sabato 11 marzo 2017

COLTIVARE IL GUSTO PER IL RISCHIO

Mentre scrivo Federica sta volando verso la Tanzania. Destinazione Kilimangiaro. Non per una vacanza, per una maratona (vedi a pag. 74). Come la invidio. Nella mia rispettabile - solo per anzianità - carriera da maratoneta, non mi sono cimentato in gare d'altitudine. Tantomeno sulla più celebre montagna africana, che conosco e venero come un mito lontano grazie al romanzo di Ernest Hemingway.
Lei è Federica Marchionni ("i" finale e nessuna parentela col capo di Fiat Chrysler, niente nepotismi), e non finirà mai di stupirmi. La conobbi che era appena sbarcata in America a dirigere Dolce&Gabbana Usa. La moda non è il mio mondo ma la incrociai subito per una bella iniziativa di mecenatismo culturale, quando portò al Metropolitan Opera i sottotitoli in italiano, per fare apprezzare oltre alla nostra musica anche la qualità dei librettisti italiani. Poi fece il salto nel girone dei chief executive, andò a dirigere Land's End. Triplo salto mortale, è difficile immaginare un marchio più distante dal glamour degli stilisti. Land's End è un'azienda di abbigliamento dell'America profonda, una sua specialità sono le divise scolastiche, più la vendita per corrispondenza stile Postal Market (per chi se lo ricorda). Insomma un dinosauro, nel mondo di Zara e di Amazon. Per di più ha sede in un luogo sperduto, Dodgeville nel Wisconsin. Uno di quei posti dove è obbligatorio andare se si vuole capire perché Donald Trump è presidente; ma da cui vorresti fuggire a gambe levate prima che ti colga una depressione acuta. Federica si è cimentata con quella sfida, ma il suo spirito anticonformista ne ha combinato di tutti i colori. Tra cui un'intervista sul magazine ufficiale dell'azienda a Gloria Steinem, femminista storica, militante (tra l'altro) per il diritto all'aborto. Un gesto che provocò non pochi problemi, visto che Land's End ha fra i suoi clienti tante scuole religiose nell'America dell'ultradestra.
Chiusa quell'esperienza, Marchionni è diventata un caso da manuale di come usare bene un anno sabbatico. È partita con marito e figlio per un giro della Cina, perché vuole che il bambino abbia un'immersione in quel mondo (studia già il mandarino). Tra i cacciatori di teste che la corteggiano, alcuni sono a Hong Kong. Così come ha fatto le valigie da Milano a New York cinque anni fa, ora è pronta a salpare verso altri continenti se le dovessero proporre l'avventura giusta. Intanto si dedica alla filantropia. La maratona sul Kilimangiaro la corre per raccogliere fondi a favore di Every Mother Counts, una ong che combatte la mortalità delle donne per parto, piaga ancora troppo diffusa nei paesi più poveri. Federica non esclude che il suo prossimo mestiere possa essere proprio come manager di una ong filantropica. Ma ha una visione pragmatica anche sui top manager "capitalisti". Mi ha mostrato un'iniziativa della rivista americana Fortune, intitolata Change The World List un elenco degli imprenditori che riescono a fare qualcosa di positivo per la comunità, sia pure all`interno di business orientati al profitto. Un esempio è il management della multinazionale anglo-olandese Unilever, che ha sposato la causa ambientalista e da anni si adopera per ridurre "l'impronta carbonica" dei suoi prodotti. Federica a queste cose crede con passione. Io sono più scettico, ma la rispetto. Soprattutto sono affascinato dalla sua energia. È diventata "americana" molto più di tanti americani, e nel senso più positivo, quello che associamo al lato migliore di questo paese: la capacità di reinventarsi. Sta scrivendo un libro, non vuole dirmi il titolo. Spero che sia un manuale di consigli per le giovani italiane, per comunicare quello che lei ha già imparato in così poco tempo: non arrendersi mai, esplorare il mondo, anche per scoprire il meglio di se stesse.

Federico Rampini è da molti anni corrispondente di Repubblica da New York, dopo esserlo stato da Bruxelles, San Francisco, Pechino. È autore di una trentina di saggi.

(Il Sabato 4 marzo)