domenica 2 aprile 2017

COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI 9, 1-41
DOMENICA 26/3/2017


Nel brano evangelico possiamo notare diversi aspetti degni di riflessione, ad esempio l'idea antica, già esistente nel mondo greco, che "un'imperfezione" fosse sinonimo di colpa/peccato e che questa fosse ereditaria, quindi potesse tramandarsi di padre in figlio finché non veniva espiata. Il fatto, quindi, che Gesù neghi che la cecità sia dovuta ad un peccato non è affatto scontato in una società in cui, al contrario, questo era un dato acquisito. Inoltre, dal racconto risulta chiaro che chi, come il cieco, aveva un handicap era automaticamente un emarginato, destinato a chiedere l'elemosina ai bordi della strada. Ancora di più, allora, colpisce il gesto di Gesù che, per prima cosa, vede il cieco, cioè lo nota e gli presta attenzione, e poi lo guarisce senza che gli fosse stato chiesto. Un po' come se oggi uno di noi, mentre passeggia per strada, si fermasse ad osservare un barbone sdraiato per terra o un rom che mendica e, di propria iniziativa, facesse qualcosa che cambia la sua vita radicalmente.
Un altro aspetto d'interesse è sicuramente la condanna di Gesù da parte dei farisei perché ha agito di sabato: sin dai tempi più antichi, le convinzioni dogmatiche sono state, dunque, considerate prioritarie rispetto alle esigenze pratiche delle persone, una questione oggi viva più che mai, basti pensare a quanto siamo diventati schiavi della burocrazia e a quanto un certificato possa, alle volte, essere considerato più importante della persona in carne ed ossa. Gesù agisce, ancora in un caso, in rottura con quelle tradizioni; sentite come obsolete e limitanti. Il suo scopo, complessivamente, non sembra essere quello di chi voglia stravolgere le tradizioni e le peculiarità di una fede e di una cultura, quella ebraica, molto sentita e amata; quanto quello di chi vuole provare a rinnovare tale cultura dal di dentro, mettendo in discussione ciò che la rende limitata e troppo poco al servizio di chi ha realmente bisogno. I veri ciechi del racconto sono, evidentemente, i farisei poiché, secondo Gesù, ritengono di poter vedere, quindi comprendere in profondità, quando, invece, si rifiutano di credere all'evidenza della guarigione del cieco e non accettano che anche una persona così umile potesse avere qualcosa da insegnare loro; il cieco, anche una volta guarito, ai loro occhi resta comunque un peccatore e, quindi, qualcuno da dover emarginare. Il tema dell'incapacità di saper vedere pur possedendo la vista è presente in tradizioni molto antiche ed ha avuto da sempre un significato simbolico particolare. Sofocle, ad esempio, tragediografo greco del V secolo a.C., racconta la storia di Edipo che, dopo aver commesso involontariamente un terribile peccato, si acceca e, solo allora, inizia a vedere con chiarezza le cose. Il mito greco, inoltre, è ricco di figure di importanti indovini (coloro che potevano vedere il futuro e conoscere la volontà degli dei) ciechi ma, forse proprio per questo, dotati di una profonda capacità di capire e interpretare il reale. L'idea di fondo è che non basta poter vedere per riuscire a capire davvero; comprendere in profondità persone e situazioni significa fare uno forzo, anche di immedesimazione, che va ben oltre la semplice osservazione. Gesù, a mio avviso, aggiunge a questa idea un altro tassello di fondamentale importanza: vedere non è davvero comprendere se non si guarda l'altro in profondità e ci si immedesima nella sua storia personale; ma, soprattutto, vedere non è davvero comprendere se non si prende in mano la situazione e si fa qualcosa per cambiarla.
Anna Cau
Comunità nascente, Torino