martedì 4 aprile 2017

DA "LA STAMPA" DI TORINO

La vita dei bambini “libellula” prigionieri di un corpo estraneo
Non chiamatelo disturbo dell’identità di genere, ma disforia, ossia «malsopportazione», perché non sentirsi a proprio agio nel proprio corpo non è da considerarsi una malattia, bensì una condizione. E quando a reclamare una identità diversa da quella imposta dal certificato di nascita sono i minorenni le cose si complicano. In Gran Bretagna e Olanda ma anche negli Stati Uniti sono un pezzo avanti ma anche da noi qualcosa si muove. A iniziare dai centri dedicati ai bambini «libellula» attivi a Torino, Milano, Trieste Bologna, Firenze, Napoli e Bari.
Difficile «dare i numeri» del fenomeno e capire se sono veramente in aumento perché, avverte Damiana Massara, coordinatrice della commissione minorenni della Onig, «non tutti i genitori di bambini e non tutti gli adolescenti si rivolgono ai centri, quindi i dati che abbiamo sono per forza sottostimati. C’è sicuramente una maggiore attenzione da parte dei genitori al problema».
Ad aver cercato di ragionare sui numeri sono stati per primi gli olandesi, pionieri in questo campo, e secondo il loro studio il problema può riguardare circa l’1 per cento della popolazione under 12. Dato che si sovrappone a quello individuato dai ricercatori canadesi. Secondo la dottoressa Kristina R. Olson che a Seattle sta lavorando al più largo studio di sempre su bambini fluid gender la stima più probabile è fra lo 0,3 e l’uno per cento del totale. In Italia, come spesso accade, l’attenzione sul tema viene accesa da un «caso» che fa notizia. E così è stato con Camilla, la mamma che ha aperto un blog per raccontare la vita del suo bambino a cui non piacciono super eroi e macchine ma bambole e il colore rosa.
Per la disforia di genere minorile, esistono linee guida internazionali, che in Italia non sono ancora state recepite. Ci sono però i centri che se ne occupano come l’unità di Medicina della Sessualità e Andrologia dell’ospedale universitario Careggi, a Firenze diretto dal professor Mario Maggi. «Facendo uno studio abbiamo visto che 4 soggetti su 5 hanno avuto un esordio precoce della disforia, prima degli 11 anni», spiega il professor Mario Maggi. E mentre da noi l’attenzione a queste problematiche in età infantile e adolescenziale è quasi una novità in Olanda (ma anche negli altri Paesi del Nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada) è dagli Anni 80 che si dà attenzione a questa fascia di età. «L’Olanda è stata pioniera in questo», conferma Maggi, «perché hanno capito che bisogna intercettare la disforia in età adolescenziale e trattare i soggetti sia con un approccio psicologico, sia medico con il blocco dell’evoluzione puberale nei casi compresi nelle linee guida internazionali». Il fine è quello di «allungare la finestra di ascolto», spiega Jiska Ristori, psicologa del Careggi. «Senza subire la sofferenza di un corpo che si sviluppa in una direzione non desiderata».
«Nei bambini (under 12) che mostrano comportamenti cross-gender solo il 15 per cento li mostrerà ancora in età adolescenziale. Questo perché l’identità sessuale dei bambini è fluida e in divenire», continua la Ristori. «Quando invece la disforia di genere persiste in età adolescenziale raramente poi desiste». Per questo, «prescrivere i bloccanti della pubertà significa dare all’adolescente più tempo per riflettere sulla sua identità sessuale e di genere». Ma in Italia non si può fare, perché è impossibile per un medico prescrivere un piano terapeutico ormonale per la disforia di genere nei minorenni in quanto non è riconosciuta come entità nosografica. Solo in due casi al Careggi, nel 2013, si è avuto un permesso speciale per due ragazzi, un maschio e una femmina, che si erano costretti al digiuno dopo aver saputo alla lezione di biologia che una corretta alimentazione favorisce una pubertà sana. E il rischio in questi casi è anche la tendenza suicidaria. «Questo ci ha permesso di ottenere sul caso singolo un permesso dal comitato etico dell’ospedale per l’utilizzo dei farmaci. E adesso i due ragazzi stanno benissimo», dice Maggi. E quindi, fa notare il professore, ci siamo chiesti «quanti casi di anoressia in età adolescenziale sono in realtà casi di disforia di genere? E in questa direzione stiamo lavorando».
Ma l’utilizzo dei farmaci che bloccano la pubertà crea in Italia ancora forti polemiche. Il tema «gender» trova in assoluto molti ostacoli, figuriamoci quando si tratta di minori, soprattutto se si propone di portare il tema nelle scuole dove le associazioni cattoliche fanno le barricate. «Mentre nelle scuole è importante informare i ragazzi, spiegare loro che mentre l’identità di genere è la percezione soggettiva del proprio essere, l’orientamento sessuale riguarda la scelta del partner. E che il ruolo di genere, ossia come si esprime al mondo la propria identità, dipende dalla società in cui ci si trova e dagli stereotipi che vi insistono».
Quindi la disforia deve essere considerata come un disequilibrio nell’identità di genere. Ed è importante fare una diagnosi precoce e accurata. Psicologi e psichiatri devono valutare se il soggetto adolescente non stia nascondendo in realtà dietro a una disforia un suo orientamento sessuale, omosessuale o lesbico, che considera più difficile da accettare. C’è poi lo psichiatra che deve fare una diagnosi differenziale, come spiega Giovanni Castellini, del team del Careggi, «per escludere che vi siano situazioni, come per esempio una psicosi, capaci di simulare una disforia di genere».