mercoledì 25 maggio 2016

IL CORO DI VOCI CHE AIUTA LE DONNE

«Spesso quando ho vissuto il mio piccolo calvario, ho pensato che fosse meglio accendere una candela che biasimare il buio», scrive Franca, riferendo la frase di Lao-Tzu alla sua esperienza di un tumore del seno. Con questa filosofia antica contro il fatalismo e la rinuncia, le donne hanno aiutato la medicina a cambiare la prospettiva del cancro. Nell'arco di soli cinque decenni la guaribilità è quasi raddoppiata. Ma i nuovi casi continuano ad aumentare. La prossima battaglia va dunque oltre, per conquistare la qualità di vita.
Tre milioni di italiani vivono con una diagnosi di cancro. Come fare in modo che non siano tutte vite sospese? Anche accendendo la candela. Che non vuol dire solo lottare contro il buio della propria malattia, ma anche fare luce sui suoi lati più oscuri, per condividerla, superando i tabù di un evento complesso, che ci spinge invece nel tunnel del silenzio e della solitudine.
Le donne hanno capito per prime che il cancro non si vince da soli: bisogna parlarne con i medici, con i familiari, con i colleghi di lavoro, anche con il pubblico. Quando tre anni fa Angelina Jolie ha dichiarato in prima pagina sul New York Times di aver deciso di togliersi entrambe i seni e le ovaie, per via di una mutazione genetica ereditaria che rendeva altissimo il suo rischio di sviluppare un tumore, ha ottenuto un risveglio mondiale della coscienza femminile sui test genetici e ha trasformato il suo trauma personale in una battaglia sociale di grandissima forza. Cito Angelina come esempio di tutte le altre donne altrettanto coraggiose che decidono di dibattere della malattia nel loro mondo, ristretto o immenso che sia.
Può davvero la loro voce cambiare le cose? Io credo di sì. Non smetterò di ripetere che, quaranta anni fa, la spinta finale a sperimentare la tecnica della quadrantectomia, che ancora oggi salva il seno di milioni di donne nel mondo, mi è arrivata da una paziente. Era una ragazza che stava per sposarsi e mi disse che preferiva morire piuttosto di non poter offrire il suo seno alle carezze del futuro marito. Così le donne hanno spinto la chirurgia ad essere sempre più conservativa, la plastica ad essere sempre più attenta all'estetica, la chemioterapia ad essere più tollerabile. In futuro svanirà lo spettro della caduta dei capelli, che in molti casi già salviamo.
C'è, però, un punto di debolezza nel rapporto tra le donne e la ricerca ed è, paradossalmente, il rapporto con il medico e l'ospedale. L'estrema specializzazione dei medici di oggi fa sì che quando una donna termina le cure della fase acuta rischia la sindrome dell'abbandono: i medici per i quali era al centro dell'attenzione negli spazi dell'ospedale, da un giorno all'altro, la ignorano. Per questo nove anni fa ho pensato di organizzare per le pazienti dell'Istituto Europeo di Oncologia un incontro collettivo dedicato all'ascolto del loro vissuto della malattia.
"IOE (Istituto oncologico europeo) per le donne" è un momento fondamentale, che ogni ospedale dovrebbe organizzare, per capire cosa possiamo e dobbiamo fare per estendere la cura oltre la regressione clinica della malattia, e confrontarci con la sfera emotiva e relazionale delle nostre pazienti. Perché il cancro non si vince da soli.
Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità, è oncologo e direttore scientifico emerito dell'Istituto europeo di Oncologia
(la Repubblica 18 maggio)