giovedì 27 aprile 2017

La scienza e l'effetto Trump

Sono veramente tante le ragioni per temere l'imprevedibile amministrazione del presidente Donald Trump. La miscela di arroganza e ignoranza che ha contraddistinto questi primi mesi di lavoro si sta già dimostrando particolarmente funesta in molti campi, cambiamenti climatici, ovviamente, inclusi. Ne sono un esempio la cancellazione del "Clean Power Plan" di Obama, che prevedeva restrizioni sulle emissioni industriali e la riduzione delle centrali a carbone o il rifiuto di firmare la dichiarazione congiunta sul clima al recente G7 dell'energia di Roma. Eppure, nonostante la condotta di Trump su questi temi sia stata fin da subito inqualificabile, è bene rammentare che i risultati dei suoi predecessori non hanno certamente brillato per efficacia.
Il 6 dicembre del 1988 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava all'unanimità una risoluzione sul tema della "Tutela del clima globale per le generazioni presenti e future dell'umanità". Su questa risoluzione si è costruito l'intero processo che ha portato negli anni alla convenzione quadro sui cambiamenti climatici (1992), al protocollo di Kyoto (1997) e, infine, all'accordo di Parigi (2015). Da una così intensa attività diplomatica ci si sarebbe attesi chi sa quali magnifici risultati. La realtà è stata, sfortunatamente, molto diversa: dal 1988 a oggi, soltanto in tre anni la produzione di anidride carbonica è diminuita rispetto all'anno precedente, con il risultato che le emissioni globali annue sono aumentate all'incirca del 40 per cento rispetto all'inizio del processo. Così, malgrado le buone intenzioni espresse e l'impegno profuso, rimane il fatto innegabile della totale inefficacia di questi accordi, in parte per le indubbie difficoltà  nel contrastare cause diffuse e decentralizzate, in parte per la scarsa volontà e l'inettitudine della politica. Certo, si potrebbe obiettare che senza sarebbe potuto essere molto peggio. E forse è vero, ma un aumento del 40 per cento di CO2 in meno di trenta anni, nonostante generazioni di scienziati e attivisti abbiano cercato di modificare la curva piegandola verso il basso, non può essere considerato un buon risultato. In una situazione così complessa, il neo-eletto presidente Trump cosa fa? Nomina amministratore dell'agenzia federale per la protezione dell'ambiente (Epa) uno fra i più affidabili alleati dell'industria dei combustibili fossili. Come mettere la banda Bassotti a guardia del deposito di zio Paperone. Gli effetti non si sono fatti attendere e fra i primi provvedimenti presi ecco l'obbligo per i ricercatori Epa di sottoporre i risultati della ricerca ad approvazione politica prima di qualsiasi forma di divulgazione. Un atto di censura grave che in aggiunta alla decisione di eliminate gran parte dei dati sul clima da molti siti Web governativi - in alcuni casi sostituendoli con disinformazione - non è certo servito a tranquillizzare la comunità scientifica. Tanto che temendo per l'integrità delle serie di dati in possesso del governo, molte università e centri di ricerca americani stanno moltiplicando gli sforzi per assicurare che i dati prodotti da decenni di ricerca siano archiviati e protetti.
È bene ricordare che un costante e rigoroso impegno scientifico in questo campo è essenziale sia per la comprensione del cambiamento climatico, che per indirizzare qualsiasi azione futura. L'anidride carbonica è un gas traccia insapore, inodore, invisibile. Senza sofisticate tecniche di monitoraggio e di ricostruzione, non avremmo mai potuto sapere che vi è oggi più anidride carbonica nell'atmosfera di quanta ve ne sia mai stata in un qualunque momento degli ultimi ottocentomila anni. Senza satelliti e telerilevamento, ignoreremmo che il 2016 è stato l'anno più caldo mai registrato. Senza le misurazioni scientifiche, saremmo inondati di aneddoti sulla stranezza del clima, sulla violenza delle precipitazioni atmosferiche, sulle estati torride, sul clima che "non è più quello di una volta", sulla mancanza delle mezze stagioni, ma non sapremmo che il clima sta realmente cambiando. E senza tanta scienza dell'atmosfera non avremmo mai potuto accertare che questo cambiamento è legato alle attività umane.
Nonostante ciò non è affatto chiaro quale sarà il futuro della ricerca scientifica in questo campo. Negli anni Ottanta l'amministrazione Reagan, risolutamente anti-ambiente, ha sostenuto la ricerca in sostituzione di un'azione politica inesistente sui temi ambientali. La richiesta di più finanziamenti per la scienza è difficile da ostacolare, mentre un suo supporto potrebbe avere l'effetto di rabbonire gli scienziati più attivi sul fronte politico. Con Trump, tuttavia, tutto può accadere, sia per una strategia intenzionalmente imprevedibile, sia perché nessuno è in grado di indovinare quale sarà il comportamento di un'amministrazione così disorganizzata, che manca di competenze e non rispetta chi le possiede. In un ambiente del genere può succedere di tutto, anche che si neghino cinquant'anni di solidissime ricerche.
Nonostante il problema sia noto da decenni, i cambiamenti climatici rimangono la più grande minaccia per l'umanità. Per combatterla è fondamentale essere guidati dalle evidenze scientifiche piuttosto che dall'incompetenza o dalla paura. Stiamo appena cominciando a sperimentare alcune delle peggiori conseguenze che i cambiamenti climatici imporranno alle nostre vite e non abbiamo tempo per rimandare l'azione a quando sarà disponibile una politica migliore.
Tuttavia, nonostante non si debba mai perdere di vista la  possibilità reale che il pianeta diventi gradatamente sempre più inospitale a seguito di catastrofi ambientali, c'è margine per un cauto ottimismo. Sappiamo molto di ciò che deve essere fatto, e tante persone intelligenti e impegnate già dedicano la loro vita a far sì che il nostro futuro sia più verde. Il fatto che l'Unione europea, la Cina e molte delle principali economie del pianeta rimangano fedeli agli accordi di Parigi insieme all'uso crescente delle energie rinnovabili, alla rimuneratività della cosiddetta green economy e, infine, alla consapevolezza che i comportamenti di ciascuno possono fare per l'ambiente molto di più di quanto possa fare qualunque accordo sul clima, rendono meno tragiche le scelte medioevali del presidente Trump.
Dale Jamieson e Stefano Mancuso

(la Repubblica 16 aprile)