sabato 22 aprile 2017

L'indifferenza è una colpa grave

Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
L'indifferenza è il peso morto della storia.
L'indifferenza opera potentemente nella storia.
Opera passivamente, ma opera.
É la fatalità.
É ciò su cui non si può contare.
É ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti.
É la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza.

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga; quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.
E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. […]  
Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
Antonio Gramsci
11 Febbraio 1917