mercoledì 17 maggio 2017

L’amaca di Michele Serra

Si capisce che la Tav, che costa caterve di denaro pubblico, tiene aperti per anni enormi cantieri, buca le montagne, sposta milioni di metri cubi di detriti, cambia l'orografia e il regime delle acque sotterranee, divida gli animi e inneschi forti proteste. Ma cavare qualche ulivo per far passare un tubo sottoterra, e poi rimetterlo al suo posto, il tutto a spese di una società privata, come è possibile che produca una rivolta che non ha alcuna vera pezza d'appoggio di carattere ambientale o tecnico o naturalistico?

La sola spiegazione plausibile è il sentimento di esclusione, motore di molte delle meno ragionevoli prese di posizione politiche degli ultimi anni (vedi quel coacervo di ostilità assortite che chiamiamo populismo). Molte persone, molte comunità si sentono escluse da ogni decisione e da ogni scelta. Dunque sono ostili per principio a quella decisione e a quella scelta, indipendentemente dalla sua utilità e dalla sua bontà. A questo si aggiunge la crisi drammatica del concetto stesso di delega, di autorità, di classe dirigente. O si prova a ricostruire con pazienza e rispetto un rapporto decente, e nuovo, tra governati e governanti, o anche spostare un vaso di gerani sarà il possibile innesco di una rivoluzione. (Repubblica 28/04)