sabato 23 luglio 2016

La donna icona: l'ho fatto per tutti noi

Appena uscita dal carcere di Baton Rouge, dove è stata trattenuta per 24 ore, si guarda nella foto che ha fatto il giro del mondo e a stento si riconosce. «È stata un'opera di Dio. Io sono solo un suo strumento. Sono viva e salva e non ho visto nessun ferito. Ora voglio tornare a casa da mio figlio scrive su Twitter e poi su Facebook. Ieashia Evans, 28 anni, madre di un bambino di 5 e infermiera a New York, è "The Queen in the Sundress", la regina in prendisole, come l'hanno ribattezzata i Social network. La ragazza che, sola e disarmata, fronteggia immobile e tranquillissima due agenti in tenuta antisommossa nelle strada della Louisiana. Lo scatto di quel momento è diventato il simbolo delle proteste esplose negli Stati Uniti contro la violenza della polizia verso gli afroamericani.
«Perché l'ho fatto? Perché sono nera. È stato il mio modo di difendere me stessa, mio figlio, la mia famiglia, la mia comunità e tutti quanti dalla violenza razziale», racconta in un'intervista video al gruppo di attivisti neri Young Minds Can girata all'aeroporto prima di tornare a casa, a New York. «Vedere quell'immagine pubblicata ovunque, rilanciata da tutti i social è stata una bella sensazione. Ma non sono cambiata, sono sempre io», spiega. Capelli raccolti, jeans e canottiera fantasia, ai piedi le stesse ballerine borchiate indossate sotto l'abito lungo, Ieshia sembra in imbarazzo di tanta attenzione, allarga le braccia, continua a girare sul posto, si guarda attorno, ride. L'immobilità iconica della donna sola di fronte ai poliziotti armati sembra lontana. Eppure man mano che parla emerge di nuovo. Diventa seria, ritrova compostezza. «Che altro possiamo fare per reagire, per difenderci da qualcuno che viene e ti punta la pistola in faccia o ti colpisce solo perché sei nero? L'ho fatto per voi, per tutti. Noi afroamericani dobbiamo restare uniti».
Ieshia era andata a Baton Rouge apposta per manifestare contro le violenze, non pensando di finire dietro le sbarre. «È stato disgustoso. In carcere non c'è rispetto, non c'è comprensione». E sul futuro, sul suo impegno nelle battaglie a difesa degli afroamericani: «Se lo rifarei? Sì, ma più vicino a casa. Ora torno a New York, ci penserò là».
Cristiana Salvagni

(la Repubblica 13 luglio)