sono quelle alle quali
si arriva più tardi"
Quanto più diminuisce nella chiesa una seria lettura biblica tanto più crescono santi, madonne, sindoni, reliquie e superstizioni varie ...
Per questo la gerarchia cattolica vede con il fumo negli occhi la lettura biblica compiuta con i metodi storici e critici.
Allarme dell'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) per la diffusione crescente di un linguaggio discriminatorio e razzista sui media e in rete: sono in corso 166 procedimenti giudiziari per il reato di incitamento a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, a volte con l'aggravante speciale dell'odio razziale, etnico, nazionale o religioso, in base all'art.3 della Legge Mancino.
Tra i casi più clamorosi, Tiziana Maiolo (portavoce di Futuro e Libertà) - "E' più facile educare un cane che un rom" - e don Virgilio (parroco di Rigutino, ad Arezzo), denunciato dall'UNAR stesso per aver scritto sul bollettino parrocchiale, dopo due furti:"Himmler dette l'ordine di aggiungere ad ogni convoglio di ebrei un vagone rom: ma perché uno solo invece di due?".
(da www.redattoresociale.it) - da Adista
21 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Questa pagina del Vangelo di Marco, se non può in tutto e per tutto essere considerata un resoconto di cronaca, ci riferisce un cambiamento sostanziale nella vita di queste due donne.
Il tutto avviene nella strada, nel cammino, nell’incontro interpersonale. Marco dice alla sua comunità che l’incontro con Gesù ha cambiato corso alla vita, ha operato una svolta, ha strappato al regno dell’angoscia e della morte, ha richiamato alla gioia di vivere delle persone ormai impigliate nei reticoli della disperazione.
Per me questo esprime un messaggio sempre più chiaro: la forza delle parole di Gesù e la valenza di liberazione dell’incontro con lui non si esperimentano tanto nella routine ecclesiastica di vertice o di base, nelle comunità dei “pochi ma buoni” o nelle chiesuole paghe di sé, quanto nelle mille ed “impure” strade del quotidiano.
Beate quelle comunità, piccole o grandi, che sanno restare nella contaminazione della strada e non si logorano in sterili tensioni interne che rischiano di distrarre dalla testimonianza del Vangelo.
Penso anche alla mia piccola esperienza di cristiano e di ministero. Se mi fossi lasciato assorbire nel giro della mia comunità, penso che avrei tradito il servizio di predicazione del Vangelo. Il centro infatti resta per me gettare semi di vangelo con fiducia in Dio e nelle persone lungo i sentieri più diversi dell’esistenza umana.
Incontrare davvero
Mi sta ben piantata nel cuore la lezione di vita di Gesù come il quadro evangelico che leggiamo oggi ci evidenzia. Il nazareno non si accontenta di passare vicino alle persone, di “degnarsi” di un veloce ed educato ascolto. Egli assume un atteggiamento in cui le parole e i gesti toccano nel profondo e sollecitano alla fiducia il cuore e il corpo delle persone interlocutrici. La parola suscita movimento, chiama alla vita. La gioia dei cuori diventa salute dei corpi e benessere totale della persona. La parola di Gesù e il contatto con lui sprigionano una “potenza” che guarisce.
Quante volte abbiamo esperimentato noi stessi che l’incontro e il dialogo con una persona hanno risanato in noi delle ferite, ci hanno rimesso in pace con noi stessi, con Dio, con la voglia di vivere. Siamo usciti da quell’incontro e tutto ci sembrava diverso; tornava in noi a sorridere la vita.
In queste settimane, nel dialogo con molte persone, ho spesso riflettuto al rischio che dobbiamo evitare di svigorire la Parola in parole e chiacchiere. Molti cristiani lamentano giustamente che la predicazione domenicale è scaduta a divagazione moralistica, a predicozzo, a routine. Per questo il Vangelo ci invita a soffermarci sullo stile e sullo spirito con cui Gesù incontrava le persone. Se impariamo ad incontrare gli uomini e le donne del nostro sentiero quotidiano con l’ascolto, la tenerezza, la disponibilità, la competenza e la fede, anche da noi può uscire una forza che guarisce, che riaccende il flusso della fiducia e della vita.
Ti ringrazio
O Dio, Ti ringrazio per le persone che hai messo sul mio cammino. Quanti segni del Tuo amore ho ricevuto! Alcune di esse sono state e sono per me addirittura olio sulle mie ferite, sostegno nelle mie fragilità, fornitrici di pane nutriente per le ore del cammino in salita.
In qualche incontro,o Dio, ho avvertito lo stile di Gesù , anzi come la sua presenza nel corpo e nelle parole di quell’uomo o di quella donna.
Donami, nell’affascinante ed impegnativo servizio pastorale di cui sono ormai all’anno 50, di imparare ogni giorno ad avvertire la profondità , il valore, le potenzialità dell’incontro con le persone, nel tentativo di raccogliere e seguire la testimonianza di Gesù. Soprattutto donaci la gioia di riconoscere che, gli uni per le altre, tutti possiamo diventare “creatori” e scatenatori di vita , di fiducia e di risurrezione.
UN VOLUME IMPEGNATIVO
Richard Kearney, Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio, Fazi editore, Roma 2012, pagg.336, €17,50.
Chi ha compiuto una riflessione sulle teologie del pluralismo religioso si ritroverà subito a suo agio leggendo queste pagine dense ed impegnative. L’Autore non propone affatto tesi o ipotesi nuove, ma affronta una questione di indubbia rilevanza: il Dio “autoritario e padrone” di una certa tradizione è ormai morto per la coscienza adulta dell’uomo e della donna di oggi. Ma è possibile riscoprire il Dio vivo tra le ceneri di quello morto? Si tratta di una scommessa aperta e affascinante.
L’Autore, attraverso una “lettura in profondità” delle varie tradizioni religiose, incontra e documenta tanti percorsi di “dissoluzione di un falso divino” (pag.218). Ana-teismo è un viaggio di ritorno, una via che precede e supera gli estremi del teismo dogmatico e dell’ateismo militante. Non è affatto un panteismo o l’abbandono della propria religione, ma un ritorno ad essa attraverso il “confronto con l’altro”, il dialogo con gli “Dei stranieri”. Il mondo secolare allora diventa “sacramento del Dio della vita”. La massima ermeneutica è sempre la stessa: la via più breve dall’io all’io passa attraverso l’altro. Non si tratta di una mescolanza di varie identità, ma di ritrovare la propria esponendosi ad una “depurazione” e ad un confronto con l’altro come decisivo e necessario per ritrovare se stessi e una fede postdogmatica.
L’Autore, filosofo più che teologo, a volte rimanda ad alcune formulazioni dogmatiche (la Trinità, la transustanziazione) che lasciano perplessi all’interno del suo itinerario culturale e spirituale, tranne che se ne compia una lettura “mistica”, come a volte emerge chiaramente dal testo.
Pregnanti ed illuminanti sono le pagine dedicate sia alla valorizzazione dell’ateismo sia alla rigorosa critica della sua militanza ideologica. Si leggano le pagine dal 219 al 240 con grande interesse. “La scommessa dell’anateismo è che, nella profonda appartenenza ad un’unica convinzione di fede, possa emergere l’umiltà di voler contrastare la violenza dell’esclusività con una generosità all’attenzione” (pag.233).
Anche la carrellata di Autori e di Autrici che, in alcuni passaggi dei loro scritti, sono condotti forse un po’ forzatamente all’anateismo, rivela come sacro e secolare, senza essere confusi e sovrapponibili, sono realtà e dimensioni del reale fortemente intrecciate. Non una separatezza ideologica del sacro e del secolare, ma un intreccio nuovo è ciò che va ricercato in una relazione che escluda sia l’invadenza che l’estraneità.
Sarebbe ancora lungo l’elenco dei passi che meritano particolare attenzione.
Il lettore e la lettrice sappiano, accingendosi allo studio di quest’opera, che sarà necessario un notevole impegno. Si tratta, infatti di ricerche e ipotesi già ampiamente conosciute, ma esse vengono collocate in un contesto culturale occidentale più preciso e costituiscono, non tanto una informazione più accurata, quanto un appello ad una conversione radicale dei nostri atteggiamenti profondi.
Franco Barbero
E se potremo nutrirci ogni giorno fino a saziare l'intero appetito, non ci resterà altro da fare che digerire?
Purché produzione vi sia, non sembra importante che cosa sia prodotto.
E' calmo, profondo, rinasce a ogni istante, ma non è ebbrezza.
Con la scelta di avere con me solo l’essenziale, io ho voluto significare che, in vista del problema dell’inculturazione , bisogna andare in terra di missione con un solo “bagaglio”: il Vangelo.
Stranissimo che sfugge a chi come il ministro Profumo è stato docente universitario (e rettore del Politecnico di Torino) ciò che è evidente a coloro che insegnano con un minimo di passione: è il livello medio degli allievi che si è pericolosamente abbassato negli ultimi decenni, non i picchi, costituiti da quel 2% o 3% di studenti (liceali od universitari) che sono in grado di capire ed apprendere a prescindere, in gran misura, dalla qualità dell'insegnamento. È sul restante 97% che occorre lavorare!
(Gaspare Galati)
L'idea che quella di cui c'è bisogno nella scuola e nelle università italiane sia una svolta meritocratica è un'idea sbagliata. L'impronta solidaristica dell'educazione materna ed elementare è uno dei vanti di questo Paese, più volte celebrata dagli studiosi di tutto il mondo e dei documenti ufficiali dell'Ocse fin dal tempo dell'inserimento nelle classi normali dei diversamente abili. La tendenza (o la deriva) involontariamente meritocratica che inizia nelle medie e si inasprisce nelle superiori è evidente dai dati sulla dispersione scolastica e sulla mortalità, ancora oggi altissima, della popolazione universitaria. Lo spazio per emergere i più dotati e i più meritevoli lo hanno già, caro ministro Profumo, ad aver bisogno di interventi forti del governo sono soprattutto i ragazzi che hanno la sfortuna di non nascere bene e di non ricevere in casa l'aiuto che la scuola non dà loro il vero problema della scuola italiana. Di cui sarebbe giusto e prioritario che ci si occupasse, migliorando la qualità e il livello medio dell'insegnamento da un posto di responsabilità come il suo. ( Luigi Cancrini L'Unità 5 giugno)
Nella crisi di sistema che scuote l' ordine globale, la "Green Economy" non è un' opzione o un' alternativa. E non è neppure soltanto un' occasione, un' opportunità di business, una "chance" produttiva e di lavoro. È una strada obbligata. L' economia alimentata dalla natura e dall' ambiente postula un nuovo modello di sviluppo, imponendo all' umanità di cambiare stili di comportamento e di vita, consumi e costumi, vizi e abitudini. Di fronte alla fine di un' epoca, l' epoca dell' opulenza e dello spreco, questa rappresenta l' unica via d' uscita per ricercare un altro equilibrio tra Nord e Sud del mondo, più solidale, socialmente più equo e più giusto. Dalle energie rinnovabili allo smaltimento e al riciclo dei rifiuti, dall' agricoltura biologica al turismo, dall' arte alla cultura, siamo noi italiani in particolare che possiamo e dobbiamo investire su noi stessi. Sulla Bellezza e sulla Qualità del Belpaese. Cioè sulla nostra storia, sul nostro patrimonio ambientale e culturale, sulla nostra tradizione secolare di creatività e fantasia. E quindi, sulla difesa dell' ecosistema, sulla protezione del territorio, sulla messa in sicurezza del suolo per la quale occorrono 15 anni, come ha avvertito il ministro Clini. Al mito illusorio delle "grandi opere", sempre annunciate e raramente completate, occorre sostituire la pratica delle tante piccole opere, di gestione e di ordinaria manutenzione, che servono a migliorare la vita individuale e collettiva. L' economia verde, più diffusa e perciò più democratica, non si fonda sul primato della finanza, sul dominio delle multinazionali, sull' oligopolio della produzione e del commercio; ma piuttosto sul valore inesauribile del capitale umano, sull' iniziativa, sulla capacità, sulla dedizione di uomini e donne che pensano e lavorano quotidianamente con il proprio cervello, con la propria intelligenza e con la propria energia. Nell' avvincente libro di Ermete Realacci intitolato "Green Italy", si raccontano tante di queste storie esemplari che rendono giustizia a un Paese nascosto, silenzioso e operoso, lontano dallo stereotipo di un popolo indisciplinato, inconcludente, fannullone. Il messaggio di fiducia che ne promana è del tutto estraneo alla retorica dell' ottimismo di maniera che ha narcotizzato gli italiani nell' ultimo infausto ventennio. La possibilità di reagire a una crisi destinata verosimilmente a diventare strutturale resta affidata al nostro impegno e alla nostra responsabilità di cittadini, produttori e consumatori consapevoli, nella convinzione che ogni prospettiva di crescita dev' essere imperniata sulla coesione e sulla giustizia sociale.
(Giovanni Valentini, Repubblica 1 giugno)
Leone Tolstoi
Hans Jonas
Chiunque si discosta da quella regola viene perseguitato.
Ignazio Silone
Teilhard de Chardin
Comunicato stampa
Condoglianze per la morte di Mario Scialoia
di Il Comitato Organizzatore della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Il Comitato organizzatore della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, esprime le sue più sentite condoglianze alla famiglia e al Centro islamico Culturale d'Italia per la morte di Mario Scialoja, figura di spicco della comunità islamica in Italia e primo direttore dell'ufficio italiano della Lega Musulmana Mondiale. In Mario Scialoia abbiamo potuto apprezzare la sua sincera volontà di dialogo ed il pieno sostegno a tutte le iniziative di incontro fra cristiani e musulmani. Con Mario Scialoja perdiamo un sincero amico del dialogo ma abbiamo al tempo stesso la certezza che la sua testimonianza ed il suo impegno continueranno in quanti hanno avuto la possibilità e l'onore di collaborare con lui. Che il Dio della pace lo accolga nel suo seno. Il Comitato Organizzatore della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico Lunedì 25 Giugno,2012 Ore: 18:37 |
La politica è l’attività umana più alta, dopo quella dell’unione con Dio e, in questo spirito, fa della politica e della sua laicità una ricerca di unione tra gli uomini, una costante impresa per eliminare le cause delle divisioni e dei contrasti.
Vincere le passioni sottili mi sembra di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi.
Sabato 23 Giugno 2012 10:28 G. De Marzo / il Manifesto
[di Giuseppe De Marzo su il Manifesto del 22 giugno] Vago, senza ambizioni, impegni concreti e finanziamenti. Questo è il futuro che non vogliamo, ma che vorrebbero imporre. Rio meno 20, altro che Rio+20. La conferenza mondiale sulla Terra ha partorito un documento finale che fa contenti solo le grandi corporations responsabili della distruzione ambientale. Una vittoria per la governance liberista ed una sconfitta per tutta l’umanità.
La frustrazione di Ban Ki Moon ed i continui appelli caduti nel vuoto, certificano definitivamente la morte del multilateralismo sui temi fondamentali per tutti. E c’è già chi inizia a ritirare fuori le tesi negazioniste, affermando che i cambiamenti climatici sono un’invenzione e che la crisi economica mondiale è causata dai movimenti colpevoli di bloccare la libertà dei mercati.
Il clima della democrazia assomiglia sempre di più a quello del pianeta: pessimo. I limiti stanno saltando uno dopo l’altro. La terra non ce la fa più, come i suoi figli, impoveriti e precari. Il radicalismo antropocentrico del modello capitalista è arrivato al suo acme. Gli esiti del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile ne sono la prova finale. I documenti ufficiali esprimono la vacuità ed il disinteresse con cui il liberismo affronta la sostenibilità sociale ed ambientale. Guidare una transizione socio ecologica senza nessun impegno concreto equivale ad una presa in giro insopportabile, specie per le milioni di vittime colpite da questa ipocrisia. Promesse vane ripetute in venti anni di meeting ed incontri ufficiali puntualmente falliti, ma sempre molto partecipati dalla burocrazia internazionale. Così come falliscono le strategie di lobbying delle grandi ong che hanno preferito stare nelle conferenze ufficiali, ignorando i movimenti e le realtà sociali che in questi anni si sono coraggiosamente messe in marcia per costruire l’alternativa. Fallisce anche il riformismo internazionale, dimostrando la sua completa sterilità di fronte alla crisi più grave che l’umanità abbia mai affrontato. Le forme classiche della politica sono insufficienti. In molti casi sono addirittura complici dei comitati di affari di banche e multinazionali. La sinistra, se si esclude quella latinoamericana, esce disintegrata da Rio, incapace di comprendere i mutamenti epocali in atto e colpevole di aver rinunciato alla sua missione emancipatrice.
La finanziarizzazione della natura è il grande business del domani. Il cavallo di troia si chiama “green economy”. L’ultimo terreno di cattura cognitiva è proprio questo, nel cui potere taumaturgico confidano acriticamente in tanti, incluso diverse realtà dell’ambientalismo, ormai subalterne alla logica per la quale non esistono alternative possibili al liberismo. Affidarsi alla mano invisibile del mercato per consentire il miracolo della perfetta allocazione delle risorse. Siamo alla preistoria del pensiero economico ed alla crisi più nera del pensiero politico. Sono i movimenti per la giustizia ambientale e sociale, quelli riuniti nella cupola dei popoli, a costituire l’ultimo argine all’espansione della frontiera capitalista. Sono loro a resistere in tutti i territori del globo, a difendere i beni comuni, sostenere l’agroecologia, impedire le privatizzazioni, promuovere forme di democrazia partecipata e comunitaria, creare nuovi strumenti e indicatori ecologici, lottare per la difesa dei diritti dei lavoratori e per la riconversione industriale ed energetica. Sono i movimenti per la giustizia ambientale che indicano la necessità urgente di costruire non solo un altro modello economico bensì un nuovo paradigma di civilizzazione, una nuova etica.
Per avanzare, oltre che resistere, abbiamo bisogno di una relazione nuova tra giustizia e sostenibilità. Questo significa lavorare per raggiungere non solo la giustizia ambientale e sociale ma anche quella ecologica. Dobbiamo porci il problema di fare giustizia alla natura. Solo così rimuoveremmo le cause che generano le ingiustizia e che hanno istituzionalizzato nuove forme di razzismo sociale ed ambientale. Non aver riconosciuto la natura come soggetto di diritto, averla esclusa dalla teorie sulla giustizia, non aver compreso come l’integrità della natura non umana sia funzionale a quella umana, ha condotto la modernità ad una crisi legata alla sostenibilità. La giustizia ecologica ed il riconoscimento dei diritti della natura darebbero un colpo mortale all’impianto giuridico capitalista, fondato sul meccanicismo che considera la Terra e le sue entità inermi, quindi meri oggetti da mettere sul mercato.
Aver sostenuto come l’umano fosse l’unico essere razionale, ha costruito la legittimazione per dominare tutto ciò venisse considerato irrazionale, partendo proprio dalla natura. Vale la pena ricordare come noi umani siamo in realtà il frutto di circa 4 miliardi di anni di complessizzazione simbiotica. In natura la pratica distruttiva alla lunga fallisce. L’evoluzione si basa non su colui che compete ma che coopera. Dalla prima cellula l’evoluzione è proceduta attraverso accordi di cooperazione e di co-evoluzione sempre più complessi. La terra non solo si sostiene e si riproduce da sola ma si ridefinisce ed evolve continuamente. È quello che si chiama sistema autopoeitico. Noi non siamo ne ospiti ne esterni alla terra, ma siamo la Terra.
L’etica che ne possiamo ricavare si fonda dunque sul riconoscimento dei diritti all’esistenza ed allo sviluppo della vita di tutte le entità che condividono con noi umani la Terra. Questo garantisce il continum della vita e dei sistemi da cui dipendiamo. Una società fondata sui principi della giustizia ambientale ed ecologica, ricuce la ferita causata dalla separazione tra razionale ed irrazionale, tra soggetto ed oggetto. Antepone le ragioni dell’etica e della politica, utilizzando la tecnica e la scienza per raggiungere l’equilibrio tra giustizia e sostenibilità. Il riconoscimento dei diritti della natura sarebbe garanzia di rispetto per i diritti umani e di democratizzazione dello sviluppo. Questa è ciò che definiamo “biocivilizzazione”. Per essere dunque giusta e sostenibile, la civilizzazione umana deve dismettere l’antropocentrismo come etica, religione, giurisprudenza e filosofia. La vita ha il diritto fondamentale di esistere, non solo perché necessaria a garantire la vita della natura umana. Questo è il messaggio che i popoli per la giustizia ambientale e sociale lanciano da Rio. Ci auguriamo che in Italia siano in tanti a raccoglierlo.
Giuseppe De Marzo