domenica 23 ottobre 2016

Habemus Corpus. Attese e rimpianti, Michelle for president

Se ce n'era ancora bisogno, il discorso che Michelle Obama ha tenuto la settimana scorsa agli elettori del New Hampshire dimostra l'intelligenza politica della first lady, tant'è che sempre più persone sperano che in un futuro non lontano si possa dire Michelle for president.
A parte le doti oratorie e la capacità di stare su un palcoscenico, la forza del suo discorso sta soprattutto in due elementi. È arrivata al nocciolo delle questioni e con un linguaggio così chiaro e vero da provocare identificazione. Successe la stessa cosa quando alla convention democratica, lo scorso luglio, disse che a Washington ha visto ogni mattina le sue figlie svegliarsi in una casa bianca costruita da schiavi neri. Stavolta, nel mirino c'è stato l'atteggiamento di Trump verso le donne.
«Sarebbe disonesto e ipocrita trattare il suo modo di fare e parlare solo come un brutto sogno. Non è qualcosa che possiamo ignorare – ha detto Michelle Obama – Non è qualcosa che si può nascondere sotto il tappeto come un altro sgradevole episodio di una campagna elettorale cupa. Non si è trattato solo di conversazioni sboccate. È un modo di esprimersi consapevole dei comportamenti predatori, di vanterie dette con un linguaggio costantemente osceno, offensivo, odioso, doloroso, scioccante.

E non è stato un incidente isolato. È uno dei tanti esempi di come lui ha trattato le donne in tutta la sua vita». Michelle Obama ha poi parlato senza paura delle sue emozioni. Non è una cosa da poco in politica ed è un tratto tipicamente femminile. «I vergognosi commenti sui nostri corpi – ha incalzato – Il disprezzo per le nostre ambizioni e intelletto. Il pensiero che puoi fare tutto ciò che vuoi a una donna. È crudele, È spaventoso. E ferisce. È come quella nauseante sensazione che hai quando cammini per la strada pensando ai fatti tuoi e un tizio ti grida addosso parole volgari sul tuo corpo. O come quando uno sul lavoro ti sta un po' troppo vicino, ti fissa un po' troppo a lungo e ti fa sentire a disagio nella tua stessa pelle. È questa sensazione di terrore e violazione che troppe donne hanno sentito quando qualcuno le ha afferrate, o forzate anche se dicevano no. È qualcosa che sappiamo succede nei campus dei college o in molti altri posti ovunque e ogni giorno. Ci rimanda alle storie che abbiamo sentito dalle nostre madri e nonne quando, ai loro tempi, il capo poteva dire e fare qualunque cosa volesse alle donne in ufficio, e anche se loro lavoravano duramente per affermarsi, non era mai abbastanza». Infine, ma non meno importante, il distinguo fra i maschi che, per fortuna, non sono tutti come Trump. «Troppe persone hanno trattato queste espressioni solo come il titolo del giorno, come se lo sdegno fosse eccessivo o immotivato, come se questo fosse normale scontro politico.

Ma questo non è normale. Qui non si tratta di campagna politica, ma di elementare decenza umana. Si tratta di giusto e sbagliato. E semplicemente non possiamo sopportarlo. Anche perché, che modello di uomo e donna trasmetterà tutto ciò ai nostri figli? Posso assicurarvi che gli uomini della mia vita non hanno mai parlato delle donne in questo modo. E ridurre tutto ciò a semplici discorsi da spogliatoio è un insulto a tutti gli uomini perbene. Un vero uomo non ha bisogno di distruggere le donne per sentirsi più potente. Le persone davvero forti elevano gli altri e uniscono». Il prossimo otto novembre gli americani sceglieranno un'altra first lady o un conosciuto first husband. Ho l'impressione che, comunque vadano le cose, rimpiangeranno Michelle. Poi, fra quattro o otto anni si vedrà se lei avrà voglia di provare a rientrare alla Casa Bianca o se, come disse suo marito appena eletto al primo mandato: «È troppo intelligente per candidarsi alla presidenza».
Mariangela Mianiti, mariangela.mianiti@gmail.com

(Il Manifesto 18 ottobre)