martedì 15 luglio 2014

Bolivia, terra senza pace prigioniera dei narcos

CHE VOLTO HA LA GUERRA? KAPUSCINSK SOSTENEVA CHE CHI LO VEDE NON PUÒ COMUNQUE COMUNICARLO. La fame o la sofferenza di un bambino hanno la stessa faccia inquietante e inafferrabile. Il male sembra sovrastare la parola, pur - o forse per - la sua banalità. Che senso ha allora partire con quaderno o telecamera ogni volta che un'emergenza si profila all'orizzonte? Ancor più quando l'urgenza non è un evento eclatante, sensazionale, in una parola, mediatico. Quando questa è, cioè, une delle troppe «calamità strutturali» associate ad alcune latitudini. Perché cercare di raccontare quello che comunque ci sfuggirà nella sua compiutezza? Me lo domando ciclicamente, ora come quando ho iniziato a fare la giornalista, 12 anni fa.
Allora come adesso provavo un amore viscerale per l'America Latina e la sua brutale magia. Dal 2002, quando ho scritto il primo articolo, ho potuto esplorarne alcune parti. Poche rispetto alle tante che vorrei scoprire. Ma indelebili: le case deserte della Ciudad Juárez prigioniera della narcoguerra, il muro Usa dove s'infrangono i sogni dei migranti, la terra rossa per cui lottano gli indios Terena, le baraccopoli dove i rifiuti sono l'unico materasso, le montagne sventrate dove lavorano i baby schiavi... Perché sono andata e perché andrei di nuovo, in questo stesso istante? Perché, pur con tutti i suoi limiti, credo nella Parola. In quel dono speciale, concesso a noi umani, di strappare un frammento di realtà al vortice del tempo. Trasformandolo in suono e segni che altri potranno decifrare. Convertire in pensiero. E, magari, un giorno, in azione.
Lucia Capuzzi

(L'Unità 1° luglio)