martedì 11 aprile 2017

TI AMO, SORGENTE DELLA VITA

Dopo aver scritto una decina di libri sul tema "fede ed impegno", dopo aver trascorso anni sui testi biblici, mi è molto difficile oggi parlare della preghiera perché temo di fare un "pistolotto" pietistico. Ma per me non è mai stato così. La preghiera è per me intrecciata con la vita. Da sempre inserito nell'impegno sociale e politico cercando di ollocarmi sul solco di Gesù, dalla parte dei deboli, sono riconoscente a Dio che mi ha conservato la passione della preghiera. Ormai 30 anni fa, quando scrissi "Una fede da reinventare", eravamo nel pieno delle lotte politiche. Ma io non ho mai potuto capire perché si dovesse separare la passione per gli oppressi dalla passione per Dio. Questo mi sembra un binomio inscindibile. Anni di studi biblici mi hanno innamorato (sempre dentro una vita molto laica e mossa) della preghiera biblica. Oggi prego come un bimbo che riposa tra le braccia della madre. Conosco le lacrime di gioia e il grido dell'inquietudine e dell'angoscia. La preghiera ebraico-cristiana, prima di tradursi in preghiere, è la struttura interiore per cui penso tutta la vita come un dialogo, come un attingere alla Sorgente, come un volgere cuore e occhi alla fonte della vita, la roccia del mio cuore. Pregare è riconoscere che sono decentrato da me, che sono situato in una relazione d'amore che precede, accompagna e supera la mia vita; significa buttare i miei "lievi" giorni e i miei contati anni tra le braccia dell'Eterno e affidare a162 Lui le mie fatiche, le mie gioie, le mie sconfitte, le mie speranze. La preghiera mi libera dall'ossessione dell'io, dall'autocentramento e mi ossigena il cuore nel profondo. Ecco perché (lo sanno bene nella mia comunità e nelle comunità amiche!) io sono spietato e sferzante verso quei cristiani che, non più in sintonia con talune forme di preghiera, cessano di pregare anziché inventare una "nuova preghiera". Certo, la preghiera va rinnovata e nella mia vita ho abbandonato certe forme, ma ne ho scoperte altre che oggi ritengo per me molto più nutrienti. Non sono più legato a novene, tridui, madonne, santini, rosari e processioni, ma mi sono sempre più accostato alla Bibbia, ai salmi, alla lettura della parola di Dio, all'eucarestia di gruppo, alla celebrazione comunitaria del perdono. Amo ricavare anche con sacrificio dentro la mia vita quotidiana qualche momento di silenzio in cui apro il mio cuore davanti a Dio. Detesto le forme stereotipe, ma imparo molto anche dalla preghiera di altre persone e sono contento che nella mia comunità il canone della messa spesso sia costruito in gruppo. Ogni comunità dovrebbe, a mio avviso, costruire almeno una parte delle proprie celebrazioni. Io temo gli alberi che hanno le radici tagliate o secche, cioè i cristiani che non affondano le loro esistenze in un rapporto con Dio. Nella vita, nella chiesa e nel mondo ci sono troppe bufere. Voglio continuare a nutrire le radici dell'alberello della mia vita con il dialogo con Dio. I linguaggi sono come le foglie, cambiano di stagione in stagione, ma il colloquio resta.

Franco Barbero (in Olio per la lampada 2001)