venerdì 17 febbraio 2017

E NON DITE PIÙ CHE LE DONNE SONO CONTRO TRUMP

Come molti, anch'io ricorderò a lungo le incredibili "giornate di Washington": prima
L'Inauguration Day più cupo e minaccioso della storia; poi la meravigliosa manifestazione delle donne. Ma più passa il tempo, più è la seconda a preoccuparmi. Ho accompagnato mia moglie Stefania che se l'è fatta proprio tutta, cinque ore di marcia con mezzo milione di persone, lungo la spianata monumentale del Lincoln Memorial, fra il Campidoglio e la Casa Bianca. Sull'altra costa, nostra figlia Costanza faceva la sua parte: nella piccola Santa Cruz hanno manifestato in diecimila, che è come dire un sesto di tutta la popolazione locale, neonati inclusi.
Eppure già durante le manifestazioni era evidente un problema. La tendenza a dire: «Le donne sono contro Donald Trump». Che purtroppo è un falso. O almeno, è una visione molto parziale della realtà. Se si perdono di vista i numeri veri, le manifestazioni di protesta fanno più male che bene: diventano una catarsi, un modo per sfogare le rabbie, o per esorcizzare le paure. Ma non ci fanno fare un passo avanti. É del resto una vecchia sindrome dei progressisti: prima perdiamo alle urne, poi ci prendiamo un'illusoria e inutile rivincita occupando le piazze. Siamo in democrazia, è il giorno del voto che bisogna essere più numerosi. Le piazze piene non spostano una virgola, per quanto riguarda il potere vero, le scelte di chi governa, le leggi che incidono sulla nostra vita quotidiana.
Dunque, cosa dicono i numeri? Si può affermare che «a novembre se avessero votato solo le donne avrebbe vinto Hillary»? Sì, ancorché di stretta misura, e solo perché le donne afroamericane la votarono al 94% e quelle ispaniche al 68%. Ma attenzione, percentuali simili Clinton le ottenne fra i maschi neri o ispanici. Il colore della pelle o l'etnia hanno pesato molto più del sesso, sulle scelte politiche. Se invece guardiamo alle donne bianche, che restano pur sempre la maggioranza: che disastro per Hillary. Una netta maggioranza, il 55%, ha preferito il maschilista Trump; solo il 45% ha votato per portare alla Casa Bianca la prima donna presidente (nei dieci punti di scarto ci sta anche una piccola percentuale di ragazze che votarono per la candidata verde Jill Stein, un'altra donna, ma un voto sprecato e controproducente). Il vantaggio di Trump è stato addirittura schiacciante fra le donne bianche senza la laurea, il 62% hanno votato per lui. Anche qui ha prevalso un'appartenenza di altro tipo: semplificando, le operaie hanno votato come i propri mariti, hanno visto in Trump il difensore dei loro posti di lavoro, il protezionista che le salverà dalla concorrenza cinese o messicana.
Ecco perché le gigantesche manifestazioni anti-Trump in tutte le citta d'America, dopo avermi esaltato, mi hanno spaventato. C'erano in quelle manifestazioni degli equivoci pericolosi. Dire «le donne sono contro Trump» non è solo un'inesattezza, è qualcosa di peggio: è un incoraggiamento a continuare come prima, facendo finta di niente. Cioè a organizzare manifestazioni che radunano un tipo di femminismo tradizionale, che fa il pieno di consensi tra le studentesse dei campus universitari come mia figlia, ma non sfonda tra le operaie, le cassiere dei supermercati, le infermiere. C'era in quelle manifestazioni un forte accento abortista, mentre tra le donne non laureate del Midwest che hanno votato Trump c'è un'alta percentuale di fedi religiose e di convinzioni anti-abortiste. C'era in quelle manifestazioni un'elevata e vistosa presenza di lesbiche militanti, che allontanano tante donne della middle class: convinte come i propri mariti che il partito democratico sia ormai il difensore di tutte le minoranze fuorché dei lavoratori bianchi, donne o uomini che siano.
Federico Rampini

(la Repubblica 4 febbraio)