lunedì 17 aprile 2017

Espulsi dal giardino

«Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: 'È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?' Rispose la donna al serpente: 'Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete'. Ma il serpente disse alla donna: 'Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male'. Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei; e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gn 3,1-7).
«Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita» (Gn 3,24).

Solo negli ultimi venti anni ho riletto e ripensato queste righe alla luce di alcuni commenti rabbinici che hanno spostato l'asse della consueta interpretazione come "caduta" di Adamo ed Eva.
La "storia" lascia, anche alla prima lettura, molti interrogativi, ma come non cogliere questa "provocazione" di Dio? Pianta un bell'albero in mezzo al giardino, rigoglioso e fecondo, e nessuno dovrebbe mangiarne i frutti?
Dio sembra spingere Adamo ed Eva alla trasgressione che è il punto alto della leggenda perché apre gli occhi su una prospettiva nuova. Forse non siamo di fronte ad un paradiso perduto, ma alla nascita della coscienza.
Come noi nell'infanzia abitiamo ignari ed obbedienti nel tepore di una casa e poi ce ne usciamo per la responsabile avventura della vita, così Adamo ed Eva hanno da Dio l'opportunità di uscire da una condizione edenica e "riconoscere" la propria identità nelle vie reali della vita.
Forse «abbiamo letto male la storia: mangiare il primo frutto non è stato un peccato, ma un passaggio necessario e prestabilito per arrivare alla maturità umana».
1 Un po' li aveva già coccolati, avevano sentito il calore di casa: era tempo di partire, di "separarsi" da un giardino perfetto e avventurarsi nelle vie del mondo per non restare noiosamente infantili. I figli che stanno troppo in casa, diremmo noi oggi, non si preparano alla vita. Certo che fuori è più "faticoso" vivere, ma questo è il prezzo dell'autonomia, della crescita.
Occorre davvero cambiare gli occhiali con cui troppe volte abbiamo letto Genesi 3 come una storia di peccato e castigo.
«Eva che mangia il frutto a me sembra terribilmente coraggiosa. Non è frivola né disobbediente, non si lascia sedurre con facilità... Oltrepassa con coraggio i confini dell'ignoto per avventurarsi alla scoperta di ciò che si trova oltre i limiti dell'esistenza animale e, nel farlo, tende la mano ad Adamo perché la segua... La storia del giardino dell'Eden non descrive la Caduta dell'Uomo, ma la Nascita dell'Umanità... Certo, le conseguenze sono state dolorose, proprio come può essere doloroso crescere... La donna non è il cattivo della storia, schiava del desiderio... Deve essere considerata come colei che coraggiosamente conduce il compagno nel mondo nuovo delle esigenze e delle decisioni morali».
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La storia, questa stupenda leggenda ebraica, ci lascia intravvedere come la vicenda umana, fuori dall'illusione del paradiso terrestre, libera dalla ricerca di una inesistente perfezione, è un cammino dove i nostri smarrimenti sono o possono diventare passaggi verso la maturità. È inutile soffermarci nostalgicamente sul paradiso perduto o cercare spazi al riparo da ogni tensione, da ogni vacillamento, da ogni rischio. I cherubini, con spada fiammeggiante, ci impediscono di raggiungere l'Eden!!
L'immagine è fortemente espressiva: chi vuole resta nel tepore paradisiaco e non si tuffa nel mare mosso della vita si ferisce, si fa del male, cerca l'irrealtà. Non c'è nulla e nessuno di più noioso di quelle istituzioni e di quelle persone che hanno una risposta a tutto, che riescono sempre a dimostrare le loro buone ragioni, a trovare soluzioni a tutto.
Chi non ha mai dubbi e smarrimenti e siede su cattedre infallibili ha dimenticato la storia dell'espulsione dall'Eden, non sa fare i conti con la realtà della nostra umanità.
Dio è quell'amore forte e tenero che ci fa uscire dal paradiso dell'infantilismo e ci accompagna nella nostra crescita spingendoci avanti, aprendoci agli altri, invitandoci ad accettare i nostri limiti e i nostri errori per non fermarci in essi. La Sua non è una richiesta di perfezione, ma un invito alla conversione.
È ancora Harold Kushner che ci riporta una favola per adulti di Shel Silverstein: «C'era una volta un cerchio a cui mancava un pezzo. Gli avevano tagliato via un grande spicchio triangolare. Il cerchio voleva essere integro, senza parti mancanti, così si mise in cerca del pezzo che gli mancava. Ma siccome non era completo, riusciva a rotolare per il mondo solo molto adagio e così ammirava i fiori lungo la via, chiacchierava con le farfalle e si godeva il sole. Trovò moltissimi pezzi, ma nessuno andava bene. Alcuni erano troppo grossi, altri troppo piccoli. Alcuni troppo quadrati, altri troppo a punta. Perciò li lasciava sul ciglio della strada e riprendeva la ricerca. Un bel giorno ne trovò uno che gli andava a pennello. Come fu felice! Finalmente sarebbe stato integro, senza parti mancanti. Incorporò il pezzo e cominciò a rotolare. Adesso che era un cerchio perfetto, rotolava velocissimo, troppo per osservare i fiori e chiacchierare con le farfalle. Quando si rese conto di come sembrava diverso il mondo ora che lo percorreva rotolando così veloce, si fermò, lasciò il pezzo mancante che aveva ritrovato sul ciglio della strada e piano piano se ne rotolò via di nuovo in cerca del suo pezzo mancante».
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La storiella dà ragione al capitolo 6 del Deuteronomio: quando non ci manca più nulla... siamo perduti. Sazi di beni, sazi di verità, sazi di salvezza... diventiamo adoratori degli idoli e non più cercatori di Dio.
Trovarsi nelle tenebre, provare gli smarrimenti ed esperimentare certe notti buie non è certo piacevole, ma aiuta a fidarsi, a contare su forze esterne. Chi invece vive nell'eccesso di luce, chi si identifica con la luce, chi non conosce che percorsi illuminati e luminosi, può esserne accecato, abbagliato. Molti "abbagli", molte "cantonate" storiche e personali derivano dalla presunzione di essere i figli della luce, di appartenere all'unica religione vera.
Franco Barbero

1 L. KUSHNER, Con gli occhi della mente, cit. p. 81
2 H.S. KUSHNER, Nessuno ci chiede di essere perfetti nemmeno Dio, Neri Pozza 1997, pp. 27 e 33.
3 H.S. KUSHNER, Nessuno ci chiede, cit., p. 152.