sabato 25 febbraio 2017

UN AIUTO PER RICORDARE

Corso Biblico. Torino, 10.02.2017.
Deuteronomio

(Appunti presi dalla conferenza di Franco Barbero).
La casistica delle situazioni oggetto di prescrizioni continua al capitolo 24, ampliando il grande affresco delle usanze e delle relazioni sociali del popolo di Israele.
All' uomo sposato da poco (24,5) si concede un anno di libertà da impegni sociali per badare alla casa e “far lieta la moglie che ha sposato”.
Il v. 6 vieta di prendere in pegno la macina del mulino, che equivarrebbe a togliere il pane alla famiglia: si tratta di garantire la sopravvivenza delle persone.
Il v. 7 sancisce una fattispecie che doveva essere frequente: una persona veniva rapita e trasferita ad un complice in un'altra città che la vendeva in stato di schiavitù.
I vv. 8 e 9 prevedono l'ipotesi di lebbra, termine con il quale si intendevano genericamente le malattie della pelle, nel qual caso si prendono misure di allontanamento dalla società per evitare il contagio. Viene espressamente richiamato l'episodio di Maria riportato da Num. 12,9, dove va rilevato che il trattamento della lebbrosa non è di abbandono, ma solo di allontanamento cautelativo, tanto che dopo sette giorni Maria viene riammessa in società ed il popolo riprende il cammino.
L'obbligo di restituire al tramonto il mantello preso in pegno è anch'esso posto a tutela della sopravvivenza del povero.
L'obbligo di pagare il salario in giornata al povero, anche se straniero (v. 14) è posto a tutela di chi non può aspettare il mezzo di sostentamento.
La veste della vedova non può essere presa in pegno (v. 17) perché essa rappresenta la dignità della persona, che non va violata. Tutti gli ebrei avevano una veste dignitosa da indossare il sabato, il giorno in cui si sta al cospetto del Signore.
L'obbligo di lasciare nei campi e nei frutteti gli avanzi del raccolto (v.9) è posto anch'esso a tutela delle categorie sociali più deboli cui si riconosce il c.d. diritto di spigolatura, come norma di giustizia per i più svantaggiati, ribadito anche in Lev. 19,9.
Da questi passi emerge una caratteristica che contraddistingue Israele rispetto agli altri popoli e cioè la particolare attenzione nei confronti delle categorie più deboli della società, gli orfani, le vedove e gli stranieri. Questa attenzione viene sempre ricollegata all'esperienza fatta da Israele della schiavitù in Egitto, di cui si deve far memoria e che serve da monito affinché i rapporti sociali siano improntati a criteri di giustizia. Lo stesso tema ritorna frequentemente nel Nuovo Testamento ed in particolare nelle lettere paoline e nelle c.d. lettere cattoliche.
Che il giudice debba condannare il colpevole ed assolvere l'innocente (25, 1) sembra cosa ovvia, ma così non è nella realtà, soprattutto nell'ipotesi che il giudice venga corrotto.
Al colpevole che deve essere fustigato non si potranno dare più di quaranta colpi (25, 3) misura a tutela del condannato per evitare eccessi nelle punizioni.
Il v. 4 che vieta di mettere la museruola al bue mentre sta trebbiando è oscuro ed è stato interpretato variamente: forse l' interpretazione più plausibile è che bisogna dar da mangiare agli animali finché sono sazi, mentre più azzardata sembra l'interpretazione data da I Cor. 9, 7 e sgg. per cui sarebbe un obbligo della comunità di mantenere coloro che sono dediti alla predicazione del Vangelo.
I vv. 5 e sgg. trattano della istituzione del levirato, secondo la quale il cognato della donna rimasta vedova senza figli doveva prenderla in moglie per darle una discendenza. Si tratta indubbiamente di un istituto, in vigore anche presso altri popoli, appartenente a culture molto diverse dalla nostra, culture patriarcali e poligamiche, dove conta la collettività più che l'individuo e lo scopo prioritario della famiglia è la discendenza. Va osservato per contro che in quel tipo di società la vedova si trovava in una situazione molto difficile, perché priva di protezione e di mezzi economici ed esposta al rischio di doversi prostituire per sopravvivere; il levirato poteva costituire una sorta di tutela per la donna rimasta sola.
I vv. 13 – 16 vietano le frodi nel commercio commesse con l'uso di pesi falsi.
I vv. 17 e sgg. ricordano l'episodio riportato da Esodo 17, 8 e sgg. in cui si narra dell'aggressione compiuta da Amalek, re degli Amaleciti contro Israele in un momento di difficoltà, si ammonisce Israele a non dimenticare quel grave fatto: un monito a scegliere gli amici giusti ed evitare quelli falsi.
Il tono del capitolo 26 cambia improvvisamente e da ammonimento si trasforma in preghiera, mista a narrazione. Viene sancito l'obbligo di riservare per il Signore le primizie dei frutti del suolo e la decima parte delle entrate, che diventano perciò beni consacrati. La particolarità di questa consacrazione è però che non è collegata con l'offerta a Dio, ma ai sacerdoti ed alle categorie emarginate della società, il forestiero, l'orfano e la vedova: non si tratta di fare elemosina, ma di ripristinare la giustizia nella divisione dei beni. L' offerta è accompagnata da una professione di fede (26, 5 – 9), di tradizione yahwista, che riassume la storia della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell'Egitto ad opera di Yahwé e dell'ingresso nella terra promessa che offre frutti abbondanti. Tutto il capitolo è percorso dal senso di gratitudine e di gioia per il dono della terra “dove scorrono latte e miele”: “Gioirai con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia” (26, 11).
Il capitolo termina con un richiamo al rapporto “particolare” tra Dio e il popolo di Israele, che comporta la responsabilità dell'osservanza dei comandi del Signore e, come controparte, la promessa di essere “sopra tutte le nazioni” per gloria, rinomanza e splendore. Questa preferenza può essere letta in due modi diversi, come elezione rispetto agli altri popoli, in un'ottica nazionalista e conflittuale. Ma può essere letta anche secondo un codice affettivo: come per una persona amata si può dire che sia la migliore del mondo, così il rapporto di amore tra Dio e Israele si esprime in termini di preferenza, il che non comporta però esclusività o privilegio nei confronti degli altri popoli, ma significa solamente che Dio ama sempre prima di tutto, in qualunque vicissitudine della vita. Lo stesso si può dire del rapporto tra Gesù ed i primi discepoli, vissuto in termini talmente intensi da far apparire Gesù come l'unica via di salvezza, il che è comprensibile quando rimane espressione di natura affettiva, ma diventa ingiustificabile quando diventa formulazione dottrinale e dogma.

Guido Allice