giovedì 22 giugno 2017

«A 86 anni ho scelto di fare il "badante" di mia moglie». E io m'inchino.

Gentile direttore,
intervengo volentieri sullo scambio d'opinioni sulla parola badante. Ho 86 anni e altrettanti ne ha mia moglie, che è ormai invalida perché ha una forte osteoporosi, si è rotta due volte il femore, quattro volte un braccio, e inoltre ha subito un grave distacco della retina, un sezionamento dello stomaco per asportare un tumore, e ha anche una forte diminuzione dell'udito e diverse altre patologie minori. Non si lamenta perché dice che a lamentarsi non starebbe meglio. Talvolta ricorda le parole di Isaia, là dove dice che i ciechi vedranno, i sordi udranno e gli zoppi salteranno come cervi, e si domanda se sarà proprio vero, e per quanto tempo dovrà attendere ancora. Per quanto mi riguarda sto tuttora abbastanza bene (o per dir meglio: acciaccatamente bene) e ancora non mi mancano le forze. Ora, dopo ben 66 anni di felice e travagliato amore coniugale, che dovrei fare? Cercare una badante che l'accudisca? Me ne guardo bene, ho lasciato tutte le altre attività per dedicarmi totalmente a lei. Così mi domando se ho inventato un nuovo mestiere: faccio il badamante. E ringrazio il cielo di poterlo fare, perché con la mia sposa stiamo così bene insieme che mi sembra il più bel mestiere del mondo.
Antonio Thellung, Roma - www.antoniothellung.it

Marco Tarquinio,
lettere@avvenire.it