mercoledì 26 ottobre 2016

Quando separarsi fa crescere

Quando ero giovane prete avevo fatto mia una cultura teologica e pastorale che vedeva in ogni "separazione" o un fallimento del matrimonio o un tradimento o l'incapacità di superare alcune differenze di carattere o simili.
Poi ho visto l'orizzonte ampliarsi e mutare di significato.
Si separano due amici, si separano i francescani dai domenicani, i valdesi e i riformati dai cattolici… Come far stare insieme salesiani e gesuiti?
Dunque, c'è separazione e separazione. In me, una più ampia conoscenza antropologica e storica, ha cambiato radicalmente il mio modo di pormi.
Mi ci è voluto molto a capire come certe donne abbiano compiuto la scelta di separarsi da un marito violento o assente e come tale decisione sia stata per loro difficile e costruttiva. C'è chi in una coppia porta avanti la relazione come un becchino trasporta una cassa da morto.
La "pastorale" del tenerli insieme ad ogni costo mi parve immorale, ipocrita, fonte di sofferenze. Mi fu chiaro che in quel caso furono l'onestà e la coerenza a trovare il coraggio di avviare una vita nuova. Vidi altro: spesso i due separati - non sempre purtroppo - comunicano meglio di quando convivevano e ognuno cerca una strada…
Separarsi allora non è consegnarsi al destino dell'odio, dell'indifferenza, dell'estraneità, della disistima dell'altro.
C'è separazione e separazione. Anche le sofferenze sono diverse. A volte la separazione non è del tutto consensuale.
Quando in Galati, una delle sue lettere autentiche, Paolo evidenzia una rottura con le "colonne" della comunità di Gerusalemme che portò a due prassi diverse di evangelizzazione, matura la convinzione che il messaggio di Gesù può a volte esprimersi su sentieri diversi, pur mantenendo lo stesso orizzonte e la stessa fecondità.
L'assemblea di Gerusalemme non fu così pacifica come ce la descrive Luca negli Atti degli Apostoli al capitolo 15. Ci furono momenti di rottura e di resistenza a viso aperto (Galati 2).
Ma veniamo a noi, nella nostra storia cristiana. Ci sono state separazioni dettate da ignobili motivi di potere o da arroganza teologica, ma esiste una ininterrotta storia di credenti che si sono dissociati radicalmente da certe credenze, da certe strutture, da certi dogmi. Guai se non avessimo nella storia del cristianesimo queste esperienze: per esempio ci mancherebbero le chiese della Riforma, gli Unitariani... Venendo alla nostra microstoria, non posso non ricordare quanto fu sofferto e quanto fu fruttuosa la decisione di 42 anni fa di "separarmi" da una esperienza parrocchiale fecondissima che però non sentivo più componibile con il mio cammino culturale, umano e soprattutto biblico e teologico.
Essendoci separati in pace, siamo rimasti in fraterna collaborazione, con una intatta stima reciproca.
Bisogna imparare a "separarsi bene", non costringerci a restare in cammini in cui è necessario nascondere o sottovalutare differenze profonde che, invece, messe in atto, possono essere evangelicamente produttive per tutti.
È ingenuo credere che con un po' di buona volontà si può essere tutti d'accordo. Questa è la chiesa in cui vince il più forte. Ma la chiesa non è fatta per vincere, ma per servire. Mi auguro che tanti uomini e tante donne sappiano uscire dalle prigioni istituzionali, dottrinali, dogmatiche per intraprendere cammini di libertà responsabile. Senza uscire dalla chiesa, tanto meno dal cristianesimo. Ma ci sono anche separazioni - ricordate Paolo e Apollo? - che avvengono per decidere nuove opportunità di evangelizzazione, nuovi compagni di testimonianza.
Concediamoci la gioia di vivere i diversi doni di Dio senza metterci camicie che non sono le nostre.

Franco Barbero