martedì 18 aprile 2017

LA DOTTRINA NON SI TOCCA
La Chiesa di Francesco ha scelto di non intervenire sulla dottrina, che ancora considera l'omosessualità innaturale e segno di una mancanza di pienezza affettiva e sessuale

Chi sono io per giudicare?
L'avvio del pontificato dl Bergoglio aveva suscitato grandi aspettative nelle associazioni di omosessuali cattolici. Sono passate alla memoria le parole pronunciate sul volo di ritorno dal Brasile nel giugno 2013: «Chi sono io per giudicare un gay?» Da allora la Chiesa cattolica sembra aver modificato la pastorale assumendo nei gesti e nelle parole dei suoi vertici un atteggiamento di maggiore apertura. Nel giugno 2016, ancora una volta parlando in volo con i giornalisti, il papa ha aggiunto che la Chiesa "deve chiedere scusa ai gay che ha offeso»; in ottobre ha dichiarato che "Gesù accoglierebbe gay e trans». Può valere infine come sintesi del suo pensiero quanto dichiarato nel libro intervista con Andrea Tornielli (Il nome di Dio è Misericordia, 2016): «Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme. Puoi consigliare loro la preghiera, la buona volontà, indicare la strada, accompagnarle». In altre, parole la Chiesa di papa Francesco ha scelto di non intervenire sulla dottrina cattolica, che ancora oggi considera l'omosessualità come grave peccato, e addirittura di accentuare per certi aspetti l'opposizione alle teorie del gender, descritte dal papa come una minaccia, un'ideologia complottistica che vuole sovvertire la società. Mentre sul piano politico la Cei del card. Bagnasco ha tuonato contro la legge Cirinnà, l'allocuzione post-sinodale sulla famiglia Amoris Laetitia (19 marzo 2016) conferma la visione tradizionale della Chiesa sull'omosessualità: innaturale, negazione di una vera complementarietà affettiva e sessuale. Si invitano gay e lesbiche alla castità e la società ad avere rispetto e compassione: niente è cambiato da questo punto di vista rispetto al Catechismo del 1997.

Divorziati risposati: vedi nota a piè di pagina
Due Sinodi sulla famiglia, una esortazione post sinodale (Amoris Laetitia): sembrava che sui temi delle nuove forme di famiglia, quelle di fatto, quelle ricostituite, sui divorziati risposati e i conviventi ci sarebbero state grandi novità. In realtà questo pontificato ha ribadito la tradizionale dottrina sulla famiglia, appellandosi spesso alla misericordia e alla sapiente capacità discrezionale di vescovi e presbiteri. In pratica, però, resta  solo il paragrafo 305 di Amoris Laetitia, in cui si parla genericamente di un aiuto della Chiesa a persone che vivono "situazioni irregolari", ossia soprattutto ai divorziati risposati.
Questo punto rimanda poi a una nota che chiarisce che l'aiuto della Chiesa a persone potrebbe anche essere l'aiuto dei sacramenti, e quindi anche della Comunione. Si tratta quindi di una possibilità di ammettere i divorziati all'eucaristia, non di un diritto dei divorziati, in quanto battezzati, a comunicarsi. Resta quindi, nel fatti e nel Diritto Canonico, l'ipocrisia di una dottrina che esclude dal sacramento chi vive con un partner stabilmente, ma non chi va a letto ogni sera con una persona diversa, magari pentendosi volta per volta, ricevendo l'assoluzione ed essendo quindi nelle condizioni di comunicarsi. Similmente a chi uccide, stupra, ruba, ma poi si pente. Tutti ugualmente ammessi all'eucarestia. Il divorziato risposato o convivente more uxorio no, perché la sua è considerata ancora una condizione permanente di peccato. A meno che il vescovo, a sua discrezione, decida di fare un'eccezione. Che resta, appunto, un'eccezione alla norma. (valerio gigante e alessandro santagata)

(Adista n. 12, 25 marzo 2017)