domenica 26 marzo 2017

IL SOGNO DI RENHO

LO SANGIIN GIIN-KAIKAN, la Camera dei Consiglieri del Giappone è un grande edificio grigio e squadrato nel cuore di Nagata-cho, il quartiere della politica di Tokyo. L'appuntamento è con Renho Murata, la leader del Partito Democratico, il principale schieramento di opposizione. Mentre uno dei segretari di Renho ci accompagna verso il suo ufficio, notiamo sulle porte i nomi dei deputati: sono tutti scritti in kanji, gli ideogrammi, e riportano nome e cognome. Tranne uno, quello di Renho: lei ha scelto di farsi chiamare solo con il nome proprio.
È stata definita un "personaggio di rottura" all'interno del panorama politico giapponese. La storia personale di questa 49enne racconta di record abbattuti e tabù infranti. È la prima donna a capo del Pd giapponese e i detrattori l'hanno attaccata per le sue origini miste: è taiwanese per parte di padre, e pur essendo nata nel Sol Levante, è diventata cittadina solo nel 1985. Questo non l'ha fermata nella sua carriera tanto che oggi è uno dei personaggi più in vista, uno dei nuovi volti sui cui si concentra l'interesse in vista delle prossime elezioni.
La popolarità del premier Shinzo Abe è ancora alta, ma nonostante il suo mandato scada nel 2018, alcuni esperti ipotizzano che le elezioni potrebbero tenersi già quest'anno. Un 2017 nel quale il Giappone dovrà affrontare una situazione eccezionale dopo l'annuncio dell'Imperatore Akihito di voler abdicare. Una decisione storica, che sta obbligando il parlamento a concentrarsi nella creazione di una legge ad hoc che permetta l'abdicazione e l'ascesa al trono del Principe Reggente Naruhito nel 2019. Un problema che rallenta, per non dire ferma, l'impianto di riforme di Abe, compresa quella che cambierà l'articolo 9 della Costituzione, che impedisce al Giappone di dotarsi di un esercito convenzionale.
Con Yuriko Koike, eletta a luglio governatore di Tokyo, e Tomomi Inada, ministro della difesa, Renho è una delle donne cui è stato assegnato il compito di rinnovare la politica nazionale. A lei spetta quello di far tornare il Pd a essere un grande partito d'opposizione, partendo da quell'8% di sostegno di cui ancora gode secondo l'ultimo sondaggio della NHK la tv pubblica giapponese. In un parlamento dove le quote rosa sono tra le più basse tra i paesi industrializzati e la sfida di Abe di portare al 30% la percentuale delle donne nel governo è stata abbandonata, assegnare la leadership del principale partito di opposizione a una donna è, oltre che un grande risultato, un messaggio chiaro: racconta la volontà di guardare al futuro, tornando a occuparsi delle categorie più deboli, come donne e bambini. Perché, come l'Italia, il Giappone è in forte decrescita demografica.
Modella da giovane, Renho diventa poi giornalista e trasforma l'impegno civile in attivismo politico. Nel salotto del suo studio l'atmosfera è quella un po' decadente tipica di tutto Giappone, dove si ha sempre l'impressione che gli anni '80, quelli della grande bolla, non siano mai stati dimenticati. Quando Renho arriva è come appare nei poster attaccati alle pareti: capelli corti, look formale, sguardo pungente. Minuta, bella, soprattutto determinata. Risponde alle domande guardandoti dritto negli occhi, veloce e sintetica.
Quali sono gli obiettivi del suo programma per far ritornare il Pd più popolare in Giappone?
«Vogliamo arrivare a un sistema dove esistano due partiti principali. Adesso abbiamo 96 seggi alla Camera dei rappresentanti e 50 alla Camera dei consiglieri. Anche ora siamo il primo partito di opposizione, ma ancora troppo piccoli. Però siamo ben organizzati e abbiamo candidati su tutto il territorio. Puntiamo a ottenere più della metà dei seggi».
A inizio mandato il premier Abe ha varato una serie di riforme di politica monetaria e fiscale e strategie di crescita - ovvero gli "abenomics" - che avrebbero dovuto sollevare il Giappone dalla depressione economica. A che punto siamo?
«Per ora non è ancora chiaro (ride, ndr) quali offerte abbia avuto. Solo Abe lo sa».
Il suo programma politico in sintesi?
«La cosa più importante sono le prossime generazioni, quindi i bambini. E vogliamo un supporto completo alle donne».
Lei ha origini taiwanesi: cosa pensa delle politiche d'immigrazione del suo paese?
«Nonostante il Giappone debba affrontare il grande problema del calo demografico, non siamo ancora abituati all'idea di accettare gli immigrati. Dal punto di vista economico il paese deve affrontare anche la sfida del gran numero di lavoratori precari, a tempo determinato. Aumenta inoltre, il divario tra ricchi e poveri: prima di tutto dobbiamo ridurlo, dopo di che è necessario che i giapponesi inizino a pensare all'immigrazione in modo positivo. Probabilmente se riusciremo a correggere questo divario arriveremo anche ad avere una più facile accettazione dell'immigrazione, anche da parte dell'opinione pubblica. I presupposti in Europa e da noi sono diversi: l'Ue è un'unione di nazioni, mentre il Giappone è un'isola ed è sempre stata una realtà in cui non si poteva immaginare la convivenza con gli stranieri».
Ma il Giappone si sta aprendo, sta diventando uno dei luoghi turisticamente più popolari. Pensa che l'aumento delle presenze degli stranieri cambierà comunque il paese?
«Sono d'accordo: arrivano più stranieri cosi ci si abitua un po'. Ma il secondo, è vero, problema è la comunicazione: non molti qui parlano inglese. E anche questo è un tema da affrontare».
Se Abe riuscisse a cambiare l'art. 9 della Costituzione, il ruolo internazionale del Giappone cambierebbe?
«Noi siamo contrari al cambiamento dell'art. 9 proprio per proteggere il nostro pacifismo. Confermiamo la nostra volontà di contribuire alla comunità internazionale in campo non militare, per esempio fornendo assistenza umanitaria alle Ong e ai rifugiati. È una attività che il Giappone sta già svolgendo e che intendiamo potenziare».
Parliamo di donne e politica: cosa pensa della sconfitta di Hillary Clinton. E c'è un modello cui lei si ispira?
«In Giappone finora non c`è mai stata una donna primo ministro, dunque non ho un modello di personaggio politico femminile cui ispirarmi. Per quanto riguarda la Clinton, qui è diventato molto famoso il discorso che ha fatto dopo la sconfitta. Soprattutto quando si è rivolta a tutte le bambine invitandole a credere in loro stesse perché la loro sfida sarà sempre apprezzata. Credo però che in campagna elettorale non sia riuscita a mettere le donne tra i suoi obiettivi. Forse se si fosse concentrata di più su di loro... Mi pare che abbia allargato troppo il target».
Abe aveva detto che voleva arrivare al 30% di parlamentari donna entro il 2020, ma così non sarà. Qual è la proposta del Pd?
«Al momento alla Camera dei rappresentanti le donne sono il 95% e alla Camera dei consiglieri il 20,7%, per una media tra le due Camere del 13,1%. Noi riteniamo importante aumentare la percentuale di donne nella lista dei candidati realizzando un sistema elettorale che preveda quote riservate».
Il Giappone condivide con l'Italia il problema della denatalità...
«Soprattutto nelle metropoli gli asili nido sono pieni. Anche per questo le donne scelgono il lavoro o la maternità. Io sono fortunata perché abito con mia madre, e mi aiuta. Ma qui spesso le donne vivono da sole con i figli. Dobbiamo creare ovunque comunità che supportino sia le casalinghe sia le lavoratrici, come succedeva un tempo».
Qualche esempio concreto delle sue proposte sugli asili nido?
«È fondamentale potenziarli. La politica dell'attuale governo si fonda però sull'idea che basti costruirne di nuovi per soddisfare il bisogno delle famiglie, ma il problema non si risolve solo così. In Giappone ci sono molti professionisti qualificati per lavorare negli asili, ma a causa delle precarie condizioni di lavoro non ci pensano nemmeno. Per questo il Pd sta proponendo di migliorare il trattamento economico degli operatori dei nidi, perché anche in questo campo è importante "investire nelle persone". Un altro problema sono gli alti costi dell'educazione scolastica e per risolverlo abbiamo una proposta coraggiosa: rendere gratuiti asili e scuole materne, il vitto alle elementari e medie inferiori e, contemporaneamente, ridurre drasticamente le tasse universitarie o ampliare il sistema delle borse di studio. Ma senza richiedere il pagamento di interessi».
Che tipo di comunità di sostegno suggerisce per le donne e le famiglie?
«Abbiamo proposto al governo, e continueremo a farlo, un soggetto non governativo senza scopo di lucro che crei in tutto il paese queste comunità. Secondo noi dovrebbero offrire vari servizi a seconda della necessità, come consulenza pedagogica, l`invio di aiutanti pre e post-parto, baby mense per le famiglie più povere. E dovrebbero anche creare occasioni di scambio d`informazioni e relazioni sociali. Sarebbe poi molto importante che offrissero servizi alternativi, soprattutto per quei genitori che non possono portare i figli all'asilo o hanno bambini malati o portatori di handicap. Come già detto, vogliamo investire sulle persone, soprattutto sui giovani. Perché poi crescono, e l'investimento tornerà indietro attraverso le tasse e il lavoro»
Stefania Viti

(D la Repubblica 18 marzo 2017)