Siamo decisamente un Paese
sprecone. E non solo per colpa
della politica che costa troppo
e spende male. Ma anche perché dilapidiamo
i nostri patrimoni, materiali e immateriali. E
buttiamo a mare potenziali ricchezze.
Come nel caso di quella vetrina
planetaria dell’Italian Food che è la dieta
mediterranea. La Fao, Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura,
la considera un modello di alimentazione
sostenibile. L’Unesco l’ha addirittura
proclamata bene intangibile dell’umanità. E
noi non riusciamo neanche a farlo sapere
agli Italiani. Nemmeno ai più alfabetizzati.
Lo dimostra, dati alla mano, una ricerca su
convinzioni e preferenze alimentari degli
studenti universitari condotta dal MedEatResearch
(Centro di ricerche sociali sulla
dieta mediterranea) dell’Università napoletana
Suor Orsola Benincasa, con la collaborazione
degli atenei di Milano-Bicocca, Perugia
e Palermo. Dai primi risultati dell’indagine,
che sta per allargarsi ad altre realtà
universitarie nazionali, risulta che la futura
classe dirigente è poco e malissimo informata
sull’argomento. Compresi gli iscritti a Medicina,
che in fatto di cibo e salute dovrebbero
essere i più avvertiti. E soprattutto,
solo una minoranza coglie la ricaduta positiva
del mangiare mediterraneo sul nostro
benessere, sia fisico che economico.
Così, nonostante gli sforzi encomiabili
del ministero delle Politiche agricole,
che ha condotto la battaglia per il prestigioso
riconoscimento Unesco, si ha sempre
l’impressione che l’Italia corra una staffetta
perdente. Perché il primo a partire fa un
tempo record, ma gli altri si lasciano sfuggire
di mano il testimone.
Marino Niola
(il Venerdì di Repubblica del 27.12.2013)
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