giovedì 27 novembre 2014

SIMONETTA FIORI intervista DE RITA

ROMA. «Finora a Roma non c'erano mai stati conflitti etnici nelle microaree: questo è l'aspetto nuovo e preoccupante. Oggi rischiamo di vedere nella capitale quel che era accaduto tempo fa nelle banlieu di Parigi. Per alcuni questo è 1'obiettivo». Giuseppe De Rita analizza le tensioni sociali a Roma e nel paese.
E' la prima volta che succede?
«Nella cultura italiana la prossimità vince sulla differenza. E noi con bangladeshini ed egiziani, cinesi o rumeni abbiamo una consuetudine senza tensioni. Se esco di casa per andare a comprare i mandarini non mi pongo il problema che a venderli sia un egiziano o un tunisino. Questa relazione che io definisco ″di prossimità″ è saltata. Ed è la prima volta che succede nella microarea: da luogo della prossimità è diventata arena del conflitto».
Qui dovrebbe intervenire la politica che è mancata totalmente.
«Se al disagio sociale cresciuto nei casermoni aggiungo altro disagio estremo non faccio che buttare benzina sul fuoco. Il problema è che Roma - non solo Roma, per la verità - è amministrata dall'alto, con una cultura di vertice. E ci si è concentrati di più sulla pedonalizzazione del centro storico - via del Babuino o i Fori - che sulle periferie. Per carità, agli intellettuali e al romano medio la cosa è piaciuta molto, ma Roma non è solo grande bellezza. E questo ha allontanato la politica dalle periferie. E invece è necessario un governo accurato delle microaree, proprio per evitare che la situazione degeneri. Ed esploda nella maniera che abbiamo visto in questi giorni: non era mai accaduto che le periferie del disagio aggredissero la polizia. Succede perché c'è una doppia esclusione su cui si innesta un'altra componente non trascurabile».
Quale?
«Un universo di violenza che sta tra la politica di estrema destra e il tifo calcistico ultrà. Questa componente e stata lasciata libera in questi anni. E' cresciuta, si esibisce nelle periferie, sfida le forze dell'ordine. Mette insieme cose diverse, la voglia di fare a botte e l'idea di creare una base politica, coltivata da varie case, casette, centri e associazioni. Una sorta di nuova destra antagonista».
La politica o manca completamente oppure cerca di cavalcare la rabbia.
«Sono gruppi che tentano di soffiare sul fuoco. Poi arriva Salvini da Milano per annusare l'aria che tira tra rancore e disagio».
La politica è mancata anche nel permettere che la città crescesse male.
«Sì, Roma è costruita male. Nelle sue periferie finisce per incubare disagio, violenza e un'antropologia di ″esagitazione″. Ogni tanto mi capita di farci un salto - nel quartiere Caltagirone, a Tor Bella Monaca, all'Acqua Bullicante - ed è una desolazione totale. Parlo con i parroci, che non sanno niente degli abitanti. Si ritrovano tra loro solo in rosticceria o - i delinquenti - a spacciare per strada. Roma è anche una città completamente ferma: non mi era mai capitato di vedere così tante serrande abbassate, e quelli erano i negozi che davano lavoro agli immigrati. Inoltre la città non è governata e il disagio si percepisce ovunque, non solo a Tor Sapienza. M'incavolo anche se devo aspettare l'autobus un'ora e mezza a San Giovanni, non solo in periferia.

(Repubblica 15 novembre)