Un
mese è passato dall’inizio del nuovo conflitto Israele- Palestina.
La situazione è sempre più tragica. La fragile tregua non si sa
quanto potrà durare. È da troppi anni che vediamo immagini di
disperazione, con madri che piangono i loro piccoli devastati dalle
ferite o dalla morte. Non ne possiamo più e ci chiediamo il perché
di questa violenza continua e come possa arrestarsi. Sto pensando al
territorio del Trentino Alto Adige in cui viviamo che
originariamente, dopo la prima guerra mondiale, ha sperimentato
grandi difficoltà di convivenza tra i due gruppi etnici principali,
dove il gruppo di lingua tedesca si è visto privare del diritto di
usare pubblicamente la propria lingua dal regime fascista. Eppure
dopo la liberazione dal nazifascismo si sono fatti nel tempo grandi
passi per arrivare ad una convivenza pacifica, grazie a statisti
saggi che hanno costruito l’autonomia delle due province attraverso
accordi internazionali. Ci si può chiedere: perché questo non è
accaduto in quella terra tormentata dove popoli delle tre religioni
monoteiste potrebbero vivere insieme rispettandosi a vicenda? Poco
prima dell’esplodere del conflitto abbiamo visto delle immagini
incoraggianti, con papa Francesco e i due presidenti delle parti
avverse che pregavano e parlavano insieme in un clima molto cordiale.
Avevamo sperato che dopo 50 anni si creasse una nuova distensione,
invece è bastato poco per fare ripiombare la situazione in un
baratro indescrivibile, con più di 2000 morti, di cui la stragrande
maggioranza civili. La nostra Regione potrebbe essere un esempio di
lunga e faticosa ricerca di modalità politiche per risolvere
situazioni di convivenza tra gruppi diversi. Potremmo chiedere ai due
presidenti delle nostre province, Rossi e Kompatscher: potrebbe
esserci un castello sul territorio adatto ad invitare esponenti delle
due parti in guerra perché possono parlarsi, imparando magari
qualcosa dalla nostra storia? Qualcuno probabilmente sorriderà, ma
di fronte a una così immane tragedia nessuna proposta dovrebbe
essere bloccata per ingenuità. Penso in questo momento a uno dei
massimi intellettuali contemporanei, Zygmunt Bauman, che abbiamo
ascoltato numerosissimi all’Università di Bolzano qualche mese fa,
ebreo di origine, che critica aspramente in un’intervista su la
Repubblica l’attuale comportamento del governo israeliano. Gaza è
diventata un ghetto, afferma, e Israele con l’apartheid non
costruirà mai la pace. Fa memoria dell’immensa sofferenza del suo
popolo ed esprime la triste constatazione che la lezione della Shoah
non è mai seriamente presa in considerazione. Abbiamo inoltre tanti
esempi nel mondo e nella storia più vicina, a dimostrare che i
problemi non si possono risolvere con le armi: Gandhi ha vinto la sua
lotta per l’indipendenza dell’India con il sistema della
nonviolenza, seguito anche da Martin Luther King per i diritti civili
negli Stati Uniti e da Mandela nel Sud Africa. Perché Hamas non
tiene conto di questi insegnamenti? Perché la difesa di Israele deve
essere affidata alle armi sapendo per certo che queste sterminano
nelle scuole e ospedali bambini e donne innocenti? Sembra che i
grandi interessi che ci sono dietro queste decisioni, sicuramente
quelli del mercato delle armi, rendano talmente cinici i responsabili
politici e militari, da togliere loro ogni residuo di umanità. È
proprio questo senso di umanità da recuperare, ed in questo siamo
anche noi responsabili come società civile, per non distruggerci
tutti, al di là del luogo dove sta avvenendo questa spaventosa
guerra.
Alidad
Shiri