venerdì 30 gennaio 2015

“Gli ritirarono la patente, Stato omofobo”

ROMA. Tutto era iniziato quindici anni fa, quando davanti alla commissione per il servizio di leva disse di essere gay. Scelta coraggiosa per un ragazzo di vent'anni. Ma quel coraggio, Danilo Giuffrida, di Catania, lo ha pagato caro. Qualche mese dopo avere fatto coming out davanti ai medici dell'esercito, il giovane ricevette un secondo avviso: doveva andare alla Motorizzazione civile per accertare se avesse i requisiti psico-fisici per guidare. La sua cartella, passata da un'amministrazione all'altra, portava la scritta: «Disturbo dell'identità sessuale». Motivo sorprendentemente sufficiente per sospendergli la patente.
E' iniziato cosi il calvario giudiziario di Danilo, determinato ad avere giustizia. Offeso per la violazione della sua intimità e per quel pregiudizio assurdo che gli ha tolto il permesso di guidare. Prima il passaggio al Tar, poi il processo davanti a due tribunali, fino ad arrivare, ieri, alla sentenza della Cassazione. Quello subito da Danilo, secondo la Suprema Corte, è «un vero e proprio comportamento omofobico», per di più «intollerabilmente reiterato», di cui si è macchiata la pubblica amministrazione. Con queste parole i giudici hanno accolto il ricorso del giovane che aveva ingaggiato una battaglia legale con i ministeri della Difesa e dei Trasporti per violazione della privacy e discriminazione sessuale.
Il suo avvocato, Giuseppe Lipera, aveva chiamato in causa le due amministrazioni chiedendo 500 mila euro di danni. Il giudice di primo grado aveva disposto un risarcimento di 100 mila riconoscendo la grave violazione che, peraltro, aveva suscitato nel  giovane «un sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato». Ma in secondo grado le cose erano poi cambiate. L'appello definì quella cifra «esorbitante», stimando il danno in soli 20 mila euro. La Corte ritenne che la violazione della privacy fosse ridotta a una comunicazione tra due amministrazioni, un «ambito assai ristretto», che «non vi era stato pubblico ludibrio» e che la vicenda era rimasta «riservata».
Non sono d'accordo i supremi giudici. La Terza sezione civile ha disposto il rinvio del caso, per riquantificare al rialzo la cifra, che dovrà essere stabilita da un nuovo tribunale d'appello, sulla scorta dei paletti già fissati dagli ermellini.
"E' vero? Non ci posso credere», ha esultato Danilo, che oggi di anni ne ha 34. «E' la vittoria della giustizia, nella quale ho sempre creduto. Non è la mia vittoria personale, ma di tutta la comunità  omosessuale: sarebbe potuto accadere a chiunque».
Il diritto al proprio orientamento sessuale, «nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione, il cosiddetto coming out», sono tutelati dalla Corte europea dei diritto dell'uomo sin da una sentenza del 1981. «Nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità del fatto, riconducendola ad aspetti endo-amministrativi, è innegabile - hanno scritto gli Ermellini – che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che reiterato) comportamento di omofobia». E' quindi certa «la gravità dell'offesa», fatto rilevante per la quantificazione del danno.
Soddisfatto il presidente dell'Arcigay Flavio Romani, che ha parlato di «sentenza importantissima» della quale «il Parlamento deve fare tesoro, calendarizzando quanto prima il dibattito sulla legge contro l'omo-transfobia in Senato e offrendoci perciò la prospettiva concreta dell'entrata in vigore di quella legge».
Maria Elena Vincenzi

(Repubblica 23 gennaio)