra Italia. Un lavoro enorme nella Chiesa, che non accetta questa visione a livello ufficiale. Perché tutto sommato c’è un Concordato, ma soprattutto c’è ancora una mentalità concordista. Tutta questa presenza di chierichetti, di teocon non aiuta davvero. Siamo in una situazione, in Italia, dove i processi di laicità sono difficili: pensate alla nuova campagna contro la 194 ormai aperta, pensate alla battaglia per arrivare ai PACS, pensate al mito che i PACS distruggerebbero la famiglia. E’ un processo lento dove è importante portare la nostra esperienza di fede, di umanità, il nostro ethos profondo dell’amore. Accogliere l’ethos profondo che tante persone e tante tradizioni hanno. Perché se ritorna una società della monocultura, una società sacrale, questo determina una guerra. E determina l’infelicità di molte persone. Perché non abbiamo bisogno d’imporre nessuna religione, nessuna cultura, nessuna ideologia. Abbiamo bisogno di un cammino promozionale, un confronto, in cui noi stessi quando affermiamo un’identità disarmiamo la volontà d’imporre. Grande lavoro che ciascuna e ciascuno di noi deve fare su se stesso. Quando io affermo qualcosa, devo essere disarmato ulteriormente, perché se sono armato, confondo "la" verità con la mia verità. Verità per il mio cammino di fede, per la mia identità cristiana, ma che non è "la" verità, perché Dio non è cristiano, Dio è Dio. Quindi avere questa concezione, ma direi, anche scegliere la battaglia laica. Perché se si conserva, a livello di fede, il principio che la fede dipende dall’accettazione di un apparato sacrale, chi non sta dentro quei modelli non sarà mai un credente, dovrà andare a chiedere l’autorizzazione. Questo è un processo di sacralizzazione. Non si è credenti perché il papa e il vescovo mi riconoscono, questi sono solo apparati sacrali. Si è credenti perché la mia vita la voglio mettere, nei miei limiti, nelle mia contraddizioni, nella fiducia in Dio e, come cristiano, sulla strada di Gesù.
QUANDO SI MANIPOLA ...
SPERO TANTO DI SBAGLIARMI
LA CINA SBARCA IN IRAQ
FUOCO AMICO
martedì 26 agosto 2008
ANTONIO GRAMSCI
PIU' CHE PREVEDIBILE
- L'Occidente è riuscito a presentare come assurda e incomprensibile la posizione russa a favore dell'indipendenza dichiarata dalle due regioni ribelli della Georgia. Ma, dopo l'umiliazione della Russia in Kossovo, c'è ancora qualcuno che possa dubitare di questa reazione logica del Cremlino? Regnano l'unanimismo di facciata e la smemoratezza. Certo, la rottura tra Russia, USA e Unione Europea non è un bene, ma ognuno si prenda le proprie responsabilità: a partire da Bush che ha sostenuto, incoraggiato e armato quel pazzo e irresponsabile presidente della Georgia.
- Prevedibile anche questo purtroppo.... Bisogna sorvegliare chi vuole ucciderlo. Qualcuno ha capito che, senza che si possano fare miracoli, qualcosa può cambiare. Il rischio di un attentato è molto reale. Barak Obama è una speranza da difendere.
DUE SIGNORI CONTRAPPOSTI
Il grido di Gesù: “Non potete servire Dio e il Denaro”. Le sue parole dovevano risultare esplosive. Dio e il Denaro sono due signori contrapposti. (...)
lunedì 25 agosto 2008
CONCORRENZA VIOLENTA
"NOI SIAMO CHIESA":GRUPPO TORINO-PINEROLO
POVERI PERSEGUITATI!!!!
domenica 24 agosto 2008
A VARSAVIA LO SCUDO
PADELLARO LASCIA L'UNITA'
E POI?
PERICOLO FASCISTA
LA TROVATA
sabato 23 agosto 2008
QUELLI LI CONOSCIAMO
GLI SCHIAVI
venerdì 22 agosto 2008
CATTOLICI E ALLEANZE SPREGIUDICATE
Cattolici e alleanze spregiudicate
Non ci si dovrebbe sorprendere che Famiglia Cristiana critichi il governo per la mancanza di una politica di contrasto alla povertà e più in generale per una diffusa indifferenza, quando non criminalizzazione dei poveri. O che denunci una diffusa indifferenza per le difficoltà quotidiane delle famiglie con redditi modesti. Queste alla ripresa autunnale si troveranno alle prese non solo con gli aumenti degli alimentari di base, delle tariffe della luce e del gas, ma anche delle rette nei nidi e nelle scuole materne e magari di qualche taglio alla già scarsa assistenza domiciliare per le persone non autosufficienti. Le ristrettezze di bilanci locali falcidiati, tra l’altro, dall’eliminazione dell’Ici possono infatti essere compensate solo fino a un certo punto dall’eliminazione di sprechi e inefficienze. La difesa dei più poveri e dei più fragili dovrebbe essere la prassi normale di una rivista d’ispirazione cattolica. Ciò che sorprende è che lo faccia solo ora. Dopo mesi e mesi in cui il tema più caldo su cui l’autorevole rivista ha battuto con una sistematicità e un vigore (spesso anche livore) degni di miglior causa è stato la difesa della «famiglia tradizionale», tout court definita come naturale. E la denuncia della pericolosità dei pochi difensori di una cultura laica che ancora osano parlare nel nostro Paese. Chi oggi si stupisce e si offende per la violenza delle accuse era ben contento quando dagli stessi pulpiti, e talvolta dalle stesse persone, chiunque avesse una visione meno univoca della famiglia e dei rapporti tra le persone, meno apodittica sulle questioni che riguardano la vita e la morte, veniva e viene tacciato d’immoralità e malafede. Quando non veniva identificato come pericoloso per gli stessi fondamenti del vivere sociale.
Sul ruolo di defensor fidei e defensor ecclesiae della destra si è giocata, da ambo le parti, una partita non limpida in cui ciascuno ha pensato di usare l’altro. Subito dopo la formazione del governo, c’è stata la delusione per la mancanza di «ministri riconoscibilmente cattolici», espressa anche da Famiglia Cristiana. Le corrisponde specularmente oggi la delusione dei politici al governo per le critiche della rivista. Essi si vedono sfuggire una legittimazione che avevano creduto di aver conquistato durevolmente con la promessa (esplicitata formalmente anche da Berlusconi all’atto della sua prima visita in Vaticano) di non toccare il diritto di famiglia e di «compiacere la Chiesa» in tutte le norme che riguardano i temi di bioetica.
In realtà, ciò che i politici italiani di destra, sinistra e centro non sembrano capire è che le istituzioni cattoliche in Italia, con tutte le loro anche importanti differenze, condividono la pretesa del monopolio di definizione dei valori e delle norme appunto sulle questioni che riguardano la famiglia, la sessualità, l’origine e la fine della vita. Su questo sono disposti anche alle alleanze più spregiudicate e a giustificare ogni forma di doppia morale, oltre che a far cadere governi. Sul resto, si tengono le mani libere e possono far valere le proprie differenze.
Proprio perché la Chiesa cattolica ha vinto nella partita più importante, quella della famiglia e dei temi bio-etici, per altro anche con la connivenza di un centro-sinistra impaurito e afono, Famiglia Cristiana può oggi dare voce alla sua anima più sociale. Meglio questo che nulla. Ma non facciamone una sorta di paladino della libertà e della democrazia, neppure quando usa parole forti e forse fuori luogo, come l’accusa di fascismo. Soprattutto spero che l’opposizione non la usi per cercare di (ri-)legittimarsi. Sarebbe ben triste e rischioso per la nostra democrazia che, dopo aver di fatto delegato alla Chiesa e ai cattolici (in primis a quelli del Pd) la definizione dei limiti della laicità, ora l’opposizione delegasse a Famiglia Cristiana la critica all’azione del governo.
DONNE VESCOVO...
Secondo le autorità della Chiesa le ordinazioni delle donne sono nulle e chi le fa è scomunicato. Intanto però sono già cinquanta le donne che hanno preso gli ordini sacri. L'ultimo caso clamoroso a Saint Louis. Le contromisure del Vaticano
di Sandro Magister
ROMA, 4 agosto 2008 L'ordinazione delle donne al sacerdozio e allepiscopato è questione che divide verticalmente la comunione anglicana, come ha confermato la conferenza di Lambeth che si è conclusa ieri.
Ma anche nella Chiesa di Roma la questione è presente, sebbene in proporzioni decisamente più contenute.
Lo provano due recenti contromisure adottate dalla gerarchia cattolica.
La prima è un decreto emesso dalla congregazione per la dottrina della fede "circa il delitto di attentata ordinazione sacra di una donna".
La seconda è l'interdetto spiccato dall'arcivescovo di Saint Louis, Raymond Leo Burke, contro una suora della sua diocesi, Louise Lears, colpevole di aver assistito e dato sostegno all'ordinazione al sacerdozio di due donne.
Il decreto della congregazione per la dottrina della fede porta la data del 19 dicembre 2007, ma è entrato in vigore il 30 maggio scorso, quando è stato pubblicato su "L'Osservatore Romano".
La sentenza di Saint Louis è invece del 26 giugno. Il giorno successivo l'arcivescovo di questa diocesi americana è stato chiamato a Roma come nuovo prefetto del supremo tribunale della segnatura apostolica.
Il decreto della congregazione per la dottrina della fede attesta che incorrono nella scomunica "sia colui che avrà attentato il conferimento dellordine sacro ad una donna, sia la donna che avrà attentato di ricevere il sacro ordine". La scomunica è "latae sententiae", cioè scatta automaticamente. La sua remissione è riservata alla Sede Apostolica.
Nel commentare il decreto su "L'Osservatore Romano" del 1 giugno l'allora segretario della congregazione per la dottrina della fede, l'arcivescovo Angelo Amato oggi prefetto della congregazione per le cause dei santi , spiegò così la decisione di emetterlo:
"Ci sono stati singoli episodi di cosiddette ordinazioni di donne in varie regioni del mondo. Inoltre il decreto generale è uno strumento di aiuto ai vescovi per assicurare una risposta uniforme in tutta la Chiesa di fronte a queste situazioni".
* * *
In effetti, quella di Saint Louis è solo l'ultima di una serie di ordinazioni di donne al sacerdozio e all'episcopato, avvenute negli ultimi anni all'interno della Chiesa cattolica.
Tali ordinazioni sono ritenute invalide e cioè nulle dall'autorità della Chiesa. Il canone 1024 del codice di diritto canonico stabilisce infatti che "riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile".
Non solo. L'ordinazione delle donne al sacerdozio e all'episcopato è stata definita inammissibile da sempre e per sempre da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica del 22 maggio 1994, "Ordinatio Sacerdotalis".
Su questo c'è completo accordo tra la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse e orientali. Mentre in direzione opposta si muovono gli anglicani e varie denominazioni protestanti.
Nella Chiesa cattolica, una spinta all'ammissione delle donne agli ordini sacri si è manifestata soprattutto dopo la pubblicazione della "Ordinatio Sacerdotalis". Fece colpo un documento sottoscritto da 40 vescovi degli Stati Uniti, pubblicato nel luglio del 1995 su "Origins", la rivista della conferenza episcopale. In esso, si lamentava che la "Ordinatio Sacerdotalis" era stata emanata "senza alcuna previa discussione e consultazione", quando invece riguardava una materia "che molti cattolici ritengono bisognosa di studi più approfonditi". I 40 auspicavano che le conferenze episcopali rispondessero colpo su colpo "ai testi di varia natura che vengono da Roma", a cominciare da quello sull'ammissione delle donne al sacerdozio.
Il principale promotore ed estensore del documento dei 40 era l'allora arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland, già presidente dei benedettini confederati di tutto il mondo e star dei "liberal" americani. Nel 2002 Weakland fu travolto dalla denuncia di un uomo con cui aveva avuto una relazione e al quale aveva pagato il silenzio.
Quando fu pubblicata la "Ordinatio Sacerdotalis", trapelarono notizie su ordinazioni di donne al sacerdozio avvenute in segreto nella Cecoslovacchia comunista, ad opera di vescovi cattolici convinti di operare legittimamente in una situazione di estrema emergenza. Una delle ordinate, Ludmila Javorova, di Brno, fece appello a Giovanni Paolo II per essere riconosciuta come prete ed esercitare il ministero. Ma naturalmente la risposta fu negativa. A studiare e a chiudere il caso delle donne prete cecoslovacche il papa incaricò l'allora cardinale Joseph Ratzinger.
Il primo vero atto di rottura, riguardo le donne prete, avvenne nel 2002 sul fiume Danubio, non lontano da Passau, al confine tra Austria e Germania. Lì, su un battello, un vescovo scismatico argentino, Romulo Braschi, ordinò al sacerdozio sette donne, le prime del movimento denominato Roman Catholic Womenpriests, che conta oggi una cinquantina di ordinate prevalentemente negli Stati Uniti e del Canada, tra le quali quattro donne vescovo.
Il 10 luglio 2002 il Vaticano reagì alle ordinazioni del Danubio con un decreto di scomunica. Dopo di che lasciò ai singoli vescovi di intervenire su casi simili, nelle rispettive diocesi.
L'ultima ordinazione di donne del Roman Catholic Womenpriests ha avuto per teatro Saint Louis. L'11 novembre 2007, nella Central Reform Synagogue presieduta dalla rabbina Susan Talve, la donna vescovo Patricia Fresen, ex suora domenicana con studi all'Angelicum di Roma, ha ordinato al sacerdozio due donne, Rose Marie Dunn Hudson ed Elsie Hainz McGrath (vedi foto). Al rito hanno assistito circa seicento persone, tra le quali una attiva sostenitrice dell'atto, suor Louise Lears, membro del consiglio pastorale della parrocchia di Saint Cronan e coordinatrice dell'educazione religiosa nell'arcidiocesi.
Durante il rito hanno imposto le mani sulle due ordinate anche una dozzina di pastori protestanti, i quali hanno concelebrato la messa e fatto la comunione.
L'arcivescovo Burke ha reagito informando gli autori dell'atto che erano incorsi nella scomunica e aprendo un processo canonico contro suor Lears, concluso con l'interdetto, cioè con l'esclusione della suora dai sacramenti e dai posti di responsabilità in diocesi.
L'emissione della condanna di suor Lears, il 26 giugno, è stata di poco successiva alla pubblicazione del decreto della congregazione per la dottrina della fede, che ha fornito a tutti i vescovi una linea guida per rispondere a tali atti in modo più coordinato e deciso.
Da Roma, infatti, si teme che il numero delle donne ordinate continui a crescere. Il Roman Catholic Womenpriests avrebbe altre 150 donne in attesa di diventare prete. Inoltre sembra aumentare, in alcuni paesi, anche il consenso all'ordinazione delle donne. Ad esempio, dopo la condanna, si sono moltiplicate le manifestazione di sostegno a suor Lears.
C'è infine il sospetto che alcuni vescovi si prestino all'operazione. Patricia Fresen, l'ex suora che è una dei quattro vescovi del Roman Catholic Womenpriests, afferma d'essere stata ordinata all'episcopato, nel 2005, da tre vescovi cattolici di cui tiene segreti i nomi. Altrettanto sarebbe avvenuto per le altre tre donne vescovo del movimento.
ESSERE "SERVO DI DIO"...
Essere "servo di Dio" non significa solamente avere in borsa una copia del Vangelo ed esibirla o citarne un passo, non vuol dire professarsi cattolico professante e recarsi ogni giorno tutte le domeniche e le feste comandate in Chiesa....anche i capi mafia leggono il Vangelo, recitano il rosario, portano al collo piu' di un Crocifisso, si battono il petto in segno di pentimento, frequentano le parrocchie ed elargiscono beneficenze MA la loro è una vita trasversale, dietro si nascondo truffe, istigazione ed associazioni a delinquere, violenze, usura, omicidi e prevaricazioni, vessazioni di ogni genere.....MENTRE, essere servo di Dio vuol dire rispettare gli esseri umani e mettersi al servizio del proprio prossimo senza riserve, interessi e personalismi!
PATRIZIA VRENNA
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI JOSE' M.CASTILLO
di p. ALBERTO MAGGI osm
“Peste, febbre, infiammazione, arsura, siccità, carbonchio, ruggine, scabbia, emorroidi, prurigine, delirio, cecità, pazzia, ulcera maligna…”, sono solo alcune delle decine di maledizioni minacciate dall’autore del Libro del Deuteronomio contro chi non obbedirà alla Legge del Signore (Dt 28). Preoccupato di non aver elencato tutti i mali possibili, lo scrupoloso autore include nella lista anche “ogni altra malattia e ogni flagello, che non sta scritto nel libro di questa Legge, il Signore manderà contro di te, finché tu non sia distrutto” (Dt 28,61).
Per il povero peccatore, trasgressore della Legge, non c’è alcuno scampo. L’elenco, infatti, si conclude con quello che sembra essere il massimo della iella: “Il Signore ti farà tornare in Egitto, per mezzo di navi, per una via della quale ti ho detto: Non dovete più rivederla! E là vi metterete in vendita ai vostri nemici come schiavi e schiave… ma nessuno vi acquisterà!” (Dt 28,68).
Certamente il Signore è buono con i buoni, coloro che meritano il suo amore, ma verso gli altri, i peccatori e i miscredenti, scatena tutto il suo sadismo, rivelandosi un Dio che “gioirà a vostro riguardo nel farvi perire e distruggervi” (Dt 28,63).
Se non c’è alcun dubbio che queste e altre pagine dell’Antico Testamento possano essere catalogate sotto la voce “terrorismo religioso”, c’è da chiedersi perché il Signore venga presentato in questo modo spaventoso, “un Dio grande e terribile” (Dt 7,21) di cui c’è da aver sempre paura.
È evidente che nei confronti di una divinità talmente crudele da vendicarsi non solo sul peccatore, ma sulla sua discendenza, “fino alla terza e quarta generazione” (Es 20,5), è difficile nutrire un sentimento d’amore, ma solo di paura e timore, e “il timore suppone il castigo” (1 Gv 4,18).
Per questo si leggono con crescente gratitudine queste pagine che José M. Castillo offre con il suo libro “Dio e la nostra felicità”. Teologo tra i più competenti e stimati nell’attuale panorama teologico internazionale, l’Autore unisce e fonde in questo scritto la ricchezza della sua cultura teologica alla sua profonda umanità, andando a scovare le radici della paura di Dio per estirparle e favorire la crescita della coscienza dell’amore gratuito e immotivato del Padre verso tutti i suoi figli.
Scrive Castillo che “nella coscienza di molta gente non è frequente associare l’idea di Dio all’idea di felicità e a tutto ciò che tale termine ci suggerisce. Piuttosto, si può affermare che in grandi settori della popolazione avvenga esattamente il contrario. Poiché, di fatto, sono molte le persone che, quando sentono parlare di Dio e, in generale, del fatto religioso, ciò non le porta a pensare alla felicità di vivere, bensì a qualcosa che va, invece, nella direzione opposta. Infatti, sono molte le persone (credenti e non credenti) che sono soliti associare Dio alla proibizione di molte cose che ci piacciono e ci rendono felici e all’obbligo di fare altre cose che ci risultano pesanti e sgradevoli. E, soprattutto, per molta gente Dio è una minaccia, un rimprovero costante, senz’altro un giudice implacabile che suole creare in noi sensi di colpa, d’insicurezza e di paura” (p. 3).
Ma Dio è proprio così?
Scrive Giovanni, al termine del prologo al suo vangelo, che “Dio nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), e che solo il Figlio, Gesù ne è la piena rivelazione. Per l’evangelista, Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9) è infatti la risposta di Gesù alla richiesta di Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8).
Tutto quel che si crede di sapere su Dio va esaminato e confrontato con quel che Gesù ha detto e fatto nella sua esistenza.
E il Dio che si manifesta in Gesù è un Dio pienamente umano, attento e sensibile ai bisogni e alle sofferenze degli individui, dei quali conosce anche i capelli che hanno sul capo (Mt 10,30).
Il Dio che si rivela in Gesù è ben diverso dalla terribile divinità che minacciava maledizioni contro i disobbedienti alle sue leggi. Il Padre di Gesù è un Dio-Amore (1 Gv 4,8), che intende comunicare a ogni uomo, qualunque sia la sua condizione, la sua stessa vita.
Il Padre di Gesù è un Signore che si mette a servizio dei suoi figli per renderli signori come lui (Gv 13), è un Dio che mai si sente offeso (1 Cor 13,5), ma a tutti, incondizionatamente, offre il suo amore gratuito. Un Dio che non ama gli uomini perché questi lo meritano, ma perché ne hanno bisogno.
Questo Dio non impone le sue Leggi, ma a tutti offre il suo amore. Non desidera sudditi timorosi o uomini obbedienti ai suoi comandi, ma figli che gli assomiglino nella pratica di un amore simile al suo, in grado, come lui, di voler bene, e farne, anche “agli ingrati e ai malvagi” (Lc 6,35). Questo Signore non obbliga, non può farlo, perché è amore, e l’amore non può essere imposto, ma solo offerto. Quando l’amore viene imposto non è più amore, ma violenza.
Il Padre di Gesù è il Signore che non diminuisce o umilia gli uomini, ma li potenzia. È un Dio la cui volontà coincide con la massima aspirazione degli uomini: la felicità. Scrive infatti Castillo che “la volontà di Dio è che l’uomo sia felice. Poiché l’aspirazione suprema di Dio coincide con l’aspirazione suprema dell’essere umano” (p. 32). Per Gesù, “la felicità d’un essere umano ha la priorità assoluta, anche al di sopra delle prescrizioni religiose, come l’osservanza del sabato”, e anche “la religione e i suoi precetti cessano di avere senso e obbligatorietà quando la religione si usa per causare sofferenza o per alzare le spalle davanti al dolore altrui” (p. 22).
In questo libro Castillo accompagna, pagina dopo pagina, il lettore alla scoperta di un Dio innamorato degli uomini, di un Padre che non solo desidera la felicità piena e traboccante dei suoi figli, ma che fa in modo che ogni situazione dell’esistenza concorra a costruirne la felicità (Rm 8,28-39).
Ma Castillo denuncia anche il perverso meccanismo che ha fatto sì che Dio venga associato più al dolore e alla sofferenza che alla gioia e al piacere, più alla paura che alla fiducia. La paura di Dio infatti, non proviene dal Signore, ma dai suoi sedicenti rappresentanti: “un re o un politico ha ai suoi ordini l’esercito e la polizia per farsi rispettare e obbedire. Un sacerdote non può ottenere l’obbedienza attraverso questi procedimenti. Quale strada gli rimane per ottenere un riconoscimento e un potere che stia al di sopra degli altri poteri, in quanto rappresentante del potere divino? La cosa è chiara: prendere parte al potere di Dio. E, sicuramente, intendendo questo potere come un potere minaccioso. Perciò, nelle diverse tradizioni religiose, la divinità premia e castiga. Premia coloro che si sottomettono di fronte alle esigenze dei leader religiosi. E castiga i disobbedienti. Naturalmente, le diverse religioni presentano tutto ciò come il risultato di rivelazioni soprannaturali in cui la divinità si fa presente nei suoi rappresentanti terreni” (p. 30).
Tutta la vita e l’insegnamento di Gesù sono invece orientati alla felicità degli uomini. “Beati!”, ovvero, pienamente felici, è il nucleo del suo annuncio (Mt 5,1-11). Gesù non solo libera da ogni paura, eliminando dal volto del Padre ogni aspetto di severità, ma assicura che è possibile raggiungere la pienezza della felicità ed essere nella gioia come lui lo è (Gv 15,11). Per entrare in una dimensione piena di felicità Gesù chiede una conversione, ovvero un diverso orientamento della propria esistenza, ponendo come valore assoluto il bene dell’altro. Altrimenti, scrive Castillo, “quando una persona antepone un «principio assoluto» (com’è il caso della “religione”) alla vita e alla felicità dell’essere umano, questa persona è capace di commettere le peggiori atrocità, non solo senza rimorso alcuno, ma anche con la convinzione che è questo ciò che deve fare” (p. 55).
Orientando la propria esistenza al bene dell’altro, l’individuo si fa attento e sensibile ai bisogni, alle sofferenze e esigenze di ogni creatura, nutrendo verso di lei sentimenti di benevolenza, di solidale compassione, di amore incondizionato come quello del Cristo (Ef 4,32). In una parola si rende pienamente e profondamente umano come lo è Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, e con lui e come lui va verso gli altri, perché “se Dio s’è umanizzato in Gesù, non c’è altro mezzo per incontrare Dio che farci profondamente umani” (p. 35).
Il tema dell’umanizzazione di Dio attraverso Gesù è quello attorno al quale si sviluppa il libro di Castillo, il quale afferma che “Dio lo si conosce, non elevandosi al di sopra dell’umano o fuggendo dall’umanità, bensì il contrario. Dio lo si conosce e lo s’incontra in ciò che è proprio dell’essere umano e, pertanto, attraverso l’umano. Tale è il senso profondo di ciò che, nella storia della tradizione cristiana, è stato chiamato «il mistero dell’incarnazione»” (p. 10).
Capitolo dopo capitolo, l’autore aiuta a riscoprire il messaggio di Gesù, che è stato definito evangelo, ovvero buona notizia, in quanto l’annuncio del Cristo era che il Padre voleva che tutti gli uomini fossero pienamente felici in questa vita per poi continuarlo a esserlo in quella definitiva. Fin dalle prime righe dei vangeli il Signore fa infatti conoscere che la sua volontà è “la pace in terra agli uomini da lui amati” (Lc 2,14). La pace nella cultura ebraica non significava solo assenza di conflitto, ma era tutto quel che contribuiva alla pienezza di vita dell’uomo: amore, salute, benessere, in una parola, la felicità.
Questo è il progetto di Dio sugli uomini e il Padre non solo lavora per far sì che ciò sia possibile, ma chiede di collaborare alla sua azione. Per questo Gesù proclama beati quelli che lavorano a costruire la pace (Mt 5,9), ovvero si impegnano per la felicità degli uomini. Questa felicità, poiché nasce da quel che si fa per gli altri, può essere immediata e piena, come assicura Gesù: “c’è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,35).
giovedì 21 agosto 2008
IL MINISTERO, NON IL PAPATO
Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Matteo 16, 13 – 19).
Oltre una lettura dogmatica
Quante pagine sono state scritte su questo brano del Vangelo di Matteo: intere biblioteche per leggerle in chiave di potere. Che forzatura!!
Mentre “i padri della chiesa e i teologi del medioevo hanno dato poco peso a questo testo di Matteo” (Rinaldo Fabris) negli ultimi secoli si è voluto, con aperte manipolazioni, farne una lettura dogmatica. Si è cercato di far risalire a questa pagina il “primato di Pietro”, questa struttura che si è poi configurata e costruita in modo totalmente difforme dal messaggio di servizio che ha caratterizzato tutto l’insegnamemto di Gesù e tutta la sua esistenza.
“L’ipotesi che il brano di Matteo riproduca il dialogo storico di Gesù – Pietro a Cesarea di Filippo non trova più credito” (R. Fabris). Così pure viene progressivamente abbandonata l’idea che si tratti di un’apparizione post-pasquale di Gesù a Pietro.
Resta sempre più evidente che si tratta di una “costruzione” della comunità di Matteo anche perché Gesù con tutta probabilità non ha mai pensato ad un progetto di chiesa che durasse nei secoli. Anzi, Gesù non ha mai inteso di fondare una chiesa distinta dall’ebraismo. Egli vive e muore da credente ebreo.
Certo la figura di Pietro riveste un’importanza ed una funzione di primo piano nei vangeli. In qualche modo, senza nascondere le sue fragilità e i suoi “tradimenti”, i vangeli ne fanno un modello di discepolo, un testimone straordinario delle origini cristiane. Il suo rapporto con Gesù deve essere stato singolarmente intenso e profondo e la sua testimonianza di vita ha lasciato tracce profonde nelle prime generazioni cristiane e quindi negli scritti del Secondo Testamento.
Riflessioni storiche ed esegetiche
Proviamo a ricostruire la storia di questa pagina e di questa “promessa” fatta a Pietro sulla scorta di molti studi recenti.
“Dobbiamo partire dalla convinzione molto diffusa, che il vangelo di Matteo sia stato composto in Siria negli anni 80 del primo secolo d. C. La Siria a quel tempo confinava con la Palestina e comprendeva anche quello che ora è il Libano. Nella città di Antiochia, situata nella pianura che separava la Siria dall’Asia Minore, avevano trovato rifugio i cristiani fuggiti da Gerusalemme in occasione della persecuzione menzionata in Atti 8, 1. Si era formata una fiorente comunità alla quale avevano aderito, accanto ai credenti di origine giudaica, anche dei convertiti dal paganesimo (Atti 11, 20ss.). Fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati per la prima volta “cristiani” (Atti 11, 26).
Alcuni anni più avanti, la comunità cristiana di Antiochia fu teatro di una frattura tra elementi aperti all’evangelizzazione dei pagani e alla piena fraternità con questi convertiti, ed elementi di origine giudaica che non consideravano possibile la partecipazione di tutti alle agapi cristiane per timore che i cristiani provenienti dal Giudaismo fossero esposti a mangiare cibi vietati dalle leggi cerimoniali d’Israele.
Per evitare questa conseguenza si offrivano due possibilità: o l’imposizione delle leggi cerimonali ebraiche a convertiti dal paganesimo, o la separazione della comunità al momento dell’agape fraterna. Tutt’e due le soluzioni parvero intollerabili a Paolo, che protestò energicamente con Pietro che si era ritirato dalle agapi comuni, e con quelli che lo avevano imitato, tra i quali era anche Barnaba che pure era stato protettore di Paolo e suo compagno nel primo viaggio missionario.
La protesta di Paolo non era fatta soltanto in nome della fraternità, ma anche in nome dei principi: la giustificazione del peccatore, l’esperienza dello Spirito Santo, la vita vengono dalla predicazione dell’evangelo e dalla fede in Gesù Cristo, oppure dalla opere della legge (Galati 2, 16-3, 14)? Se si divide sulle questioni di osservanze rituali, o le impone alla parte non-ebraica dei suo membri, la comunità è ancora una comunità fondata unicamente sull’opera e sulla persona di Cristo, oppure mettendogli accanto un altro principio declassa di fatto il Cristo a elemento secondario della sua fede?
L’origine siriana (forse proprio antiochena) del vangelo di Matteo potrebbe fornire una ipotesi ragionevole per ricostruire lo sfondo sul quale si sarebbe formata e trasmessa la tradizione petrina, che poi è stata incorporata in Matteo 16, 17-19. Quando Pietro lasciò Gerusalemme (Atti 12, 17) e la direzione della comunità cristiana di Gerusalemme passò a Giacomo, fratello del Signore (cfr. Atti 15, 13ss.; 21, 18ss.; Galati 2, 9.12), probabilmente si trasferì ad Antiochia. Il bisogno di appoggiare la sua autorità potrebbe essere stato particolarmente forte in quella città, proprio perché lì Pietro era stato così severamente criticato da Paolo.
Da queste considerazioni storiche si può pensare che Matteo abbia interpretato il «legare e sciogliere» di Pietro nel senso dottrinale. Ad Antiochia c'erano due tesi opposte a confronto: da un lato c'erano gli emissari di Giacomo (che fossero mandati da lui o che si servissero del suo nome per dare prestigio alle loro pretese non ha importanza in questo momento), dall'altra c'era Paolo che rappresentava gli interessi dei convertiti dal paganesimo.
«Quelli di Giacomo» (Galati 2, 12). dicevano: «Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati» (Atti 15, 1). Paolo diceva: «Noi sappiamo che Dio salva l'uomo non perché questi osserva le pratiche della legge di Mosè, ma perché crede in Gesù Cristo. E noi abbiamo creduto in Gesù Cristo per essere salvati da Dio per mezzo della fede in Cristo... Nessuno infatti sarà salvato per mezzo delle opere comandate dalla legge» (Galati 2, 16 TILC).
Pietro, che in un primo momento cedette alle pressioni o ai ricatti di «quelli di Giacomo», in realtà sembra essere stato più vicino alla posizione di apertura e di libertà sostenuta da Paolo; potrebbe quindi avere assunto una funzione mediatrice tra le due parti, appunto quella di «sciogliere e legare», cioè di dire quali elementi della Legge biblica erano vincolanti e quali no nella comunità di Gesù Cristo. A lui (o al ricordo del suo insegnamento) potrebbe essere stato tributato quel riconoscimento specialmente dopo la partenza e la fine dell'attività di Giacomo e di Paolo (Paolo fu arrestato a Gerusalemme nel 57 o nel 58 per essere poi processato e ucciso a Roma pochi anni dopo, e Giacomo fu ucciso a Gerusalemme nel 62).
Il vangelo di Matteo, scritto in Siria una ventina d'anni dopo, sembra rispecchiare la tendenza di Pietro a una via di mezzo fra Giacomo e Paolo, quando attribuisce a Gesù l'affermazione di non essere venuto per abolire la Legge e i profeti (5, 17), però fa anche dire a Gesù «Voi avete udito che fu detto... Ma io vi dico...» (5, 21.27.31.33.38.43). «Sciogliere e legare» significherebbe appunto dire che cosa è confermato e che cosa è abolito nella Legge.
Attribuendo a Pietro questa posizione nella chiesa di Siria, il vangelo di Matteo non ne faceva un papa. Una figura papale è incompatibile con il modo in cui Matteo parla della chiesa e dell'insegnamento nella chiesa. Basti pensare che l'autorità di «legare e sciogliere» Matteo l'attribuisce, in 18, 18 a tutta la comunità! Oppure pensare al radicalismo con cui Matteo, al cap. 23, 8-11 contesta l'autorità dottrinale, il magistero dottrinale di singoli nella chiesa. Anche la scelta della parola greca ekklesìa acquista un rilievo inaspettato da queste considerazioni: Matteo non usa nè la terminologia giudaica (avrebbe detto synagoghé) nè la terminologia dei culti misterici greci (avrebbe detto thìasos, o éranos, o koinòn).
Invece sceglie un termine politico: quello dell'assemblea democratica della polis greca. Con questa scelta Matteo poteva significare tre cose: (a) la «mondanità» del cristianesimo, cioè la sua volontà di inserimento nel mondo (quindi di non isolarsi dal mondo ritirandosi nei deserti); (b) la diversità del cristianesimo dalle istituzioni religiose di qualsiasi specie; (c) la decisa opposizione a un tipo di magistero dottrinale nella chiesa, sul tipo di quello degli scribi ebrei sulle sinagoghe di quel tempo -ricordiamo che dopo la caduta di Gerusalemme, 70 d.C., le sinagoghe sono dominate dai Farisei che il vangelo di Matteo combatte aspramente"
in: Oltre la confessione, cdb Pinerolo, 1988).
Il papato come struttura mondana
L’insieme di queste considerazioni riveste particolare attualità e urgenza oggi in un constesto in cui la figura papale, ingigantita da tutti i video del mondo ed enfatizzata dai viaggi, è quasi l’unica voce della chiesa. Questo pontificato, che ha espresso al massimo livello la dimensione del potere e che ha cercato in ogni modo il consenso delle masse e le mediazioni politiche e diplomatiche, ha evidenziato la totale estraneità al vangelo di questo castello mondano privo di qualunque connessione con il messagio delle Scritture.
Il papato è soprattutto una spettacolarizzazione dell’istituzione ecclesiastica, del Vaticano, della curia romana. Dovunque il papa va, vengono preparati scenari, riprese, palchi, troni: tutto è spettacolare. La sua stessa figura sofferente viene usata per creare emozioni che, unite allo spettacolo, esercitano un forte impatto sugli spettatori o sugli ascoltatori televisivi.
In questo delirio di folla, applaudito e sostenuto da tutti i poteri politici che lo sentono ormai loro consanguineo, il papato forse – per dono di Dio – comincia una fase di declino. Non una parola profetica da quel trono, ma fiumi di retorica, repressioni continue, dichiarazioni moralistiche di pentimento per gli sbagli passati senza alcuna vera conversione nell’oggi.
Tutto questo può essere vissuto come l’occasione propizia per un ripensamento, ma può anche perpetuare una istituzione che, tutto sommato, è scandalosa solo più per moltissimi credenti, ma è molto comoda per i potenti e per certe istituzioni che utilizzano per i loro scopi manipolatori una bella foto con il papa, un baciamano vaticano come “cartolina” di buona presentazione.
È noto come il dittatore del Cile, Pinochet, si fece vanto e fece ovunque bella mostra della sua fotografia con il papa e della comunione ricevuta dalla mani di Wojtyla. Ma un papato guida infallibile che indichi la via della verità contro la via dell’errore rappresenta una forte tentazione anche per quei credenti che, anzichè scegliere il rischio di una ricerca e di una fede responsabile, preferiscono superare le loro insicurezze obbedendo ad una “autorità” che non vogliono assolutamente desacralizzare.
Il papato è così diventato uo dei maggiori mali della chiesa, uno degli ostacoli più ingombranti nel camino ecumenico.
Pietro, discepolo appassonato
Ma proviamo a guardare in profondità, con fiducia.
Pietro, liberato dai panni papali che gli hanno messo addosso, è una figura di discepolo che non si può dimenticare. La sua fede, semplice ed audace, ha fatto di questo povero pescatore della Galilea un testimone strarodinariamente vivo del Vangelo. Le scritture ce lo presentano come un uomo fragile, che giunge a tradire, che merita l’appellativo di “Satana” da Gesù ma nello stesso tempo evidenziano il suo amore per Gesù, la sua capacità di convertirsi, la sua disponibilità a mettersi in gioco fin dai primi giorni della predicazione a Gerusalemme…
Laciamo cadere il castello di carta del papato che gli hanno messo sulle spalle: accogliamo la sua preziosa testimonianza di discepolo appassionato.
Va da sé che le Scritture non ci permettono di pensare ad un “successore di Pietro” (pura e semplice invenzione di chi vuole leggere la figura di Pietro in chiave di potere e vuole ereditarne le prerogative), ma è pur vero che un ministero di accoglienza, di conciliazione, di esortazione all’amore e alla convivialità delle differenze potrebbe rappresentare un dono per le chiese.
Superare il papato per instaurare un ministero di unità in forme di servizio può essere una prospettiva telogica e pastorale per la quale lavorare. Infatti non si tratta, a mio avviso, di destrutturare la chiesa, ma di riscoprire e ricreare uno stile di servizio e strutture di servizio in cui uomini e donne, possono esercitare un ministero di animazione evangelica.
Del papato si può fare a meno, ma la chiesa non può fare a meno del ministero pastorale e dei vari ministeri. Abbiamo più che mai bisogno di donne e di uomini che dedichino la loro vita alla predicazione del Vangelo in spirito di gioioso e umile servizio.
Chi continua più che mai ad amare la chiesa di Gesù e a lavorare per una conversione che coinvolga persone e strutture, chi constata che lo stesso papa è prigioniero del papato e non può uscirne senza demolire la sua prigione dorata, ha imparato a vivere la sua fede senza dare peso alcuno al papato. Ma non possiamo dimenticare che esiste ancora il rischio che l’onnipresente figura e presentazione di un cristianesimo papalino e papalatrico nasconda a molti uomini e molte donne la possibilità di vedere che esistono altri modi di essere cristiani.
Esiste, dunque, un campo di lavoro immenso in cui seminare i germi del cambiamento, della liberazione dal dominio di strutture sacrali e di immaginari paralizzanti. Buttiamoci con fiducia in quest’opera di dialogo, di confronto, di dibattito ben consapevoli che, chi sorveglia dall’altro dei troni, non ci manderà il telegramma d’auguri.