sabato 4 marzo 2017

UNA RIFLESSIONE

 Sì ai due papà: i figli sono di chi li ama
Michela Murgia – Donnamoderna.it


La decisione che ha preso il tribunale di Trento – cioè riconoscere che due uomini uniti da un legame stabile sono entrambi genitori del bambino che stanno crescendo insieme – è una notizia, ma non una rivoluzione.
Nel dicembre scorso infatti un caso del tutto identico aveva ricevuto sentenza analoga dal tribunale di Napoli, solo che in quel caso i genitori parificati erano due donne, una sola delle quali biologicamente madre del bambino.
Entrambe le sentenze dicono due cose importanti: la prima è che non è il dna a fare il genitore, ma l'amore e la cura. La seconda è che il modo in cui il bambino è venuto al mondo – concepimento naturale, gestazione per altri o fecondazione assistita – non incide in alcun modo sul suo diritto a poter considerare genitori entrambe le persone che lo stanno crescendo.
Sta accadendo quello che era facilmente prevedibile: poiché la legge sulle unioni civili approvata a giugno 2016 ha lasciato colpevolmente scoperta la questione dell'attribuzione della genitorialità nelle famiglie omosessuali, adesso è la magistratura a dover mettere una pezza dove la politica non ha avuto il coraggio di fare la cosa giusta.
Il risultato è che le coppie omosessuali, dopo aver penato anni nei tribunali per vedersi riconosciuto civilmente il legame affettivo, per tutelare i loro figli devono ancora una volta ricorrere al giudice. Dobbiamo sperare che moltiplicarsi di sentenze simili porti a un aggiustamento rapido della legge, perché al momento la normativa in vigore può trasformare in un orfano adottabile qualunque bambino a cui per disgrazia morisse il genitore biologico senza lasciare altri parenti che il suo partner di vita, genitore di fatto nel cuore e nella responsabilità, ma privo di diritti davanti allo Stato.
La sentenza di Trento smonta questa discriminazione e fa a suo modo pedagogia sociale, se non fosse che nelle stesse ore proprio il consiglio regionale del Trentino votava trasversalmente un ordine del giorno di segno opposto, decidendo di consentire alle famiglie di tenere i figli a casa qualora a scuola siano previsti progetti sull'orientamento sessuale, l'identità di genere e il contrasto alle discriminazioni omofobiche.
Nella pratica significa che se i professori volessero fare una lezione dove si spiega che picchiare o sfottere un compagno perché gay è bullismo omofobico, sarebbero tenuti a darne notizia prima alle famiglie per permettere loro di tenere i figli a casa e non farli educare al rispetto delle differenze.
Nessuna scuola concede ai figli dei razzisti di stare a casa quando si fanno progetti contro il razzismo e nel Giorno della Memoria nessun consiglio regionale deciderebbe mai che i figli degli antisemiti possano saltare le lezioni. Non accade perché il rispetto delle persone di colore e degli ebrei è un patrimonio culturale condiviso e riconosciuto, che vale più delle sensibilità individuali, quali che siano.
Evidentemente non discriminare donne e omosessuali è considerato ancora facoltativo, una scelta delle singole famiglie e non una decisione dell'intera comunità civile. Ma questo sarà un paese civile solo quando i diritti smetteranno di dover essere difesi in tribunale e cominceranno a essere costruiti a scuola.