martedì 1 aprile 2014

CAPITINI

UN LIBRO DA NON PERDERE

Aldo Capitini, Discuto la religione di Pio XII, Edizioni dell'Asino, pagine 152, 12 euro.

Scritto 60 anni fa, è utile ancora oggi.

 

CAPITINI, CONTRO GENTILE E PIO XII

E il figlio del custode del campanile di Perugia sfidò Pio XII. Aveva 58 anni quando lo fece Aldo  Capitini, maestro del pacifismo italiano, nato nel 1899. Ma ci voleva coraggio a scrivere quei dieci  capitoletti, messi all’Indice, e che tornano con prefazione di Goffredo Fofi: Discuto la religione di  Pio XII (ed. dell’asino, pp. 146, euro 12). Prendere di petto teologicamente il Papa in quel momento pre-conciliare, benché con il dovuto rispetto e dovizia di argomenti cristianissimi, a molti sembrò  follia. Era peggio che agire e pensare da mangiapreti, agli occhi della Chiesa di allora.

Argomenti cristiani s’è detto, e infatti di questo si tratta nel trattatello. Diretto contro la sacralità  separata dell’istituzione ecclesiastica, contro l’infallibilità ex cathedra Petri, contro il dogma  dell’Immacolata Concezione, e persino contro la Dottrina sociale della Chiesa. Quanto a  quest’ultimo punto, sia ben chiaro, la critica non verteva certo sulla sensibilità secolare di Leone XIII né sul suo registrare la «Quistione sociale» come elemento chiave della modernità di massa. Verteva bensì sull’interpretazione paternalistica e quietistica, e in ultima analisi autoritaria, che Pio  XII ne dava: state contente umana gente al quia, per intendersi. Con in più l’esercizio della carità. E l’argomentazione di Capitini, liberal-socialista radicale, andava al cuore del problema: non si tratta  di addolcire e conservare le gerarchie tra gli uomini. Ma di puntare all’elevazione continua della  persona di ciascuno, tramite la partecipazione dialogica e il controllo democratico dell’economia. Da perseguire sì con mezzi non violenti - e Capitini era definito il Gandhi italiano - ma mezzi coerenti con i fini politici del Vangelo. Che giustappunto per Capitini parlava di questo mondo e di presenza reale del Salvatore in terra. Una realtà politica e impolitica che Capitini definiva «Compresenza».

Vale la pensa di soffermarsi su questo concetto di «Presenza reale - Compresenza ». V’è con tutta  evidenza in esso una radice protestante, luterana. Perché fu proprio Lutero a teorizzare che Cristo  era «presenza reale» nell’Eucarestia e nella natura. E che dunque la fede era mistero da condividere  e «assaporare» insieme e non già un rito autoritario dove la Chiesa era l’unico intermediario  autorizzato tra terra e cielo. L’unico in grado di assolvere e legare, e anche di giudicare la legittimità del potere civile. In Capitini invece la democrazia a tutto campo è «religiosa». Emancipativa del soggetto, sottratto a dogmi, servitù e paura dell’inferno. Un grande riformatore, inventore con Calogero del Liberalsocialismo e della Marcia della Pace. Che Gentile costrinse alle dimissioni da direttore della Normale di Pisa. Annotando alla fine: «Abbiamo fatto bene a mandarlo via, oltretutto è un galantuomo».

(Bruno Gravagnuolo, L'Unità 21 marzo)