martedì 7 marzo 2017

"M5S come la Dc sì ai palazzinari per non perdere il consenso"

«Et homo factus est». Così, parodiando il Credo, scrisse Pasquino nel 1656, quando papa Alessandro VII rinunciò a una riforma radicale del sistema nepotistico, e si rassegnò a chiamare a Roma tutta la sua famiglia senese. «Homines facti sunt», si può dire oggi dei 5 stelle, che dopo aver promesso di rovesciare il sistema dalle fondamenta, escono dalla vicenda dello Stadio come la più mediocre giunta post-democristiana.
La situazione ha del paradossale. Perché oggi rimane deluso chi dal Movimento si aspettava una svolta radicale. Mentre possono tirare un respiro di sollievo tutti coloro che li hanno temuti e attaccati ferocemente perché 'antisistema', o addirittura 'eversivi'. Altro che alieni: tutto il 'sistema' si frega le mani, avendo scoperto che anche con questi 'alieni' si tratta, eccome. Non perché siano corrotti, sia chiaro: ma perché sono impreparati, e culturalmente fragili. Sono bastati i tweet di Totti e le minacce di Pallotta a far squagliare ogni velleità di resistenza: alla prima vera prova, il populismo antisistema si è inchinato al populismo del sistema.
La cosa più triste è che, in tutto questo, sembra che di Roma - della città, intendo - non importi molto a nessuno. Perché i casi sono due: o il progetto era una speculazione inutile, e allora si doveva avere il coraggio di fermarlo. O, invece, era di interesse pubblico (come aveva ufficialmente affermato la giunta Marino): e allora bisognava realizzarlo in modo coerente. Ma dimezzarlo, con una logica da salumiere, lascia esterrefatti. È un risultato che svela una simmetrica ipocrisia: quella, eterna, degli speculatori (ai quali importa solo far soldi, con qualunque progetto, alla faccia delle archistar coinvolte), e quella di una giunta che prova a salvare una facciata ambientalista.
Quel che muore è ogni idea di progetto. L'idea che si rompesse una volta per tutte con l'urbanistica contrattata. L'idea che i cittadini, una volta entrati nel palazzo, avessero la forza di riprendersi il futuro della città, togliendo il boccino dalle mani dei palazzinari.
La mancata sostituzione di Paolo Berdini è un dettaglio eloquente: una scelta di questo peso è stata fatta senza un tecnico alla guida. Dopo aver detto tutto e il contrario di tutto (fino all'imbarazzante girandola romana di Beppe Grillo), hanno prevalso purissime ragioni politiche: la stella polare è stata la paura di perdere troppi consensi, mettendosi contro i tifosi. Mentre si doveva avere il coraggio di dire a chiare lettere che il calcio è ormai solo un paravento di grandi operazioni finanziare e immobiliari che stravolgono le città, trattando i cittadini come plebe (assai spesso, peraltro, una plebe consenziente).
Sono stato tra coloro che hanno invitato a votare Virginia Raggi. L'ho fatto per rompere la politica del TINA («There is no alternative»), il motto della Thatcher e di Blair che in Italia ha unito in un cartello il Pdl e il Pd. Ma oggi anche i 5 stelle si uniscono al coro di chi proclama che a questo sistema di potere non c'è alternativa: davvero un brutto giorno per la democrazia italiana.
Tommaso Montanari

(la Repubblica 26 febbraio)