giovedì 31 luglio 2014

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA

LA FORZA CHE VIENE DA DIO

Dal Vangelo di Matteo 14, 13-21



13Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 14Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». 17Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qua». 19E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. 20Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Non ci sfugga un particolare estremamente significativo. Questo racconto o "storia miracolosa" si trova in tutti e quattro i Vangeli. Anzi, Marco e Matteo ce ne danno due versioni. La sua presenza anche nel Vangelo di Giovanni lascia supporre che tutte le tradizioni orali delle origini l'avessero tramandata. Questa "insistenza" ovviamente non è casuale.

CIO' CHE NON SAPREMO MAI

La ricerca si è addirittura "accanita" per sapere con esattezza come siano andate le cose. Studiosi e studiose della Bibbia hanno tentato di fornirci spiegazioni diverse.

E' poco probabile che Gesù abbia moltiplicato come un mago pane e pesci. Del resto il verbo moltiplicare non esiste nel testo. Questa lettura presta il fianco ad una visione magica dei comportamenti di Gesù. Mi sembra molto condivisibile l'idea che Gesù abbia convinto tutti i presenti a tirar fuori le loro piccole scorte. Questo è il vero miracolo, dicono alcuni esegeti.

Ma forse l'intero racconto ha alle spalle la pratica del gruppo di Gesù che, incontrando poveri, esclusi, donne "impure" mangiava con loro. Si dava vita ad un pasto lieto ed abbondante, ai bordi dei sentieri , con quel poco che ognuno poteva condividere.

Si constatava che ce n'era per tutti e nessuno rimaneva a bocca asciutta.

Gli evangelisti, con una ben nota retorica narrativa, traducono questo racconto esperienziale esprimendo tutta la forza simbolica in esso contenuta. Quello che avveniva ai bordi dei sentieri, secondo l'insegnamento di Gesù, può diventare pratica quotidiana diffusa. Il movimento dei discepoli e delle discepole di Gesù fece di questo racconto uno dei modi più efficaci per esprimere la loro comprensione del messaggio del profeta di Nazareth, il suo significato.

IL PANE E IL COMPANATICO CI SONO

La forza dirompente di questo racconto sta nella radicalità con cui si contesta la disuguaglianza, l'ingiustizia sociale. La ricchezza dei più e l'abbondanza da accumulo dei pochi non sono un destino, tanto meno provengono dalla volontà di Dio.

Ma l'annotazione della sazietà di tutti e tutte e l'avanzo delle dodici ceste intendono affermare che il cambiamento è possibile, anzi è a portata di mano. Il messaggio è chiaro: occorre scuotere da noi ogni rassegnazione all'ingiustizia e non nasconderci dietro il fatto che la storia dei popoli è stata segnata per millenni da questa situazione considerata naturale e immutabile

L'ideologia del dominio ha diffuso e mantiene questa falsa certezza a tutto vantaggio dei ricchi e a tutto danno dei poveri.

L'avventura del profeta di Nazareth sta a dimostrare che è possibile una inversione di marcia: la creazione è una mensa che Dio ha imbandito per tutti e tutte con grande abbondanza. I predatori hanno estromesso i fratelli e le sorelle dalla gioia del convito e continuano a farlo ogni giorno.

GESU' INDICA LA STRADA

I politici a servizio del capitalismo e i loro alleati dicono che le cose sono complesse, che ci sono troppe bocche da sfamare, che esistono troppe barriere culturali.... Si tratta di speciose menzogne e di pretesti costruiti e diffusi per mantenere i loro privilegi.

Il Vangelo non ci fornisce strumenti di indagine e di intervento, ma ci indica con chiarezza la strada maestra che porta all'uguaglianza: “ Gesù alzò gli occhi al cielo e recitò la benedizione” , due espressioni cariche di significato. “Alzare gli occhi al cielo” significa che pane e companatico sono dono di Dio. “Recitare la benedizione” significa che i doni di Dio hanno una destinazione universale e non possiamo farne un uso padronale-esclusivo. Se compiamo questi due passaggi di fede, allora ci viene la forza di “spezzare”, cioè condividere.

Noi cristiani abbiamo collocato questo gesto simbolico al centro della celebrazione eucaristica. Lo spezzare il pane liturgico non è altro che un pressante invito a condividere i beni necessari ad una vita dignitosa.

La pagina evangelica ricorda a noi e a tutti che la strada per fare la giustizia esiste, è praticabile, a portata di mano.

I ricchi non vogliono imboccarla perché comprometterebbe i loro accumuli. Noi stessi, se non facciamo nostra questa pratica che Gesù insegnò e realizzò con la gente dei villaggi, cediamo alla cultura dell'accumulo.

A questo stadio della storia i cristiani non possono mangiare in pace il pane eucaristico, se non si schierano apertamente contro tutte le forme di privilegio e di accumulo. Comunque, si tratta di una lotta che avviene prima di tutto dentro ciascuno/a di noi perché riguarda il nostro stile di vita .

La conversione alla condivisione non è mai finita, ma ciascuno e ciascuna di noi deve alzare la voce dove constata complicità con i potenti. O la nostra chiesa passa decisamente all'opposizione della società del mercato capitalistico o si adegua, tradendo completamente il messaggio di Gesù.

E' troppo facile limitarci ad una lettura spiritualizzante, sacrale e magica di questa pagina del Vangelo. Essa deve bruciarci dentro e tradursi in scelte quotidiane di “pane condiviso”.









UNA MIA RIFLESSIONE SULLE SCOMUNICHE

A proposito di scomuniche di Franco Barbero


A proposito di scomuniche...

di Franco Barbero

Adista Segni nuovi n° 28 del 26/7/2014

La storia ha ben documentato una sorprendente molteplicità di usi e di abusi dell’istituzione ecclesiastica cattolica. Come cristiano, parto dal fatto che il “Dio benedicente” e la “Chiesa maledicente” spesso sono realtà compresenti. Tra Dio e Chiesa non mi aspetto né continuità né coincidenza territoriale. Questa constatazione è stata sempre per me estremamente liberante. L’alterità di Dio rispetto alla Chiesa mi ha preservato da lacerazioni insanabili quando ho constatato dissonanze, estraneità, tradimenti del Vangelo nella e della istituzione ecclesiastica. Per me “credere” nel Dio di Gesù è gustare la “benedizione creaturale”. Questa è la prima e l'ultima parola della mia fede. Come creature, stiamo tutti nella benedizione: possiamo non riconoscerla, ma essa ci avvolge e ci “assedia”.

Guardo il mondo e la mia piccola vita da questa “finestra”. Senza questa radicale fiducia nella preveniente ed incancellabile realtà del rapporto di benedizione, che circola, anima e percorre tutte le arterie del creato, andrei diritto al suicidio assistito...

Dio non scomunica mai, non si disconnette mai: noi possiamo “chiudere” e fuggire, ma il Suo amore non verrà mai meno. Per questo, molti cristiani e cattolici hanno assaporato la benedizione anche nei giorni in cui arrivava loro la “maledizione-scomunica” ecclesiastica. I miei più saggi maestri li ho sempre trovati non tra i prudenti progressisti, ma tra i censurati e gli estromessi, gli scomunicati, le “streghe”, gli “eretici”, le cattive compagnie.

Mi sono rallegrato delle chiare parole di papa Francesco rispetto ai mafiosi e ritengo che in certi casi estremi la scomunica possa essere una dolorosa necessità (contro i commercianti di carne umana, contro l'impero delle armi...), ma finché resta prerogativa di una autorità sganciata da un confronto comunitario, essa rimane, a mio avviso, esposta all'arbitrio di un vescovo (come nel caso della fondatrice di Noi Siamo Chiesa). Ma c'è di peggio. Oggi la scomunica non manda più al rogo, ma ha assunto un volto aggiornato. Tramite la scomunica o la defenestrazione si mantiene in mani gerarchiche la definizione del “territorio ecclesiale”.

La mia vicenda personale, per quanto irrilevante, mi ha condotto ad alcune riflessioni. La gerarchia scatta, fa pressione, lusinga, minaccia, mette sotto processo e poi scomunica quando vengono messi in crisi il sistema sacral-gerarchico, l'apparato strutturale e la codificazione dogmatica o morale. Nei processi ecclesiastici subiti non mi venne mai chiesto altro che allinearmi ed obbedire. Gli “inviati speciali” da parte della gerarchia usarono tutti i toni possibili. Al mio “persistere nell’errore” conclusero: «Come osi tu, che non conti niente, ergerti contro il monumento cristologico e trinitario della intera tradizione cristiana?». Oppure: «Come puoi incoraggiare il vizio omosessuale?».

Se non sei funzionale alla compattezza istituzionale e se non ti accontenti di criticare qualche aspetto negativo marginale, lì finiscono le tue fortune nell’istituzione ecclesiastica. Credere in Dio e appartenere ad una Chiesa, senza rassegnarti all’obbedienza, costituisce un percorso pericoloso, che porta alla marginalizzazione, all'oblio, alla scomparsa dai “video ecclesiali”. A questo punto o porti nel tuo cuore e nelle tue viscere il calore della “benedizione” di Dio o rischi di imprigionarti nella rabbia, nello sconforto, nell'abbandono di un ministero che dà ossigeno ai tuoi giorni.

Papa Francesco non ha per ora rotto questa catena. La sua tragica ambiguità, a mio avviso, sta in questa doppiezza: scomunica i mafiosi, ma scomunica anche i teologi, le teologhe, i credenti che cercano vie nuove di fedeltà al Vangelo nel mondo di oggi. A mio avviso, se non si rompe questa pratica inquisitoriale, non si va al nodo del problema. Senza la libertà di ricerca, senza la “disobbedienza”, senza nuovi linguaggi la nostra Chiesa esaurirà presto il “vento di speranza e di empatia” che sta soffiando. Qui si tocca l'impianto strutturale e, senza questa “conversione”, nella nostra Chiesa – che noi scomunicati continuiamo ad amare – si ripeteranno per secoli formule venerande confondendo il rispetto e l’amore della tradizione con il tradizionalismo.

Non siamo chiamati/e a ripetere, ma a riscoprire, a dire oggi l’indicibile ed affascinante mistero di Dio.

Animatore della comunità cristiana di base di Pinerolo, Via città di Gap 13

OGGI CHIUDE L'UNITA'






Signore, tu hai parlato e continui a parlarci

La tua parole: é come il pane,

saziaci.

La tua parola é come l'acqua,

dissetaci.

La tua parola é come il cielo,

allargaci.

La tua parola é come la terra,

radicaci.

La tua parola é come la pioggia,

feconda la nostra terra inaridita.

La tua parola é come il martello,

distruggi le nostre resistenze.

Sii benedetto per la tua parola di

vita.

Amen


(Riforma, 18 luglio)

 

La guerra ai grandi evasori non è mai stata aperta

La lotta all'evasione fiscale consentirebbe di far rientrare nelle casse pubbliche miliardi di euro. E allora diventa lecito chiedersi il motivo per cui non si investono risorse per adottare strumenti efficaci di contrasto, potenzialmente in grado di risollevare il nostro Paese in termini di sviluppo e di competitività.
MARIO PULIMANTI

Aumentano in Italia, secondo l'Istat, le disuguaglianze fra ricchi e poveri e tragicamente aumenta soprattutto la percentuale e il numero dei poveri. Relativi e, soprattutto, assoluti. Ad illuminarci sulle ragioni di una forbice sempre più larga nella distribuzione della ricchezza viene ora uno studio di Equitalia sul recupero delle somme sottratte al fisco dagli evasori dove con chiarezza viene dimostrato che il recupero riguarda il 40% delle somme dovute dai piccoli evasori (meno di 1000 euro) e il 25% di quelle dovute dagli evasori medi (da 1000 a 10000 euro). Se la cifra supera il mezzo milione di euro, però, la percentuale di recupero scende a un ridicolo 2%. Perché? Perché chi ha molti soldi mette in moto, quando sente il rischio di dover pagare, strumenti sofisticati e vincenti di difesa; presentandosi al Fisco come «fallito» o come apparentemente nullatenente. Sulle cui disponibilità reali e sui cui conti correnti bancari (italiani ed esteri), sui cui prestanome e sulle cui eventuali partecipazioni a società, però, l'Agenzia delle Entrate non può indagare.
Direttamente né con l'aiuto della Guardia di Finanza. Il sistema fiscale italiano ha dato così un suo contributo all'aumento della povertà? Sì. Occupandosi dei piccoli ma evitando accuratamente di iniziare una guerra, necessaria e sacrosanta, ai grandi evasori. Lo farà Renzi? Sperarlo é lecito mentre il governo si prepara in agosto a presentare la sua riforma del Fisco?  
Luigi Cancrini

(L'Unità 21 luglio)

E Schettino va al party a Ischia

Sotto processo a Grosseto per il naufragio del 13 gennaio 2012 che provocò 32 vittime, l'ex comandante della Concordia Francesco Schettino non ha voluto far mancare il proprio ottimismo alla vigilia della partenza del relitto dal Giglio: «Ho fiducia, sicuramente andrà tutto bene», ha detto agli amici che sabato sera erano con lui a una festa a Ischia. Mentre al Giglio erano in pieno svolgimento le operazioni per far ripartire la nave, lui si rilassava in vacanza. Abbronzato, sorridente, vestito di bianco: cosi l'uomo è ritratto nelle foto pubblicate dal quotidiano II Golfo e catturate durante un white party in una villa privata. Alla festa, organizzata dall'editore Piero Graus, Schettino sarebbe stato invitato perché prossimo alla pubblicazione di un libro in cui racconta la propria verità sulla notte della tragedia. «Ogni anno organizzo questi incontri con i miei autori» ha spiegato Graus. «Schettino è una persona profondamente colpita da quel che è accaduto, una persona che si porta dentro un dolore fortissimo».

(Repubblica 23 luglio)

Adesso il Patto c’è. E la salute?

Ora il Patto per la Salute c'è. E dovrebbero esserci i soldi per il Ssn per il triennio 2014/2016. I "governatori" regionali e la ministra Lorenzin si auto-incensano per la firma, perché è stata raggiunta un'intesa che rafforza la sanità. E' vero che il Patto indica un interessante percorso - i risparmi sui servizi reinvestiti negli stessi, lo sviluppo della medicina del territorio, la programmazione, gli standard qualitativi e quantitativi - però i "buchi neri" non mancano. Come la riduzione dei posti letto e il rinvio al 31 dicembre dei Livelli essenziali di assistenza, le prestazioni alle quali hanno diritto i cittadini. Prevedibili le critiche di associazioni dei pazienti e dei medici, come l'Anaao e la Fimmg, perché sono state escluse dalle decisioni. Quindi il Patto è solo un accordo di vertice, per spartirsi la "torta" dei soldi? No, certamente. Però non coinvolgere camici bianchi e cittadini è stato un errore. Senza di loro, la Salute non migliora.
guglielmpepe@gmail.com

(Repubblica 15 luglio)

mercoledì 30 luglio 2014

GENOCIDIO

Genocidio.   

Abou Roxas

Nome palestinese

di Rosario Amico Roxas

 


 

Quando la terra non sa di pane …               

 

 

Incontrai i palestinesi nel 1991 a Tunisi; erano sistemati alla periferia di Hammam Liff, cittadina immediatamente  a sud di Tunisi. Erano i profughi di Sabra e Shatila, ma è più corretto dire che erano i pochi superstiti di quella immane strage.

Il primo incontro fu assolutamente casuale; terminato il mio lavoro, mi recavo in una dei grandi alberghi in  Avenue Bourguiba; solo lì era possibile incontrare altri operatori stranieri, scambiare quattro chiacchiere e bere qualcosa stante che nei normali bar non si trova nulla.

A piccoli gruppi entravano in questi alberghi, senza consumare nulla, si sedevano e cercavano in tutti i modi di attirare l’attenzione degli stranieri per dialogare con loro e narrare la loro tragedia, visto che nel mondo occidentale non se ne parlava più.

Ricordo bene quel giorno del nostro primo incontro; erano in tre, indossavano abiti che avevano vissuto tempi migliori, ma cercavano di mantenere un atteggiamento dignitoso, quella dignità che si porta dentro anche nei momenti peggiori.

Un cameriere aveva insistito perchè consumassero, ma  non potevano…per ovvie ragioni. Fu allora che intervenni e li invitai al mio tavolo; così consumarono una spremuta di arance….a testa.

Parlarono di loro, delle loro famiglie, di quanti erano arrivati in Tunisia. Ringraziavano il governo tunisino per l’ospitalità, ma lamentavano la mancanza di un lavoro che permettesse loro di guadagnare l’indispensabile per vivere; un lavoro qualsiasi, purchè onesto (ci tenevano tanto a specificarlo). Due di loro erano medici e il terzo era ingegnere di 2°  livello (il nostro geometra); attendevano di essere chiamati a Gaza, per tornare nella loro terra ed essere utili al loro futuro paese.

Ci incontrammo parecchie volte, sembrava un appuntamento serale, che spesso si concludeva in una trattoria molto modesta, dove si consumavano, però, pietanze tipiche; ritenevano uno spreco inutile  andare in un ristorante.

Un giorno mi invitarono nel villaggio dove risiedevano; avevano tardato a rivolgermi l’invito per avere il tempo di preparare una accoglienza superiore alle loro possibilità .

Fu allora che incontrai  Ibrahim Slimane, già direttore dell’Istituto di filosofia islamica a Beirut, ma residente a Sabra in quanto palestinese e, come tale, emarginato; era giunto con la moglie e la figlioletta di dieci anni (oggi veterinaria in Libia e docente di genetica bovina all’Università di Tripoli).   Aveva perso due figli, ma li attendeva ancora, convinto che fossero vivi e che stessero cercandoli, senza sapere dove cercare.

Rimase poco tempo ad Hammam Liff, perché fu invitato dal governo algerino ad assumere la direzione dell’istituto di filosofia islamica di Hanneba (l’antica Ippona).

Mi fece ottenere l’invito come osservatore  a Il Cairo, in occasione dell’annuale congresso dei filosofi arabi, per quell’anno, 1997,  presieduto proprio da lui, trattandosi di uno dei massimi filosofi allora viventi, universalmente riconosciuto nel mondo arabo. Quell’anno, al termine del congresso fu stilato un documento con il quale si prospettava la soluzione del dramma dei palestinesi con la creazione di DUE STATI Confederati per UN Popolo (i semiti):

·       Stato semita ebraico 

·       Stato semita palestinese

ma furono poste delle condizioni che resero la proposta inaccettata dal governo sionista, nel quale imperava Ariel Sharon, bollato dagli ebrei semiti come “macellaio di Sabra e Shatila”. Si voleva la restituzione della Palestina ai semiti, escludendo i sionisti; si chiedeva il ritiro delle basi americane e il disarmo nucleare. Il documento fu firmato anche dagli intellettuali israeliani, ma fu respinto dal governo sionista.

Il mio rapporto con Ibrahim si intensificò, da lui appresi quel poco che adesso conosco dell’Islam.

Nel 1998 , in occasione del Ramadhan seppi che avrebbero rinunciato al sacrificio dell’agnello, perché troppo caro per le loro finanze. Accetto di raccontare come quell’anno arrivai ad Hammam Liff con quattro agnelli, perché fu l’occasione nella quale mi venne riconosciuto il nome Abou Roxas, del quale vado orgoglioso.

Portai quattro agnelli perché il gruppo si componeva di quattro sotto-gruppi, assimilati per tribù.

All’ora del sacrificio, chiesi che i quattro maggiorenti, riconosciuti come capi, si alternassero, in segno di unità dell’intero gruppo; così avvenne, ma invitarono me, cattolico e cristiano, a guidare la preghiera, per la quale esordii “As-salam Aleikun” ben conoscendo la doppia natura di quell’invocazione “la pace sia con voi”, ma anche il 15° nome attribuito a Dio, e quindi “Dio sia con voi”; capii che quella preghiera era il loro modo di essere in comunione con Dio, mentre il modo cristiano è ancora fermo al “fare la comunione”. Fu lo steso Ibrahim  a chiamarmi per primo Abou Roxas e tale sono rimasto fino al mio rientro in Italia nel 2002.

Trasferito ad Hanneba con quello che restava della sua famiglia, così mi  recavo ogni fine settimana a trovare quel mio amico; coltivavamo il desiderio di tradurre in italiano l’imponente “Storia Universale di  Walī al-Dīn Abd al-Ramān ibn Muammad ibn Muammad ibn Abī Bakr Muammad ibn al-asan al-aramī, più noto come Ibn Khaldūn; lui traduceva in francese ed io riportavo in italiano, ma con la certezza di avere utilizzato il più vero significato di ogni singola parola.

Non andammo oltre la Muqaddima, cioè l’introduzione, dove pure viene anticipata di oltre cinque secoli, l’esordio della sociologia come scienza.

Le traversie patite gli avevano prodotto un cuore polmonare cronico; mi aveva chiesto una di quelle bombole di ossigeno portatili e ricaricabili che in Algeria non si trovavano. Nel corso di uno dei  miei  rientri in Italia, trovai quella bombola e telefonai per dire che l’avrei portata presto; fu la moglie a dirmi che non sarebbe più

servita. Scrivo ciò per rendere omaggio ad un amico prezioso e un maestro irripetibile.


Quando la terra non sa di pane   

(Ai fratelli Palestinesi)

 

Nell’oscurità del tempo

è stata scritta la nostra condanna,

nera fuliggine dentro uno scorcio di cielo.

I figli di Sem e di Abramo

rivendicano il diritto ad esistere uccidendosi a vicenda,

mentre le parole d’amore

dell’Unico Dio si perdono

nell’inospitale deserto dei valori.

Ci hanno vestiti con gli abiti del perdente,

con la maschera della ferocia, con le ciabatte del burattino,

mentre nel nostro petto c’è  la corazza  del combattente.

Le reliquie della meschinità, la crudele avidità,

hanno vanificato ogni sforzo, violentando  la verità:

Abele si è suicidato.

Il destino dei vinti ha mortificato la nostra volontà,

ma non il nostro diritto di esistere.

Cerchiamo di mettere le briglie alla memoria,

per dimenticare millenni di persecuzioni,

ma tutto torna alla mente con impietosa crudezza,

tutto si ripete con drammatica puntualità.

Naufraghi dentro la pozzanghera degli egoismi,

cerchiamo invano una parola  di solidarietà,

una riva amica non venduta al più forte.

La felicità è un’eco lontana che non ci appartiene da secoli;

balenio di speranze, sogni, illusioni,

tragica memoria di tante amarezze senza alcuna gioia,

tante rinunzie e nessuna vittoria.

Scorre dentro il nostro sangue il tempo impietoso,

continua l’inutile ricerca della nostra  Patria,

senza un attimo di sosta.

Presagio di una fine che non ha avuto un inizio.

In questa tragica realtà

la nostra terra non sa di pane,

come la nostra casa non sa d’amore.

Morti dentro, cercano ancora di ucciderci.

La Speranza è un sogno da ricchi !

Solo orizzonti offuscati da nuvole gonfie di fiele.

Anche il giorno comincia con il tramonto.

Stiamo arrivando all’ultima goccia nel bicchiere.

Cerchiamo un chiodo per appendervi l’anima.

Hallahu akbar (Dio solo è il più Grande).

 

Abou Roxas

Nome palestinese  di Rosario Amico Roxas

 

 



PREGHIERA

Dio é seduta e piange: la meravigliosa tappezzeria della creazione,

che aveva tessuto con tanta gioia, è mutilata, é strappata a brandelli,

ridotta in cenci; la sua bellezza é saccheggiata dalla violenza.

Dio è seduta e piange,

Ma. guardate, raccoglie i brandelli per ricominciare a tessere.

Raccoglie i brandelli delle nostre tristezze, le pene, le lacrime, le frustrazioni

causate dalla crudeltà, dalla violenza,

dall'ignoranza, dagli stupri, dagli assassinii.

Raccoglie i brandelli di un duro lavoro,

degli sforzi coraggiosi, delle iniziative di pace,

delle proteste contro le ingiustizie.

Tutte queste realtà che sembrano piccole e deboli.

Le parole, le azioni offerte in sacrificio,

nella speranza, nella fede, nell'amore.

Guardate! Tutto ritesse con il filo d'oro della gioia.

Dà vita a un  nuovo arazzo, una creazione ancora più ricca,

ancora più bella di quanto fosse l'antica!

Dio é seduta, tesse con pazienza, con perseveranza

e con il sorriso che sprigiona come un arcobaleno

sul volto bagnato di lacrime.

E Ci invita a non offrirle soltanto i cenci e i brandelli delle nostre

sofferenze e del nostro lavoro.

Ci domanda molto di più.

Di restarle accanto davanti al telaio della gioia,

e di tessere con lei l'arazzo della nuova creazione.

M. Riensiru

CONTRO I SANTI PROTETTORI

"Le donne non hanno bisogno di santi protettori, ma di uomini dialoganti ed accoglienti, compagni di viaggio nella fatica e nella gioia della liberazione che ci coinvolge tutti e tutte" (Marie Laprime).

SE PER ESSERE ASSUNTI CONTA PIU’ IL PESO CHE IL CURRICULUM

Secondo una recentissima ricerca Gallup condotta negli Usa esiste una stretta correlazione tra disoccupazione e obesità. Più a lungo si è disoccupati, più probabilità si hanno di diventare obesi. E di conseguenza di sviluppare malattie cardiovascolari. Fin qui niente di sorprendente, se non fosse che lo stesso studio rivela che i datori di lavoro evitano di assumere soggetti sovrappeso, proprio perché li considerano ad alto rischio di malattie cardiache e circolatorie. E dunque i disoccupati a lungo termine hanno molte meno possibilità di essere reimpiegati. E' il classico serpente che si morde la coda, La causa che diventa effetto e viceversa.
Dall'indagine emerge in filigrana che il corpo è diventato il parametro dominante, il principale termometro della persona e della sua identità. In altri tempi sia i ricercatori sia i datori di lavoro avrebbero valutato una serie più complessa di fattori. Come le competenze, la capacità di aggiornamento, la disponibilità alla riconversione lavorativa, l'efficienza, il livello di motivazione. Insomma i diversi indicatori della flessibilità e delle abilità dell'individuo. Adesso invece contano soprattutto peso e misure. Così si valuta il corpo e non la testa. Riducendo la dimensione dell'essere alla sua dimensione meramente fisica. In una società che ha sempre meno criteri e valori ideali e si affida a parametri materiali e indicatori quantitativi, quasi biometrici, ad essere decisiva non è più la persona ma l'efficienza della macchina corporea. Stiamo tornando insomma all'idea dei lavoratori come braccia Anzi come sistema cardiovascolare. Ovvero come nuda vita.
Marino Niola

(Il Venerdì 11 luglio)

SE LA CHIESA TOGLIE AI B0SS IL PRESTIGIO RELIGIOSO

Se la Madonna si inchina ai boss, la religione si trasforma in una blasfema parodia di se stessa. Ma questa volta la Chiesa dice basta. E ingaggia una guerra di simboli con i clan. L'episodio calabrese di Oppido Mamertina, dove la processione della Vergine delle Grazie si è fermata davanti alla casa di un capo della 'ndrangheta agli arresti domiciliari, segna l'inizio di una battaglia tra la fede autentica e una devozione asservita alla malavita. Non è un caso che il fatto segua di poco la scomunica contro la criminalità organizzata lanciata a Sibari da Papa Francesco, Qualcuno ha visto infatti nel gesto una reazione critica alle parole del pontefice. Che evidentemente hanno toccato un punto nevralgico delle relazioni tra i poteri locali. Non a caso in questi giorni molti affiliati alle organizzazioni malavitose hanno disertato le messe in carcere.
Finalmente viene alla luce quello che era un segreto di Pulcinella. E cioè che i boss usano la religiosità popolare come un instrumentum regni. Un'arma straordinariamente pervasiva di autolegittimazione. Come ha sottolineato il vescovo di Reggio Calabria, attraverso forme tradizionali di affiliazione religiosa come il padrinaggio e il comparatico passano sottotraccia forme di affiliazione criminale. Non a caso i boss si chiamano padrini. Come dire che dalla fede le mafie ricevono prestigio e restituiscono contagio. Grazie anche all'ambigua neutralità di quei preti-Don Abbondio che hanno spesso chiuso un occhio davanti a certi usi e abusi della fede. Evidentemente la Chiesa ha deciso dl non lasciare più soli magistrati e prefetti. E la saldatura di questo circolo virtuoso fa paura ai clan.
Marino Niola

(Il Venerdì 18 luglio)

martedì 29 luglio 2014

IL PAPA INCONTRA I PENTECOSTALI

Alcune persone mi hanno interpellato per sapere che cosa io pensi dell'incontro di papa Francesco con la comunità pentecostale di Caserta in cui svolge il ministero pastorale un suo caro amico.
Penso che rispettare l'amicizia sincera di due persone  costituisca un valore. C'è di più: penso che incontrarsi, con intenzioni pulite e rispettose, tra fratelli e sorelle nella fede sia una esperienza positiva.
Certo, l'ecumenismo ha bisogno di ben altri passi, ma anche questo è un momento creativo e costruttivo. Caricare di un significato eccessivo questo incontro costituisce una ingenuità teologica.
Tuttavia in un momento in cui prevalgono le "trincee", gli arroccamenti e i sospetti reciproci, preferisco sottolineare il coraggio di questa  iniziativa e la volontà che essa manifesta  di non escludere nessuno dal dialogo tra i cristianesimi diversi.
Il papa non è ingessato e non si è lasciato imprigionare nel " territorio cattolico". Già questo è un buon segnale che evidentemente non è piaciuto a quei cattolici curiali che vivono le identità confessionali come steccati da preservare anzichè muraglie da abbattere.
don Franco Barbero

ANCORA UN INCHINO DELLA MADONNA E DEI MAFIOSI

A Palermo ancora una processione che porta la statua della madonna ad inchinarsi al boss: "L'ultimo padrino di Cosa Nostra è rinchiuso nella sezione "41bis" del carcere di Novara, ma è come se fosse ancora tra i vicoli di Ballarò, qui dove due anni fa portava orgoglioso la vara della madonna del Carmine. Domenica scorsa il boss Alessandro D'Ambrogio non c'era. Ma la processione ha voluto comunque rendergli onore: si è fermata proprio davanti all'agenzia di pompe funebri della sua famiglia" (La Repubblica, 29 luglio).
Dentro la chiesa cattolica lo scontro è aperto.
I nemici del rinnovamento sono quei parroci, "prostituti del potere mafioso", che continuano questa oscena alleanza e non hanno il coraggio della svolta. Il segnale di papa Francesco è chiaro e interpreta evangelicamente una larga parte del popolo di Dio, stanco di queste compromissioni putride e blasfeme.
don Franco Barbero

DAL LIBRO DELLA SAPIENZA

Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l'avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all'esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

Quando è troppo…

Ho sempre molto apprezzato – e poco praticato – l'elogio della lentezza. Però, quando è troppo, diventa ritardo storico ed immobilismo. Dalla base ecclesiale cattolica arrivano richieste sul celibato facoltativo dei presbiteri, sulla pari opportunità di ministero per le donne, sulla morale sessuale, sulle seconde nozze, sulla piena accoglienza degli omosessuali. L'elenco si farebbe lungo.

Non posso che apprezzare queste richieste perché esprimono la vivacità dei credenti della chiesa cattolica. Ma mi sembra che la lentezza con cui tali questioni vengono percepite dal magistero, sia sconcertante. Si tratta di questioni aperte da secoli.

Per piacere, anzi per grazie di Dio, diamoci un po' di brio e giriamo pagine. Qualcuno cominci a trasgredire, cioè ad andare oltre. Modestia a parte, quando il 4 febbraio 1978 annunciai la benedizione di Dio al matrimonio di due omosessuali, decisi che il tempo dell'attesa era finito e passai all'azione.

don Franco Barbero

BOENIG

Tecnologia, complessità, frontiere, guerre… Ormai dalle metropolitane, alle ferrovie, dagli aerei alle autostrade, tutto diventa ingovernabile. L'illusione di "controllare tutto" è delirio di onnipotenza e continua una strage parallela a quella delle guerre.

Quando il dialogo è malato

Sulla parola dialogo scorrono fiumi di inchiostro. Intere biblioteche ne tessono l'elogio. A ragione. Senza dialogo non c'è futuro nel mondo e nella chiesa, tra le culture e le religioni. Come sarebbe la nostra vita quotidiana senza la pratica del dialogo?
Tutti ne siamo convinti/e. Soprattutto siamo quasi inconsciamente convinti di essere degli ottimi dialoganti: un esemplare autoritratto.
Ma il "gioco" ha delle carte nascoste difficili da riconoscere e smascherare.
Quando avviene un conflitto o si registra una distanza profonda nel nostro modo di "stare al mondo", in un'associazione o in una comunità, può succedere che si creda di mettere tutto sul conto di una "rivalità personale". Tre o quattro anni dopo, la versione cambia: sono gli altri che non sanno dialogare, che non sanno vivere la convivialità delle differenze…
E così via… e si trova un'altra scusa. Ritorna a prevalere la concezione "cattolica", travestita e mascherata, per cui il dialogo con persone intelligenti progressivamente porterebbe queste persone sulle nostre posizioni: bisogna avere pazienza perché maturino lentamente.
In sostanza, vanno bene tutte le differenze, ma la mia differenza è migliore della tua. Il tutto, beninteso, nella citazione quasi quotidiana della convivialità delle differenze, con la sincera convinzione che il "ritardo" degli altri presto o tardi sarà colmato. Soprattutto con la coscienza di essere maestri dell'arte del dialogo. Chi da venti o trent'anni in una comunità si sente impartire dalla solita cattedra lezioni di dialogo, evidentemente avverte qualcosa di più di un disagio.
Credo che sia possibile un'altra strada: vivere in modo riconciliato le distanze e saper talvolta accogliere la loro irriducibilità non carica il dialogo di onnipotenza, permette di vivere anche le più profonde differenze senza farle diventare contrapposizioni. Lasciarle esistere come normali, sane, creative , motivate, capaci di determinare scelte nuove.
Forse qualche volta è proprio il caso di tessere l'elogio del conflitto e vivere tutto il carico di sofferenza e di responsabilità per far nascere cose nuove e per tentare di guarire le nostre patologie da dialogo e i nostri dialoghi malati.

Franco Barbero

MAFIA E CHIESA

Il brano sui rapporti tra le mafie e la Chiesa cattolica era, a mio parere, il più impressionante dell'intera conversazione tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari. Vero che c'e stato il precedente di Karol Wojtyla quando nella Valle dei Templi di Agrigento ( 1993) lanciò il famoso grido "Mafiosi convertitevi!". Quello rimase però un gesto praticamente isolato, al quale non seguirono comportamenti conseguenti da parte di autorità e rappresentanti della Chiesa. Né si può chiedere che tutti i parroci abbiano la statura morale e la tenuta eroica di preti come Pino Puglisi o Giuseppe Diana uccisi per la loro determinazione contro i criminali. Le intenzioni di Francesco sembrano diverse. Quando afferma: «La nostra denuncia della mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante», proclama un atteggiamento e un impegno che non hanno precedenti. Nel saggio La mafia devota di Alessandra Dino (Laterza) uno dei punti critici che venivano indicati era esattamente la divisione e l'incertezza di una Chiesa dalle molte anime, in cui l'opera dei sacerdoti impegnati a diffondere una pastorale antimafiosa si è spesso scontrata con l'atteggiamento condiscendente di altri religiosi. Una Chiesa divisa che rischia di mettere a repentaglio la vita dei sacerdoti che s'impegnano e, per un altro verso, si offre alle organizzazioni criminali che ne ricavano grande profitto in termini di strumentale legittimazione. Alle stesse conclusioni arriva del resto un altro saggio Le sagrestie di cosa nostra ( di Vincenzo Ceruso - Newton Compton editori) dove si legge che proprio su queste incertezze si fonda il convincimento di molti mafiosi di conciliare due attività: uccidere e pregare.
Corrado Augias

(Repubblica 15 luglio)

Prima l’insulto razzista poi le scuse

UN MOMENTO di follia, di impotenza sportiva, e scatta l'atteggiamento razzista. E' accaduto a Fabio Fognini ad Amburgo, durante il match di primo turno perso con il serbo Krajinovic. Prima di un servizio, mentre riceve la pallina dal raccattapalle, gli scappa un «Zingaro di m...». Il momento viene registrato da uno spettatore e il video finisce sul web. Ed é su Twitter che Fognini poi si scusa: «Dato che è la cosa più importante di cui parlare non mi vergogno a dirlo: ho sbagliato, non volevo offendere nessuno. Conosco Filip molto bene e chi fa sport sa che a volte si va oltre dicendo cose senza senso, non volevo offendere nessuno. Ripeto ho sbagliato!!! Spero che voi giornalisti riportiate anche questo! Grazie».  

(Repubblica 18 luglio)

Dallo spaccio al coca party. Milano, sacerdote in manette

MILANO. Un sacerdote è stato arrestato mentre partecipava a un coca party, in un appartamento di piazza Anghilberto a Milano. Don Stefano Maria Cavalletti, in servizio presso la parrocchia di San Giuseppe e Biagio a Carciano (Stresa) , é stato arrestato dagli agenti di polizia per ordine del pm Cristiana Roveda su convalida del gip Paolo Guidi. Su di lui pende l'accusa di detenzione di droga ai fini di spaccio. Tutto è nato dalla segnalazione di alcuni vicini che dopo aver sentito uno degli invitati urlare hanno chiamato il 113. Sul posto, i poliziotti hanno trovato un grande quantitativo di cocaina nel water. Il prete aveva cercato di disfarsene buttandola nel gabinetto, e lo stesso aveva fatto col passaporto, fatto a pezzi e gettato nel tentativo di non essere identificato. Il parroco - unico arrestato - ha ammesso di avere la droga davanti agli inquirenti durante l'interrogatorio di garanzia. Cavalletti ha spiegato di fare uso di cocaina perché caduto in depressione dopo un'altra vicenda che lo aveva coinvolto. A settembre era stato condannato per truffa a un'anziana che gli aveva versato 22mila euro sul conto corrente. (luca de vito)

(Repubblica 17 luglio)

lunedì 28 luglio 2014

[SdG] IN RICORDO DI DON GERARD




 

Dopo alcuni mesi di malattia, la notte scorsa è morto a soli 52 anni
il sacerdote congolese Gerard Kipasa, che dal 2010 era presbitero
presso la parrocchia del quartiere di San Lazzaro a Pinerolo.
Alcuni di noi hanno avuto l'occasione di conoscerlo e di incontrarlo
in diverse occasioni, in particolare per la preparazione della
celebrazione eucaristica per le vittime dell'omotransfobia che lui
stesso celebrò il 26 maggio 2013 a Pinerolo.
Vogliamo ricordare con affetto la sua disponibilità e sensibilità, e
pregare per lui.

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La Scala di Giacobbe

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COMUNITA' NASCENTE DI TORINO


In piena estate siamo riusciti a mettere insieme una eucarestia ben partecipata e un pomeriggio di vero approfondimento.
Dario Robasto e Franca Avaro, della comunità di base di Via città di Gap a Pinerolo, si sono uniti alla nostra eucarestia domenica 27 luglio.
 Sono davvero importanti questi momenti di approfondimento del primo pomeriggio. Abbiamo cercato di chiarire qual'è la prospettiva di una chiesa  plurale-inclusiva nell'orizzonte di "Noi Siamo Chiesa". In tale prospettiva che comprende cambiamenti significativi (pari opportunità e dignità di uomini e donne nella chiesa, piena accoglienza per omosessuali-lesbiche-transessuali, celibato facoltativo dei presbiteri.....), si possono ritrovare in profonda sintonia parrocchie, centri di spiritualità, comunità religiose varie, comunità cristiane di base, gruppi di lettura biblica, teologi e teologhe.... Insieme si può lavorare per una chiesa povera ed accogliente.
L'impegno non è quello di raggiungere una piena unità sul piano dogmatico, ma di creare convergenze pastorali e di evitare atteggiamenti di esclusione, favorendo il pluralismo teologico.
Abbiamo vissuto un pomeriggio di vero approfondimento quando abbiamo cercato di individuare e capire quali siano le "tensioni" interne alla chiesa cattolica e le forze che ostacolano il rinnovamento.
Anna Serafini ci ha illustrato le adesioni, davvero significative, alla nostra "Lettera al papa e alle comunità cristiane"-.
La lettera è ora stata spedita al papa.

Ci troveremo il 31 agosto e nel pomeriggio parleremo del Sinodo dei vescovi di ottobre: " Che cosa è un Sinodo? Quali argomenti tratterà?". Nel mattino celebreremo l'eucarestia e pranzeremo insieme. Molti saranno in ferie, ma altri non mancheranno all'appuntamento.

Domenica 28 settembre inizieremo alle 10,15, sempre in Via Principe Tommaso 4, con la celebrazione eucaristica e il pranzo autogestito. Nel pomeriggio ci confronteremo dalle 13,30 alle 15,15 su "PERSEVERANZA", il libro di cui abbiamo tanto parlato. Alcuni lo stanno leggendo. L'autore è Salvatore Natoli, Ed. Il Mulino, euro 12.
Sarebbe davvero significativo che tutte e tutti lo leggessero per un confronto approfondito.
Un abbraccio a tutta la comunità.
don Franco


DOMENICA 10 AGOSTO

Domenica 10 agosto, seconda domenica del mese, celebriamo l'eucarestia alle ore 10,15 nella sede di Via Città di Gap, 13.
Svolgeranno la predicazione Francesco Giusti e Valentina Pazè.
Tutti gli incontri comunitari sono aperti alle persone che lo desiderano.
Chi viene dall'esterno può fermarsi per uin pranzo autogestito.
Per informazioni  339/4018699 Fiorentina

COMUNITA' CRISTIANA DI BASE DI PINEROLO

Ci troviamo per celebrare l'eucarestia venerdì 1° agosto alle ore 21 in Via città di Gap 13 secondo piano.
Svolgerà la predicazione Franca Gonella.

L'INSEGNAMENTO DELLA "CONCORDIA"


La visione della nave Concordia, ormai messa in sicurezza nel porto di Genova, per essere penosamente smantellata, ci mostra, in unica soluzione, la stupidità umana che ha provocato il disastro, coniugata con l'intelligenza umana, in grado di neutralizzare la stupidità e salvare, quanto meno, il salvabile, limitando i danni irreversibili.

Potrebbe trattarsi di un insegnamento, per richiamare le intelligenze a salvare un'altra nave che rischia di affondare per colpa e responsabilità di un solo stupido e presuntuoso, che ancora non si arrende alla sua manifesta stupidità.

Le intelligenze, le competenze  ci sono in Italia, ma fuggono di fronte alla  meritocrazia rinnegata  che preferisce esaltare i servi avidi e incompetenti, e mortificare le intelligenze autonome e critiche.

E’ la nave Italia che rischia il naufragio, tant’è che molti topi di cambusa cercano la via della fuga; gli stessi topi che hanno rosicchiato i gangli portanti della nave per saziare il loro mai sazio appetito.

 

Rosario Amico Roxas



RITIRATE LE DIMISSIONI

Due mesi fa rassegnai le dimissioni dall'associazione F.A.T. Gli anni, le forze diminuite, i troppi impegni. Era stata una decisione sofferta perché l'impegno con i tossicodipendenti per me ha ormai una storia lunghissima: il primo ragazzo mi contattò il 7 ottobre 1981 e da allora il F.A.T. mi è entrato nel cuore sempre di più ed è cresciuto con l'aiuto di tanti volontari e volontarie.
Abbiamo avviato un confronto fraterno e profondo che ha ritenuto opportuno il ritiro delle mie dimissioni e la mia temporanea permanenza nel ruolo di coordinatore.
Sono sicuro, come è sempre stato, di poter fare affidamento su una serena e competente collaborazione di tutti/e i volontari e del Sert locale.

Franco Barbero

DUNQUE…

I 5 Stelle scendono sulla terra e cominciano a dare segnali di collaborazione politica. I due guru fingono di essere contenti, ma sono stati spiazzati dall'intelligenza e dal senso del bene comune di una pattuglia di coraggiosi fuoriusciti che poi ha trascinato con sé la maggioranza degli eletti 5 Stelle.
Negli ultimi sei anni la Ue ha speso tre miliardi di euro per proteggere le sue frontiere ma soltanto 700 milioni per aiutare rifugiati e richiedenti asilo.

Amnesty International

domenica 27 luglio 2014

IL PROGETTO SIONISTA



Il progetto sionista.   

 

Perché meravigliarsi di ciò che sta accadendo in Israele e nella Striscia di Gaza ?  Si tratta di un progetto sionista antico che trova ogni occasione per aggiungere una tessera  all’intero progetto.

Un progetto dichiarato di cui esistono le prove, solo che nessuno osa ricordare e se qualcuno lo fa ecco che scatta l’accusa di antisemitismo, perché fa comodo ai sionisti di Israele assimilarsi al semitismo per godere del vittimismo per le persecuzioni naziste; ma quelle persecuzioni le subirono gli ebrei semiti, mentre i sionisti se ne stavano negli Usa a preparare la grande invasione della Palestina.  Anche i Palestinesi sono semiti, per cui se di antisemitismo  si vuole parlare, allora si tratta di una accusa da rivolgere agli estremisti sionisti che pensanoi solo alla eliminazione fisica dei Palestinesi.

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Il progetto di spartizione fu considerato come un compromesso provvisorio, utile fintantoché le condizioni non fossero mature per la realizzazione dell’obiettivo finale. Ben-Gurion, allora alla testa del movimento sionista, presentò ai suoi il progetto britannico di spartizione in questi termini:

 

Lo stato ebraico che oggi ci si offre non è l’obiettivo sionista. In questa ristretta regione non è possibile risolvere la questione ebraica. Ma  può servire come fase decisiva sulla strada di una più sostanziale realizzazione sionista. Esso permetterà di consolidare in Palestina, nel più breve tempo possibile, quella reale forza ebraica che ci porterà al nostro obiettivo storico. (Ben-Gurion, citato in Norman G. Finkelstein, Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict,  Verso, Londra e New York, seconda edizione, 2003, p. 15).

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E in una lettera al figlio lo stesso Ben-Gurion chiariva meglio il suo pensiero:

 

Lo stato ebraico, scriveva, avrà “un potente esercito – non dubito che il nostro esercito sarà uno dei più potenti del mondo – e così non ci si potrà impedire di stabilirci nel resto del paese,  cosa che noi faremo o con accordo e mutua comprensione con i vicini arabi o altrimenti….” (David Ben-Gurion, citato in Norman Finkelstein, . Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict,  Verso, Londra e New York, seconda edizione, 2003, p. 18)

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La posizione di Ben-Gurion divenne subito la posizione di tutto il movimento sionista e il 10 ottobre 1937, il rappresentante sionista in Egitto, Feivel Polkes, ribadiva perentoriamente a due inviati del III Reich, uno dei quali era …. Adolf Eichman, che:

 

Lo stato sionista deve essere fondato con ogni mezzo e appena possibile ... Quando lo stato ebraico sarà stato fondato secondo le attuali proposte contenute nel documento della Commissione Peel, e in linea con le promesse parziali dell'Inghilterra, allora i confini potranno essere spostati ulteriormente in avanti secondo i nostri desideri” (citato in Lenni Brenner, “Zionism in the Age of the Dictators”, cap. 8.)

 

Rosario Amico Roxas