venerdì 9 ottobre 2015

Il preside punisce la vittima

MONZA. «I compagni? Qualcuno lo ha insultato, qualcuno è stato vicino. Quello che non mi aspettavo era un comportamento del genere da parte del direttore: speravo che parlasse con me, che mi desse un consiglio. E invece perché lo ha messo in corridoio? Perché è gay? Perché non prega con gli altri?». Parla veloce la signora Nadia (i nomi sono di fantasia, c'è la vita travolta di un minore di mezzo) nel suo italiano impastato di romeno. È appena uscita dalla caserma dei carabinieri, firmato il suo esposto, il resto lo valuterà la Procura dei minori. A questa mamma tocca proteggere Marian, figlio 16enne e gay, sbattuto in fondo a un corridoio, da solo, senza lezioni, da mercoledì a giovedì scorso. Lontano dalla sua classe di un istituto cattolico brianzolo, secondo anno di Operatori della ristorazione, da compagni e professori e tutor. Per una foto.
Si vede Marian al mare, in costume, con l'ex fidanzato. Mimano un rapporto sessuale. Una goliardata. Finisce sui social network. «Quello scatto pubblicato su Instagram era pedopornografico - sentenzia il preside A.C. - abbiamo deciso di sistemare il ragazzo in una postazione separata, per capire come affrontare la questione ed evitare discussioni o problemi in classe. È una delle postazioni che vengono usate quando uno studente ha bisogno di ripetizioni. Il ragazzo era con un educatore che lo supervisionava».
Per Nadia, che denuncia la discriminazione al Giornale di Monza e poi ai carabinieri, la storia nasce da lontano. «Questo preside ha sempre messo a disagio mio figlio. Una volta, per punizione, gli ha fatto scrivere cinque pagine sul significato di "gender" e "omosessualità". Ha minacciato di espellerlo quando si è rifiutato di partecipare a una gita perché c'era la messa, e noi siamo ortodossi. Dieci giorni fa lo ha sospeso perché aveva saputo che Marian aveva fatto tardi a una festa. E quando l'ho riaccompagnato, al colloquio, mi ha detto del fatto grave. Della foto». Grave? «Sembra un atto sessuale. Non lo è. Ma non si fa. Ho rimproverato mio figlio. L'ha tolta da Instagram». Nonostante questo, in fondo al corridoio. E un balletto di convocazioni e chiamate a vuoto tra scuola, famiglia del ragazzo e assistenti sociali che lo seguono da un po'. Venerdì, Marian arriva con mamma - che aveva superato un colloquio di lavoro, ora sfumato - carabinieri e servizi sociali. È tornato in classe, è scosso. Ancora il preside: «Non è questione di discriminazione: i cristiani non discriminano, non è nel nostro Dna. Noi accettiamo tutti, abbiamo ragazzi di tutte le religioni. Con la nostra decisione, volevamo proteggere sia il ragazzo sia i suoi compagni».
Cori unanimi di sdegno da Pd a Forza Italia, da Sel ai Cinque Stelle. «Sono senza parole - sbotta Vincenzo Spadafora, garante per l'infanzia - come si può obbligare un adolescente a stare fuori dalla propria aula offendendolo, discriminandolo e marchiandolo nel carattere e nella dignità, soltanto perché gay? Chiederò al Ministero dell'Istruzione di intervenire su chi ha sbagliato».
Alessandra Corica
Massimo Pisa

(Repubblica 30 settembre)