sabato 31 gennaio 2015

I gesuiti lanciano il tour multireligioso

ROMA. Torpignattara, periferia est di Roma. In via Amedeo Cencelli dei ragazzi di un liceo della zona, il Tullio Levi Civita, entrano dentro quello che sembra essere un comune negozio. Prima di entrare si sfilano le scarpe. Oltre un piccolo ingresso, infatti, c'è un luogo speciale, un piccolo tempio indù. Partecipano a quella che una volta era chiamata gita di classe ma che oggi, come racconta Vito Faretina, l'insegnante di religione che li accompagna, «si chiama visita culturale». Uscite, dunque, che non sono più soltanto nei luoghi d'interesse artistico.
Oggi, le gite di classe sono diventate multi religiose, e non soltanto a Roma. Il fenomeno ha coinvolto anche Latina, Rieti, Vicenza, Palermo e Catania. E' il cuore del progetto Incontri, percorsi sul dialogo interreligioso, oggi in grande espansione, e promosso nelle scuole medie e superiori italiane dal Centro Astalli di Roma (la sede italiana del servizio dei gesuiti per i rifugiati). Fino a oggi sono stati portati nei più diversi luoghi di culto fino a 7.648 studenti, 359 classi, 92 istituti in tutto. «Spesso le visite avvengono nel quartiere dove i ragazzi studiano», spiega Bernadette Fraioli del Centro Astalli. «Perché - dice - conoscere la fede di chi vive accanto aiuta a superare gli stereotipi e i pregiudizi più ricorrenti e a scoprire che ogni religione è una realtà complessa e variegata che si può comprendere solo con la conoscenza delle fonti e, soprattutto, con l'incontro diretto». Gli incontri vertono anche su aspetti molto concreti e quotidiani, come i precetti alimentari. «La religione - racconta Faretina - investe ogni dimensione dell'uomo. Così le visite includono percorsi gastronomici. Lo scopo è farci noi prossimi agli altri, e non solo scoprire nell'altro il nostro prossimo, conoscendone anche i cibi e gli stili di vita».
Ancora più in periferia ecco la moschea di via Dei Frassini. Anche qui arrivano scolaresche. Partecipano ai momenti di preghiera. «E quando c'è il Ramadan - spiega l'imam Mohamed Ben Mohamed - , invitiamo le mamme e i figli delle scuole del quartiere a partecipare alle cene che rompono il digiuno al calar del sole. Cuciniamo cous cous, riso di vario tipo, zuppa di verdure. Spieghiamo perché non beviamo alcolici: un uomo è tale quando è cosciente di sé. L'alcol fa perdere coscienza e per questo motivo lo bandiamo».
Cinque anni, cinque percorsi diversi. L'insegnamento della religione e la scuola si aprono alla società civile e si confrontano col pluralismo etnico e religioso, già presente tra l'utenza scolastica, ospitando in classe testimoni esterni delle varie fedi. Poi il percorso s'inverte e le classi, già culturalmente preparate, restituiscono la visita presso il luogo di culto. Racconta Faretina: «Gli studenti del primo armo incontrano un testimone della chiesa ortodossa russa in Salita di Monte del Gallo. Le seconde ricevono un musulmano e si recano alla grande moschea. Le terze ospitano un buddista di tradizione zen giapponese e poi visitano lo splendido tempio cinese in via dell'Omo. Le quarte incontrano una testimone indù e ne visitano il tempio di via Cencelli; oppure ricevono un pastore luterano o valdese, per poi essere accolte nei rispettivi templi. Le quinte incontrano un rifugiato politico che, variamente perseguitato nel suo Paese d'origine per motivi politici, razziali, etnici, religiosi o sociali, racconta ai ragazzi le drammatiche fasi della fuga. Infine è in programma la visita al cimitero «cattolico di Roma». «La volontà - spiega Fraioli - è di superare i pregiudizi e andare oltre gli slogan e le etichette. L'Italia ancora fatica ad accogliere le diversità. Siamo portati a considerarle più come una minaccia che come una risorsa. Quando non si conosce l'altro ci si lascia guidare dai luoghi comuni e dalla diffidenza. La delicata situazione internazionale, la paura del terrorismo, il linguaggio spesso approssimativo dei mass media purtroppo non fanno che erigere ulteriori barriere di reciproche incomprensioni». «Anche le vicende dolorose di Parigi - dice Ben Mohamed - mi portano a dire che occorre ancora maggiore incontro. I musulmani in Europa sono venti milioni. Molti sono nati nei Paesi europei, sono europei a tutti gli effetti. Solo l'incontro isola i violenti, chiunque essi siano».  
Paolo Rodari

(Repubblica 26 gennaio)