giovedì 25 maggio 2017

IL CASTELLO E IL SIGNORE

Riporto integralmente uno scritto di Luigi Dellorbo comparso su «Ulisse» (anno I, numero I, ottobre 1989) che condivido sostanzialmente e che trovo molto stimolante per quanto riguarda la presenza dei cristiani nella storia.
C'è un apologo raccolto da Buber e attribuito al rabbino di Kozk, un epigono del movimento chassidico, che mi pare esprima splendidamente il punto di vista della fede sulla crisi: una parabola del Midrash racconta «di uno che per via vide un Castello in fiamme, senza che ci fosse alcuno che spegnesse l'incendio, e penso che fosse un castello senza governatore, fino a che dall'alto il signore del castello lo guardò e disse: «Sono il signore del castello». Quando Rabbi Mendel pronunziò le parole: «Sono il signore del castello», un gran timore s'impadronì di tutti i presenti. Tutti capirono: il castello sta bruciando, ma ha un signore».
Il punto di vista di una fede che non sia cieca è proprio questo: sapersi attorniati da fiamme che divampano sempre più in alto, sapere appunto che "il castello sta bruciando, ma ha un signore». C'è invece una fede miope, ingannevole e paurosa che si rifiuta di vedere il castello che brucia.
D'altro canto c'è il laicismo che tiene ben fermo lo sguardo sul fuoco senza vedere il signore, e patisce senza sosta per lo stato del mondo. E c'è in ultimo invece l'idiozia imperante, la degradata povera morale che incombe, il rachitismo dello spirito che si esplica in un narcisistico utilitarismo di mezza tacca; per costoro il castello non brucia, ma è sempre un florido e promettente terreno di caccia e sopra di esso non vi è nessun signore. Ci sono quindi gli idioti che non vedono niente; i laici che vedono le fiamme, ma non il signore; ci sono i credenti che vedono il signore, ma non le fiamme; ce ne sono altri che vedono sia le fiamme che il signore Quest'ultimo è il punto di vista autentico della fede.
Perché è stato scritto "un gran timore s'impadronì di tutti i presenti» quando udirono "sono il signore del castello?» Non si allude qui, io credo, al timor di Dio; il timore che colpisce i presenti è un'altra cosa: è lo sgomento che coglie quando si capisce che c'è un signore e che il castello sta bruciando, ma nel contempo non si capisce perché se c'è un signore il castello debba bruciare. Con ciò intendo dire che agli occhi della fede il castello brucia da sempre e la crisi del nostro secolo ha, diciamo, alzato il tono e il vigore delle fiamme in quanto, come è noto, solo oggi può andare davvero tutto in cenere. Il problema della crisi, sempre da un punto di vista di fede, può essere solo pensato in stretta connessione con la realtà del male che connota l'esistenza sin dai primordi: il «male radicale» diceva Kant, cioè la carenza strutturale che mina l'uomo e il suo mondo. La modernità ha portato sicuramente qualche nodo al pettine, ma in fondo, come recita la vecchia sapienza, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Non c'era infatti bisogno che arrivassimo a combatterci a colpi di sofisticate armi chimiche e a diffondere menzogne grazie ai satelliti per conoscere le nostre fondamentali predisposizioni; il moderno è la celebrazione della hybris, ma non ne segna sicuramente l'origine. Certo ogni cosa è oggi su scala enormemente potenziata, grazie alla tecnica, e questo pone di fronte agli occhi con maggior chiarezza ciò che siamo e ciò che rischiamo, ma è insensato pensare che prima del nostro mondo ve ne siano stati di sostanzialmente migliori.
Eppure molti rimpiangono, in nome di una fede mal compresa, un passato in cui la religione stava al centro della vita privata e collettiva costituendo un tessuto connettivo in grado di fornire coerenza alle esperienze. Ebbene, io credo sia corretto il richiamo alla tradizione luterano-barthiana come corretta impostazione della relazione, o meglio dell'antitesi, tra fede e religione: la fede, specie quella cristiana, è una continua messa in discussione dei dati di fatto, delle presuntuose certezze, delle preteste sacrali; è in sostanza un principio di perenne contestazione escatologica del mondo e delle sue rappresentazioni religiose La religione ha il suo dominio e la sua gratificazione nel sacro, la fede invece nella dimensione della tensione escatologica che non si soddisfa di miseri surrogati: la tradizione del profetismo ebraico e il pensiero neotestamentario diffidano fortemente della religione, vedono dietro ad essa l'insorgere costante del rischio idolatrico. Infatti la religione che si pretende detentrice delle chiavi del trascendente non tarda ad adorare se stessa e a perdersi nell'idolatria dei propri atti sacrali. Dove si abbonda in «segni sensibili della grazia» si sprofonda nel pantano idolatrico; non si attende più la salvezza da Dio che è il contenuto della fede, ma si crede di possederla e di distribuirne i frutti a piacimento. La fede ebraica è nella sua essenza antisacrale e antiidolatrica, concentrata sull'unico possesso autentico che è concesso all'uomo: quello della memoria. Il cristianesimo non è sempre stato fedele a queste sue origini e ha spesso confuso la memoria con il sacro. Certo la fede non può vivere senza memoria della promessa, ma la memoria non ha nessun diritto di diventare illusione di possesso della salvezza. Il cristianesimo, d'altro canto è anche il luogo in cui si riconosce la priorità della misericordia divina sulla giustizia, cioè della grazia sulla legge negando all'uomo la forma più speciosa della hybris: la pretesa di essere capace di fedeltà, di essere in grado di salvarsi con le proprie mani.
Questo genere di fede cosa può dire rispetto al moderno? Si è soliti vedere nel giudizio sulla secolarizzazione la cartina di tornasole del presunto progressismo dei credenti: da un lato c'è chi vede nel moderno nuove chanches per una emancipazione della fede dalla religione, della memoria autentica dal sacro, si pensi a Bonhöffer Ma le cose non sono così semplici: al passato non si torna e non è per nulla detto che fosse migliore del presente, ma non è nemmeno detto che il presente induca ad una purificazione della fede e non al suo velamento. Nel nostro mondo la fede non tende a divenire memoria, ma sprofonda nell'oblio e se si registra sociologicamente una richiesta di religione, a ben vedere ci si rende presto conto che è in sostanza domanda di sacro e non di fede adulta; e spesso di un sacro deteriore. La fede resta ai limiti dell'impossibile, resta scandalo e follia oggi come duemila anni or sono. Da un punto di vista di fede la «secolarizzazione» cosiddetta non prende le mosse dal secolo dei Lumi, ma dalla croce nella quale si esaurisce il tempo della legge e dei profeti; e la «crisi» non inizia con la scienza moderna, o con la caduta delle ideologie o con i libri di Nietzsche e Heidegger ma con l'irruzione del male nel mondo, il quale, secondo la tradizione ebraico-cristiana, non ne conteneva originariamente traccia. Da allora storia della salvezza e prosecuzione delle tenebre si intrecciano in modo misterioso e la parola tragica e autentica della fede resta quella del viandante: il castello sta bruciando ma ha un signore.
(tratto da "La bestia che seduce" di Franco Barbero, Bra 1999)