sabato 4 marzo 2017

Gli ostacoli nella percezione della pace
In Israele, gran parte della società vede con ostilità l'idea di una pace con i palestinesi e i paesi arabi vicini. Dopo molti negoziati e accordi falliti, molti israeliani ormai considerano la pace e la sicurezza due realtà inconciliabili. Anche solo parlare di pace viene percepito come una minaccia.

Nell'orizzonte mentale della maggior parte della società israeliana una pace fra Israele, Palestina e i vicini paesi arabi e un'eventualità del tutto non contemplabile. Anche se una certa visione della pace e anche degli occasionali programmi sono stati supportati da organizzazioni politiche, movimenti per la pace e comunità internazionale, hanno tutti fallito nel trovare un supporto reale da parte della popolazione. I media israeliani coprono costantemente le questioni relative al conflitto, ma si riferiscono alla fine delle ostilità come «una possibilità remota».
Nei miei molti impegni pubblici, incontri, conferenze e dibattiti, ho colto intuizioni importanti sul perché l'opinione pubblica israeliana sia riluttante a impegnarsi in un serio processo di pace - sia diretta sia mediata da alleati internazionali - che possa mettere fine al conflitto con i palestinesi. Di seguito esporrò sei percezioni emotive comuni, da me riscontrate, che ostacolano la possibilità di pace per la maggior parte degli israeliani. In assenza di progressi sostanziali nel corso degli ultimi vent'anni, i governi conservatori, i media e il sistema di istruzione hanno sostenuto (per azione o inazione) il consolidamento di questi concetti nell'opinione pubblica.
Angoscia esistenziale. In Israele persiste uno stato d'ansia sia a livello personale che nazionale. Sebbene Israele benefici obiettivamente di un alto livello di sicurezza, paradossalmente gli israeliani condividono un'esperienza collettiva di minaccia costante. Le narrazioni relative all'esilio, alla Shoah, all'antisemitismo, alle guerre, alle migliaia di attacchi terroristici, ai nemici che vogliono distruggere Israele: tutto ciò contribuisce a innescare e mantenere uno stato di vittimismo, di ansia persecutoria e di paura dell'annientamento. Nel corso degli anni la richiesta basilare di sicurezza è diventata un nodo fondamentale, più importante della costruzione di quelle infrastrutture che permetterebbero la realizzazione delle aspirazioni nazionali e sociali. Questo essere sempre sulla difensiva non lascia alcuno spazio mentale all'empatia o ad un ambiente che permetta lo sviluppo di approcci creativi alla pace.
L'assenza di una motivazione positiva verso la pace. Nella società israeliana non c'è più l'idea condivisa della pace come elemento che porti un vantaggio urgente o essenziale. A causa dello sviluppo incredibile di Israele i benefici morali, spirituali e materiali della pace sono praticamente spariti dal discorso pubblico. Oggi chi parla in nome della pace è spesso etichettato come un disfattista, un ingenuo o addirittura come un traditore. L'efficacia dei sistemi di difesa militare israeliani hanno contribuito a creare un senso di relativa immunità e abilità nel sopportare le conseguenze del conflitto pagando un prezzo accettabile.
Sicurezza e pace sono percepiti come concetti dicotomici. A seguito di una lunga storia di negoziati e accordi falliti, molti israeliani credono ormai che la pace e la sicurezza si escludano a vicenda. Riluttanti a correre rischi ulteriori, la maggior parte degli israeliani preferisce una realtà che sia loro familiare piuttosto che una prospettiva potenzialmente pericolosa.
Il conflitto come destino esistenziale. Gli israeliani sono nati, oppure sono immigrati, in uno stato di conflitto. La lunga storia di scontri violenti con le popolazioni arabe è vista come parte integrante della realtà israeliana e nessuna alternativa sembra essere realistica. Il servizio militare è perfettamente innestato nel senso d'identità di milioni di persone e, sebbene obbligatorio, è percepito come un mezzo privilegiato per raggiungere la piena cittadinanza. La realtà del conflitto è inoltre supportata da quei valori culturali e simboli che glorificano quel destino che fa degli israeliani degli assediati ma anche dei giusti, concetto sostenuto da versetti biblici quali «vivrai per sempre con la spada» e che descrivono Israele come «i1popolo che abiterà solo». In questa temperie culturale non solo qualsiasi concetto che si riferisca alla pace è difficile da afferrare, ma è talmente "rivoluzionario" da essere percepito come una minaccia.
Sfiducia verso gli arabi e il mondo arabo. La diffidenza nei confronti degli arabi persiste nei settori politici, culturali, sociali e individuali. Il sospetto è amplificato dai media, che raccontano spesso gli aspetti negativi della cultura araba in tutto il Medio Oriente. Seguono, in modo del tutto naturale, l'odio e il razzismo, impedendo così la possibilità di fare esperienza del lato umano dell'"altro".
Il rifiuto di contrattare beni nazionali. Un futuro accordo di pace comporterà per Israele la rinuncia di territori considerati sacri o che sono vitali per la nazione, come risorse idriche, terreni agricoli ecc. Ampi segmenti della società israeliana ritengono che l'occupazione di tutte le parti della Terrasanta sia un valore da giustificare ad ogni costo e con ogni sacrificio. I coloni dimostrano ideali di determinazione e impegno che costituiscono per molti altri un modello di realizzazione dell'idea sionista.
I canali di comunicazione, le agenzie educative e governative - durante i governi sia di destra che di sinistra - hanno alimentato queste narrazioni e percezioni, costruendo solide fondamenta per le tendenze conservatrici. Tradizionalmente, l'opinione pubblica israeliana si fida delle istituzioni quando si tratta di prendersi cura in modo responsabile degli affari del paese, soprattutto durante i frequenti conflitti violenti. Nonostante le critiche sulla qualità del governo, soprattutto nei punti di frizione con i cittadini, la società israeliana raramente produce forti movimenti di protesta; anzi: la protesta attiva è etichettata come "sovversiva" e viene rappresentata come un fattore di indebolimento collettivo. Questa forte aderenza al governo ha un lato positivo: una pace avallata dal governo avrà il potere di guidare Israele attraverso il processo che la pace comporta, anche attraverso l'opposizione interna ed esterna.
Ma, per garantire il successo, qualsiasi serio tentativo di porre fine al conflitto dovrà passare per il superamento delle barriere che ho appena esposto. C'è necessità di programmi di sostegno educativo e di una comunicazione efficace che alimentino il processo di pace, migliorino le prospettive del suo completamento e proiettino la società israeliana verso una riconciliazione interna ed esterna. Ma nel frattempo è dovere delle organizzazioni pacifiste sviluppare risposte adeguate a queste sfide e condividerle con il pubblico in ogni modo possibile. Questo è uno sforzo enorme e di lunga durata, ma credo che ogni ostacolo abbia anche le sue contro-argomentazioni, e che con la comunicazione creativa ed empatica tutte queste barriere emotive possano essere affrontate e superate.
Yuval Rahamim

(Confronti – dossier 1/2017)