giovedì 23 marzo 2017

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA DI DOMENICVA 26 MARZO

Chi vede è scomodo e fa paura
1 Passando vide un uomo, che era cieco fin dalla nascita. 2 I suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» 3 Gesù rispose: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui. 4 Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. 5 Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo».
6 Detto questo, sputò in terra, fece del fango con la saliva e ne spalmò gli occhi del cieco, 7 e gli disse: «Va', làvati nella vasca di Siloe» (che significa «mandato»). Egli dunque andò, si lavò, e tornò che ci vedeva. 8 Perciò i vicini e quelli che l'avevano visto prima, perché era mendicante, dicevano: «Non è questo colui che stava seduto a chieder l'elemosina?» 9 Alcuni dicevano: «È lui». Altri dicevano: «No, ma gli somiglia». Egli diceva: «Sono io». 10 Allora essi gli domandarono: «Com'è che ti sono stati aperti gli occhi?» 11 Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù fece del fango, me ne spalmò gli occhi e mi disse: "Va' a Siloe e làvati". Io quindi sono andato, mi sono lavato e ho ricuperato la vista». 12 Ed essi gli dissero: «Dov'è costui?» Egli rispose: «Non so».
13 Condussero dai farisei colui che era stato cieco. 14 Or era in giorno di sabato che Gesù aveva fatto il fango e gli aveva aperto gli occhi. 15 I farisei dunque gli domandarono di nuovo come egli avesse ricuperato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16 Perciò alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non è da Dio perché non osserva il sabato». Ma altri dicevano: «Come può un peccatore fare tali miracoli?» E vi era disaccordo tra di loro. 17 Essi dunque dissero di nuovo al cieco: «Tu, che dici di lui, poiché ti ha aperto gli occhi?» Egli rispose: «È un profeta».
18 I Giudei però non credettero che lui fosse stato cieco e avesse ricuperato la vista, finché non ebbero chiamato i genitori di colui che aveva ricuperato la vista, 19 e li ebbero interrogati così: «È questo vostro figlio che dite esser nato cieco? Com'è dunque che ora ci vede?» 20 I suoi genitori risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21 ma come ora ci veda, non sappiamo, né sappiamo chi gli abbia aperto gli occhi; domandatelo a lui; egli è adulto, parlerà lui di sé». 22 Questo dissero i suoi genitori perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno riconoscesse Gesù come Cristo, fosse espulso dalla sinagoga. 23 Per questo i suoi genitori dissero: «Egli è adulto, domandatelo a lui».
24 Essi dunque chiamarono per la seconda volta l'uomo che era stato cieco, e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». 25 Egli rispose: «Se egli sia un peccatore, non so; una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo». 26 Essi allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti aprì gli occhi?» 27 Egli rispose loro: «Ve l'ho già detto e voi non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare suoi discepoli anche voi?» 28 Essi lo insultarono e dissero: «Sei tu discepolo di costui! Noi siamo discepoli di Mosè. 29 Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parlato; ma in quanto a costui, non sappiamo di dove sia». 30 L'uomo rispose loro: «Questo poi è strano: che voi non sappiate di dove sia; eppure mi ha aperto gli occhi! 31 Si sa che Dio non esaudisce i peccatori; ma se uno è pio e fa la volontà di Dio, egli lo esaudisce. 32 Da che mondo è mondo non si è mai udito che uno abbia aperto gli occhi a uno nato cieco. 33 Se quest'uomo non fosse da Dio, non potrebbe fare nulla». 34 Essi gli risposero: «Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi?» E lo cacciarono fuori.
35 Gesù udì che lo avevano cacciato fuori; e, trovatolo, gli disse: «Credi nel Figlio dell'uomo?» 36 Quegli rispose: «Chi è, Signore, perché io creda in lui?» 37 Gesù gli disse: «Tu l'hai già visto; è colui che parla con te, è lui». 38 Egli disse: «Signore, io credo». E l'adorò.
39 Gesù disse: «Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi». 40 Alcuni farisei, che erano con lui, udirono queste cose e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?» 41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane. (Giovanni 9, 1-41).


Uno dei guai più ricorrenti , quando leggiamo brani evangelici così lunghi, consiste nell’accelerare per giungere presto alla conclusione di un racconto così noto.
In questa pericolosa esperienza della lettura veloce, il rischio è grande perché non avviene il corpo a corpo con la Scrittura che esige lentezza, capacità di ascoltare e apertura ai “sensi nuovi” che ogni rilettura può regalarci.
Qualche annotazione introduttiva può aiutarci ad “ascoltare” e “gustare” in modo nuovo questa pagina che nasce dall’interno del cammino di una comunità che voleva vivere ed annunciare quanto l’incontro con il messaggio di Gesù avesse cambiato in profondità la sua vita.
Un brano che ha una storia

Questo brano giovanneo, redatto con ogni probabilità tra la fine del 1° secolo e l’inizio del 2°, ha alle spalle una storia ed una esperienza.
Ormai abbiamo imparato dagli studiosi della Bibbia che i lunghi racconti del Vangelo di Giovanni sono costruzioni teologiche e non resoconti di cronaca, anche se certamente Gesù incontrò e in qualche modo si prese cura di alcuni ciechi che erano allora tra le persone più sofferenti ed emarginate. Qui tuttavia la cecità viene assunta come metafora di un atteggiamento interiore e non come realtà corporale.
La comunità di Giovanni pensava che aver incontrato Gesù, la sua persona e il suo messaggio, fosse stato per quegli uomini e quelle donne della Palestina un passaggio radicale, l’inizio di una vita nuova.
Questa memoria, che essi avevano ricevuto dalle precedenti generazioni di discepoli del nazareno, si espresse nella celebrazione comunitaria del battesimo. Nella comunità giovannea il battesimo degli adulti era la “illuminatio” cioè un passaggio dalla cecità alla vista, la guarigione dalla cecità, l’apertura degli occhi “interiori”, resi capaci di vedere la vita in modo nuovo.
Come al cieco era stato richiesto di andarsi a lavare nella piscina di Siloe, così per ricevere il battesimo era stato richiesto un cammino di impegno. Il battesimo, così preparato, non aveva nulla di magico, ma apriva davanti al fratello e alla sorella un orizzonte nuovo al quale dare corpo nella vita quotidiana.
Collocarsi sulla strada di Gesù significava passare dalle tenebre alla luce. Era un cambiare vita.
Mi viene subito in mente che spesso i nostri battesimi (e un po’ tutti i sacramenti) non segnano nessun “passaggio”, non aprono nessuna nuova prospettiva, quando non finiscono in una mangiata in qualche ristorante tra i flash di tante macchine fotografiche o di cellulari ultramoderni.

Questo brano evangelico è diventato la parabola della vita cristiana: ci ricorda che siamo proprio noi i ciechi bisognosi di essere "guariti" dalle nostre cecità
 e dai nostri pregiudizi ed egoismi. A volte non abbiamo voglia di essere guariti...

Chi vede fa paura
Ma il vangelo, attraverso questo racconto così ricco di particolari significativi e di risonanze, compie un ulteriore passo di “svelamento” della realtà: quanto più una persona guarisce dalle sue cecità, tanto più diventa sospetta ai padroni del vapore, ai signori del sacro, agli “ufficiali” del tempio.
Il brano è addirittura divertente: ci si appiglia a tutto per negare l’evidenza, per far tacere chi ora vede, per squalificare un testimone. Quante manovre per far tacere il grido dei profeti, per spegnere le voci fuori dal coro, per manipolare la realtà. Recentemente, penso al vescovo Romero e a don Diana come a mille altri testimoni, si è elaborata una strategia sottile e seducente: si trasforma la loro vita, di umile ricerca e di solitudine istituzionale, in una fiction in cui si “costruisce l’eroe” e così

si ricupera il personaggio e si tradisce la storia. Il tutto per nascondere il vero cammino di chi faticosamente apre gli occhi e il cuore.
E con tristezza non possiamo non constatare che una delle perfidie della nostra istituzione ecclesiastica, una delle più pesanti responsabilità lungo i secoli è stato questo occultamento della verità, questo tentativo di mantenere le persone nella cecità, questo strangolamento delle voci libere, questa repressione della libertà.
Sono i custodi della Legge, i “sacerdoti”, i detentori della verità che hanno paura della luce. Quanti occhi vengono impediti e quante voci soffocate in nome di Dio. Questo “in nome di Dio” è doppiamente grave. Speriamo che papa Francesco si accorga che l’aria è diventata irrespirabile e bisogna aprire le finestre per non morire di asfissia ecclesiastica. Il popolo di Dio, in presenza di studi biblici liberanti, continua ad essere "nutrito" ed avvelenato da superstizioni, magie, devozioni, apparizioni e reliquie. Questa è la foresta, l'ostacolo di vedere il Vangelo. Poche comunità cristiane favoriscono e propongono seri gruppi di lettura biblica. Se il popolo di Dio conoscesse la Bibbia, sarebbe in pericolo tutto l'impianto devozionale. Per questo si preferisce passeggiare tra santi, madonne e storielle varie.


“Noi vediamo”
In realtà se ci fermiamo a questa denuncia, per quanto vera e motivata, rischiamo di rimanere a metà strada nella lettura di questa densa e provocatoria pagina evangelica. Potremo farne una lettura comoda e accomodante e perciò incapace di toccare il nostro cuore.
La ragione è evidente: posso essere io, possiamo essere noi nel rischio di collocarci dalla parte di chi presume di sapere, di vedere, di possedere la verità. “Noi siamo discepoli di Mosè … Noi sappiamo (vv 24, 29, 31)”
Nessuno di noi è al riparo da questa tentazione che spesso trova molto spazio proprio tra noi credenti. La presunzione di avere Dio in tasca può serpeggiare anche tra di noi.
Tutti possiamo essere abbagliati da un eccesso di certezze e così, armati di sicurezze, non sappiamo più vedere i segni di Dio che vanno oltre le nostre coordinate mentali. Abbiamo sempre bisogno anche degli occhi degli altri/e.

La prigione dei dogmi o del perbenismo è tra le più ricorrenti.
Gesù ha operato perché diventasse chiaro che spesso quelli che presumono di vedere sono i più ciechi e quelli che non vedono possano vedere.
Per vedere bisogna partire dal riconoscimento della propria cecità. E tutti ne abbiamo un po’. Per giunta è più facile vedere quella degli altri e così dispensarci dal prendere atto della nostra. La testimonianza biblica, che sollecita il coraggio e la denuncia, non ci dispensa mai dall’impegno per la nostra personale conversione.

Dunque….
Dunque, l’incontro con il messaggio amoroso di Dio, testimoniato da Gesù, può “aprire gli occhi dei ciechi”, può fare intravedere percorsi nuovi.
E’ vero: viviamo nel chiasso e nella confusione, tra voci potenti che quasi impongono la loro verità. Saremmo tentati di dire che la umile parola della Scrittura non regge al confronto. Ma Dio sa raggiungere i cuori anche come un vento leggero, un soffio impercettibile.
Non possiamo rassegnarci alle ingiustizie di questo mondo, ma possiamo aprire gli occhi e scommettere su un “paesaggio” nuovo, se davvero crediamo che l’incontro con Gesù può cambiare la nostra vita. Un piccolo mattone a questa nuova casa comune lo posso e lo devo portare anch'io.