domenica 21 maggio 2017

La morte di Oliviero Beha

Se n'è andato a 68 anni, lucido, dissacrante, come è stato per tutta la vita. A partire dagli anni Settanta in cui Repubblica si affacciava con forza sul panorama editoriale italiano e lui, Oliviero Beha, era uno dei giovani inviati di punta del nostro giornale. Dieci anni intensissimi, dal '76 all'85, dieci anni di reportage in tutto il mondo, polemiche, inchieste e grandi eventi come le Olimpiadi e i Mondiali di calcio. Di fronte a Rummenigge & C. che avevano battuto la Francia e si preparavano alla finale dell'82 con l'Italia scrisse: «La Germania non ha mai fuso neanche quando aveva fuso, non ha mai pensato di perdere neanche quando aveva perso. È stata carne e ossa fino all'ultimo. E ne viene premiata con criteri di morale veterotestamentarie».
Scrittore, giornalista, inventore di trasmissioni tv e radio, autore di testi teatrali, appassionato di sociologia, Beha era laureato in lettere con tesi in storia medievale e in filosofia, dottorato che aveva conseguito trasferendosi in Spagna dopo un interminabile viaggio a bordo di una Renault 4. Ma da giovanissimo era stato anche atleta, mezzofondista pronto ad allenarsi alle sei del mattino prima di andare a scuola. Prima, soprattutto, di cominciare una carriera segnata dal gusto per i titoli ustionanti e le battute, spesso feroci, che lo faceva amare dal pubblico e mal sopportare dai suoi bersagli. Senza contare la passione per gli scherzi: memorabile un finto telegramma inviato negli anni Ottanta a Repubblica, in cui Carmelo Bene chiudeva una lite calcistica nata in tv con un: "zona vincit, ad maiora".
Beha non sopportava la sacralità del calcio in Italia, l'atteggiamento acritico, i traffici che si sviluppavano all'ombra del Dio Pallone, e nel 1984 scrisse insieme al giornalista d'inchiesta Roberto Chiodi un libro molto controverso, Mundialgate. Nelle sue pagine si ricostruivano trame oscure attorno al pareggio dell'Italia col Camerun, che permise agli azzurri di Bearzot di cominciare la marcia trionfale verso il titolo mondiale dell'82. L'impianto del libro si basava anche su testimonianze raccolte in Africa, e suscitò come prevedibile aspre polemiche.
Chiuso il rapporto con Repubblica, Beha divenne uno dei giornalisti televisivi più conosciuti con trasmissioni come "Brontolo", "'Va' Pensiero", condotta insieme con Andrea Barbato dall'87 all'89. Lasciando il segno anche in radio: la sua "Radio Zorro 3131" smuoveva trecento telefonate a puntata. Tanti format di successo, ma anche vespai di polemiche che in alcuni casi portarono alla chiusura anticipata delle trasmissioni.
Fino all'ultimo Oliviero Beha ha scritto, che si trattasse di Totti o dell'esplosione di fronte a un ufficio postale romano. O meglio, ha continuato nonostante la malattia a pensare lucidamente i suoi pezzi, scritti sotto dettatura dalla figlia Germana che ha annunciato la morte con un post: «Lui parlava ed io scrivevo perché animare, vibrare e far venire vere le parole, Lui, l'aveva come dono». Al figlio di Germana, Michele, era stato dedicato lo scorso anno un libro dal titolo inequivocabile: "Mio nipote nella giungla. Tutto ciò che lo attende (nel caso fosse onesto)".
«Ricordo Oliviero Beha come giornalista impegnato, indipendente e mai banale» lo ha commemorato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Anche la Fiorentina, la squadra per la quale teneva (il tifo non era qualcosa che gli appartenesse), lo ha voluto ricordare attraverso le parole del ds Pantaleo Corvino. «La libertà è un lusso di pochi», ha continuato a ripetere Beha a chi gli è stato vicino. Non era amato da tanti, ma un'intera famiglia allargata gli si è stretta attorno, senza lasciarlo mai solo.
Mattia Chiusano

(la Repubblica 14 maggio)