venerdì 12 febbraio 2016

Don Ciotti e la macchina del fango

«E' fuoco amico» quello che di questi tempi viene sparato contro don Luigi Ciotti, il sacerdote fondatore di Libera, una realtà questa che con i fatti dimostra essere tra le più efficaci avversarie delle mafie. Il primo colpo l'ha sparato un affiliato (ora ex), che in un'assemblea generale dell'associazione l'aveva accusata di non essersi accorta del marcio che poi affiorò con Mafia Capitale, dei rapporti con Cosa Nostra del Presidente di Confindustria Sicilia, e dei maneggi di Silvana Saputo nella gestione dei beni confiscati alle mafie. Un secondo colpetto poi partì dal Presidente del Senato, con l'invito al fronte antimafia di guardare bene al proprio interno. Ma la botta più grossa è venuta da un magistrato, Catello Maresca il quale, in un'intervista a «Panorama», afferma che Libera «gestisce i beni sequestrati alla mafia in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale», e che «gli interessi economici l'hanno snaturata». Egli parla anche di presunte «infiltrazioni di persone senza scrupoli che approfittano del suo nome per fare i propri interessi», nonché di uno scadimento dell'iniziale spirito volontaristico in un comportamento «pseudo imprenditoriale».
Mi sia concesso osservare che non trovo molto corretto il modo di porre la questione da parte di Maresca. D'accordo sulla necessità di un maggiore controllo sull'affidamento dei beni confiscati alle mafie e alle cooperative sociali. Ancora, è bene pensare a una riforma dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati. Ma ciò detto dove è scritto che un'associazione debba necessariamente gestirsi solo su base volontaristica? Una maggiore strutturazione non è di per sé indicatrice di snaturamento degli iniziali stimoli ideali. E poi è esperienza comune che il volontarismo spesso dopo le fiammate iniziali tende ad affievolirsi. Una struttura «pseudoimprenditoriale» non è necessariamente qualcosa di negativo. Soprattutto, perché prendere di mira proprio il movimento di don Ciotti, l'uomo che tutte le mafie vogliono morto, «'uomo più a rischio d'Italia» (Huffington Post, 29/9/2014)? L'allerta viene da diverse Procure nazionali, da Torino a Palermo e Caltanissetta, nonché dalla Direzione nazionale antimafia, oltre che da informazioni provenienti dalle carceri, dove girano voci su un possibile «cavallo pazzo» che potrebbe attentare alla sua vita per accreditarsi all'interno delle cosche. Le infiltrazioni mafiose tentano di insinuarsi in tutte le realtà che possono intralciare il malaffare.
Ovviamente don Ciotti ha reagito con vigore, preannunciando denunce contro Maresca: «Noi questo signore lo denunciamo per ripristinare verità e chiarezza onde difendere la dignità di migliaia di giovani che collaborano con Libera». Egli, rispondendo al senatore Lumia del Pd e al vicepresidente della Commissione antimafia Fava, non nega che il tema delle infiltrazioni sia reale. Nonostante ogni sei mesi siano chieste alle associazioni affiliate (1600) delle verifiche «qualche tentativo d'infiltrazione c'è, ed è trasversale a molte realtà». Ma, prosegue, «le realtà che non avevano i requisiti sono state allontanate. Quando abbiamo avuto elementi, siamo andati noi dai magistrati a consegnarli: se alcuni processi sono in atto è anche perché noi abbiamo fornito elementi per istruirli» (Id. 13/1l/16). Con ciò riferendosi anche alle critiche di chi l'ha accusato «di non essere intervenuto per tempo e di aver taciuto sulla situazione a Roma». Circa la gestione dei beni confiscati don Ciotti ha poi ribadito che Libera gestisce solo sei strutture e che non riceve nessun bene: questi sono dati ai Comuni, e poi affidati alle cooperative. I nostri bilanci sono on line. E conclude: «Nessuno metta il cappello su Libera».
A dargli man forte sono scesi Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia: «Le affermazioni di Maresca sono offensive, gratuite e infondate», e Claudio Fava: «Affermazioni calunniose e ingenerose, c'è una falsificazione. In questi venti anni Libera ha anticipato scelte che la politica non ha avuto il coraggio di fare».
Da parte nostra, su queste insinuazioni, aspettiamo ciò che dirà la magistratura, non perché abbiamo bisogno dei giudici per sapere che don Ciotti è un galantuomo, ma perché l'ha chiesto egli stesso questo intervento, querelando Maresca.
Intanto i mafiosi gongolano, soddisfatti che altri (e che altri!) di fatto, facciano il lavoro per loro.
Romolo Menighetti

(Rocca 1 febbraio)