martedì 21 marzo 2017

MAI PIÙ BACHA BAZI. KABUL PROVA A VIETARE GLI SCHIAVI SESSUALI

A Kabul, per una volta, gli attivisti della società civile si dicono soddisfatti. Nei prossimi giorni la Wolesi Jirga,1a Camera bassa del parlamento afgano, potrebbe infatti adottare il nuovo codice penale. Con un intero capitolo dedicato al bacha bazi, la pratica di abusare sessualmente di bambini e ragazzi tra i 10 e i 18 anni.
Sottratti alle loro famiglie, sequestrati per strada, nelle campagne, nelle province più periferiche o nelle città principali, vengono usati come oggetti sessuali (bacha bazi significa gioco con i bambini, o bambini per gioco). Tenuti in schiavitù, costretti a indossare abiti femminili, a volte allietano le feste con danze, gesti ammiccanti e campanelli alle caviglie. Per poliziotti, politici, uomini forti e signori della guerra sono un simbolo di potere, autorevolezza, ricchezza. Una fonte di piacere. Per il nuovo codice penale, vittime da proteggere e da sottrarre ai loro aguzzini, che rischiano sette anni di carcere per abusi sessuali e la pena capitale nel caso di casi gravi e ripetuti. A dare la notizia è stato Nader Nadery, volto noto della società civile, consigliere del presidente Ashraf Ghani e già membro dell'Afghanistan Independent Human Rights Commission. Nel 2014, in un rapporto dedicato al bacha bazi, la Commissione enfatizzava le lacune legislative in materia, attribuendo l'aumento dei casi registrati, soprattutto nelle province orientali e meridionali del Paese, alla rigida segregazione tra uomini e donne, oltre che a corruzione, povertà, insicurezza, impunità. Il nuovo codice penale potrebbe colmare il deficit legislativo. Ma la strada per porre fine al bacha bazi è ancora lunga, mettono in guardia gli attivisti afgani. Perché la Cultura dell'impunità è così diffusa che poliziotti e giudici - quanti dovrebbero proteggere le vittime - sono spesso coinvolti negli abusi. E perché gli aguzzini si nascondono anche tra chi dovrà votare alla Wolesi Jirga: tra i parlamentari, riporta l'Associated Press, qualcuno già annuncia battaglia per non rinunciare ai suoi bambini-giocattolo.
Giuliano Battiston

(la Repubblica, 10 marzo)