lunedì 27 aprile 2015

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA DI DOMENICA 3 MAGGIO

    RAMI SECCHI O TRALCI VIVI?
Giovanni 15,1-8
1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli
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UNA NOTA STORICA IMPORTANTE


Dietro questa contrapposizione tra tralci vivi e rami secchi nel Vangelo di Giovanni "c'è la testimonainza di un dialogo fallito tra due correnti della comunità. Tale Vangelo presenta dei dialoghi che in realtà non sono tali e che, ad una più attenta considerazione, risultano essere delle proclamazioni della propria posizione, a cui anche la controparte deve adeguarsi" (Klaus Wengst, Il Vnagelo di Giovanni).
Il senso positivo di questa pagina si coglie soltanto se andiamo oltre lo spirito e la pratica della polemica e della contrapposizione che purtroppo percorre e devasta un po' tutto il Vangelo di Giovanni. Superando questo scoglio storico e questo aut aut, andiamo alla radice di questa bella immagine agreste e ne cogliamo il senso evangelico.
Questo brano del vangelo di Giovanni viene collocato nella sezione dei "discorsi di addio".
La vicenda terrena di Gesù va verso la sua conclusione e il nazareno parla apertamente della sua fine e di ciò che avverrà dopo. Ovviamente, nessuno ha stenografato o annotato i discorsi di Gesù, anche se molte delle sue parole rimasero come indelebili nel cuore dei discepoli e delle discepole e della gente che lo ascoltava.
Questo "discorso", redatto molto tempo dopo la vicenda storica del nazareno, è più una meditazione della comunità degli anni 100 d.c. che non la memoria delle sue parole. Eppure, ciò che la allegoria della vite e i tralci ci riporta, è la eco fedele dell'insegnamento di Gesù rivisto, meditato e riespresso alla luce di un percorso comunitario in cui si è approfondito il significato del rapporto dei singoli discepoli con la persona e il messaggio del nazareno.


Nessuna confusione


Per quanto l'ultima redazione del vangelo di Giovanni rischi qualche volta, in qualche passaggio, di far scomparire la realtà umana di Gesù avvolgendolo in una luce e in un linguaggio estraneo al profeta di Nazareth e quasi divino, qui il testo fa assoluta chiarezza: l'agricoltore è Dio, il Padre, non Gesù. La nostra vita si svolge nel campo di Dio.
Oggi, alla luce di questa apertura evangelica e del cammino storico di una cultura più ecumenica, abbiamo maturato la consapevolezza felice e liberante che il campo di Dio è più vasto del cristianesimo e che Dio è più grande di Gesù. Nel Suo campo, nel creato, Dio pianta tante viti, tanti alberi, tanti fiori. Egli non ha nessuna vite prediletta, ma fa giungere il Suo amore e irriga ogni piantagione. Come cristiani stiamo superando la tentazione di catturare Dio dentro la nostra esperienza, ma Dio non si lascia ingabbiare.

La vite vera

La comunità di Giovanni, di cui il nostro testo è ecofedele, vede se stessa e ogni singolo membro in un necessario e vitale rapporto con Gesù, la sua testimonianza e il suo messaggio. E' facile capire che cosa c'è dietro, cioè la genesi di questo testo. Con il trascorrere del tempo la comunità aveva compiuto una dolorosa constatazione: alcuni fratelli avevano simpatizzato con il messaggio del nazareno, ma non avevano instaurato un rapporto profondo con la sua esperienza. Le parole di Gesù non avevano raggiunto il loro cuore, non avevano fissato stabile dimora in essi.
Il tralcio non sta solo vicino alla vite: vive se è innestato in essa, se rimane stabilmente nella vite, se si realizza un continuo passaggio di linfa. Alcuni fratelli e sorelle avevano iniziato con un innesto profondo e avevano vissuto una stagione di fede intensa e feconda. Poi avevano pensato che ormai potevano vivere con la linfa che avevano immagazzinato all'inizio del loro cammino o che essa fosse diventata superflua...
Il redattore del vangelo ha davanti a sè questo quadro sconsolante e, riprendendo l'allegoria della vite e dei tralci, ci riconduce alla vita della sua comunità. Che cosa era successo? Questi fratelli e queste sorelle, che non avevano più mantenuto un profondo innesto, erano diventati tralci secchi, ormai privi di vita.

La secchezza


Purtroppo non sappiamo se la comunità giovannea abbia poi accolto questa "messa in guardia" così saggia. Ma spesso, guardando le nostre comunità, mi pare di vedere lo stesso problema: c'è tanta secchezza. Molti cristiani, anche per una colpevole incuranza dei pastori, vedono la loro fede inaridirsi, rinsecchirsi. Dietro una moltitudine di catechismi, di prediche, di riti, di sacramenti... non vedi crescere un profondo inserimento nel cammino e nell'esperienza di vita di Gesù.
Il nazareno resta uno sconosciuto, uno scomparso dietro una montagna di dogmi che non trasmettono linfa, ma perpetuano miti e leggende, verità più fredde del ghiaccio. Se la predicazione non ci innamora di Gesù come può portarci alla fiducia in quel Dio di cui il nazareno è per noi cristiani e cristiane il testimone per eccellenza? C'è amore senza coinvolgimento vitale?

Una indicazione e una promessa

La struttura del testo, se voi leggete dal versetto 1 fino al 17, vi segnala una parola che nell'originale greco ricorre 10 volte: si tratta del verbo "rimanere". Dunque con Gesù e con il messaggio della sua vita occorre instaurare un rapporto stabile e profondo, non passeggero, non momentaneo. L'immagine del tralcio è al riguardo ben eloquente. Questa è l'indicazione cui fa seguito la promessa: porterete molto frutto.
Non si tratta di una promessa da montarci la testa. Si tratta di prendere sul serio la prospettiva che le nostre piccole vite non sono inutili, non sono sterili, che i semi gettati nella direzione dell'amore e della solidarietà non vanno perduti perchè il campo della vita personale e del mondo gode della cura di un agricoltore (v.1) che è Dio. Possiamo seminare e fidarci. Non ho mai sognato cose grandi, ma prego ogni giorno Dio perchè io possa scegliere e percorrere i sentieri della fecondità per non vanificare i Suoi doni e per rendere più abitabile il Suo campo.

E SE......?

E se, anzichè puntare il dito verso altri definendoli rami secchi, convertissimo il nostro sguardo per vedere  il ramo secco che è in me e il tralcio vivo che è nell'altro?.