martedì 28 febbraio 2017

“Con Donald e Bibi si va alla catastrofe, c’è il rischio apartheid per i palestinesi”

«LA politica di Netanyahu sulla questione israelo-palestinese è come un'automobile lanciata verso il burrone. Se continua così, come la recente legalizzazione degli insediamenti illegali da parte del Parlamento israeliano, sarà la catastrofe». Jonathan Safran Foer, uno dei massimi scrittori contemporanei americani, di famiglia ebraica, padre di Ogni cosa illuminata e l'ultimo Eccomi (Guanda), è oggi a Milano, dove alle 18.30 sarà all'anteprima della rassegna "Tempo di libri" al Piccolo Teatro Studio Melato. Ed è molto pessimista sul futuro di Israele e Medio Oriente.
Perché, Foer?
«Perché quella di Netanyahu è una strada totalmente sbagliata, figlia di una visione triste e deprimente. Si dovrebbero inseguire duri compromessi per la pace, invece si cercano soluzioni apparentemente facili ma distruttive. Di questo passo, Netanyahu metterà a repentaglio l'esistenza stessa di Israele».
Trump ha accennato ieri all'abbandono della soluzione a due stati per israeliani e palestinesi, rinnegando la decennale linea degli Stati Uniti. Lei cosa ne pensa?
«È un grave errore. L'unica soluzione sono i due stati. Israele deve fermarsi, tornare sui suoi passi e scendere a difficili compromessi".
E la soluzione di uno stato unico?
«Impossibile. La conseguenza più probabile di una scelta simile sarebbe una discriminazione tra i cittadini di serie A, gli israeliani, e quelli di serie B, i palestinesi. Sarebbe estremamente immorale. Altrimenti, Israele dovrebbe rinunciare all'essenza ebraica del suo Stato. Ma non è assolutamente plausibile: sarebbe la fine di Israele come la conosciamo, direbbe Jimmy Carter».
Anche sulla questione israeliana Trump non pare avere le idee molto chiare: ha invocato il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, poi ha definito gli insediamenti israeliani illegali "una minaccia alla pace", oggi il dietrofront sui due stati.
«La goffaggine di Trump potrebbe scatenare in qualsiasi momento una guerra. E il potere americano nel mondo si sta erodendo. In passato ho sempre creduto che questa fosse una buona cosa, ma oggi non ne sono più sicuro: ci conviene lasciare spazio alle altre potenze? Merkel, l'unica leader razionale, ha la forza e la voglia di prendere il posto di Trump? Bisogna resistere»».
E come si resiste a Trump?
«Impegnandosi ogni giorno, tutti: gli intellettuali devono continuare a illuminare le menti, i manifestanti a manifestare, i giudici a far rispettare la giustizia, i giornalisti a trovare notizie. Non bisogna cedere all'America che vuole Trump».
Lei nel concreto cosa fa?
«Oltre a manifestare in strada, sto scrivendo un lungo articolo sul tema e finanzio organizzazioni che si battono per democrazia e diritti. È il mio piccolo contributo».
Come giudica lo scandalo che ha coinvolto Flynn, il consigliere per la sicurezza di Trump, e i presunti "contatti frequenti" dello staff del presidente con la Russia?
«Sono cose che mi sconvolgono, come l'atteggiamento di Trump verso le minoranze e i giornalisti, tutti diritti per i quali abbiamo lottato per decenni e che ora rischiamo di perdere. Terrificante. Lo stesso Bannon, il suo consigliere principe, mi pare l'incarnazione del male. Ma mi chiedo: alla maggioranza della gente comune casi come quello di Flynn interessano? Temo di no. I disgustati di questo e altri disastri dell'amministrazione Trump mi sembrano la minoranza. Quanto sono influenti simili notizie nel mondo iperfulmineo di oggi? Quanto lo sono i media e i giornali, che si sono schierati quasi tutti contro Trump? Quanto lo sono vip e attori che lo hanno attaccato? ».
Ma oggi cos'è influente allora?
«L'uomo forte. Anzi, l'uomo carismatico. Credo che in un certo senso Trump sia molto simile a Obama: entrambi sono venuti dal nulla, avevano pochissima esperienza ed erano considerati outsider destinati all'oblio. Ma entrambi sanno entusiasmare e usare le parole in modo straordinario, creando un movimento estremamente fedele come sostegno che difficilmente cambia idea su di loro. Oggi, più che mai, le elezioni sono una battaglia di personalità, e non di idee, purtroppo».
Antonello Guerrera

(la Repubblica 16 febbraio)