martedì 28 gennaio 2014

Ruben Artus. Quando la Chiesa valdese si rese conto di essere un’unica famiglia

Se ne arrivarono alla Festa del 15 agosto che si teneva quell'anno, il 1975, a Perrero, sotto i castagni del Gran Bosco, ancora frastornati dal viaggio - erano arrivati forse uno o due giorni prima, non ricordo - increduli di trovarsi al sicuro: Ruben e Teresa (incinta) seguiti da Daniel, Jenny e Raoul, cui dopo pochi mesi si aggiunse anche Julio. Senza che nessuno se ne rendesse conto, mentre la festa proseguiva, le Valli e il popolo valdese in quel momento diventavano nuovamente luogo di rifugio e di vita per chi lotta per la verità e la libertà.
Ruben, compromesso per il suo impegno nella resistenza al regime, aveva precipitosamente abbandonato l'Argentina, raggiunto l'Uruguay e con falsi documenti era riuscito a imbarcarsi su un aereo diretto in Europa. In quegli anni, come si sa, sugli Stati del Centro e Sud America si era stesa o stava per stendersi l'ombra cupa di regimi dittatoriali. Dopo il successo della rivoluzione cubana gli Stati Uniti e le grandi multinazionali temevano che la «infezione comunista» si estendesse a tutto il continente. E cosi la democrazia era morta in Brasile già nel '64, nel Cile e in Uruguay nel '73, e l'Argentina seguiva la stessa strada. L'opposizione fu ovunque combattuta in modo feroce e spietato: le ferite sono ancora aperte, incalcolabile il numero dei morti, un'intera generazione di giovani fu sacrificata. Ruben e i suoi furono come «un tizzone strappato dal fuoco» (Amos 4, 11). A quell'epoca Ruben non aveva ancora ultimato i suoi studi di teologia. La Tavola valdese gli diede modo di completare la sua preparazione, affidandolo al past. Giorgio Tourn che lavorava a Pinerolo e affidandogli già degli incarichi pastorali (sarà consacrato nel 1984, nel corso del culto di apertura del Sinodo presieduto dal past. Paolo Sbaffi). E, non appena fu possibile, lo destino a Piossasco, con cura anche di Coazze. Piossasco allora stava sviluppandosi molto perché, nella confinante Grugliasco, la Fiat costruiva dei nuovi stabilimenti che avevano attirato lavoratori sia dal Sud sia dalle Valli. C'era dunque la possibilità di dare vita a una nuova Chiesa.
Lì Ruben diede il meglio di sé, riuscendo a fare di un gruppo disomogeneo una comunità vivente, agendo secondo due direttrici: la formazione delle coscienze con gli studi biblici e il dialogo con la città mediante un Comitato per la pace e con altre componenti ecclesiali, quale per esempio la Comunità di base, ben presente in zona. Ruben con Teresa e i figli portarono nella grigia realtà del paese una nota di vivacità sudamericana che coloro che l'hanno vissuta ricordano ancora oggi con nostalgia.
Nel frattempo in Sud America le cose stavano cambiando: nel 1982 la disastrosa guerra per il controllo delle Isole Falkland faceva crollare il regime dei colonnelli in Argentina e anche l'Uruguay si avviava verso un processo di democratizzazione.
Gli Artus guardavano con speranza alla fine del proprio esilio e, non appena possibile, rientrarono. Era l'ottobre dell'85. La loro partenza fu vissuta da noi con un misto di gioia perché potevano riabbracciare i propri cari e di tristezza per noi. Ma il legame di affetto, amicizia e fede si mantenne forte e vivo negli anni successivi.
Lì per lì non lo capimmo, ma in quegli anni era maturato in noi qualcosa di nuovo. Le chiese del Rio de la Plata e le nostre qui in Europa formano, giuridicamente  parlando, un «corpo unico». Con gli Artus l'espressione giuridica aveva «preso un corpo», era diventata carne e sangue, parole e sentimenti, speranze e delusioni, sofferenza e gioia. Insomma, avevamo capito che eravamo (e siamo) una sola famiglia. Da un grande male il Signore aveva suscitato un grande bene.
Siamo vicini a Teresa, Daniel, Jenny, Raoul, Julio e a tutti i loro cari nella tristezza, ma anche riconoscenti per il dono che con Ruben il Signore ci ha dato.
Luciano Deodato

(Riforma 10 gennaio)