martedì 20 giugno 2017

Anche i cristiani d'Eritrea hanno il loro "Papa", solo che è in carcere

Come nel mondo-fattoria di Orwell, anche tra i martiri alcuni sono più martiri di altri. In fondo alla classifica, circondati dal disinteresse generale, si trovano i cristiani e i musulmani perseguitati, in egual modo, in Eritrea. Nel Paese del Corno d'Africa ex colonia italiana, da sempre la religione è stata parte integrante della vita delle persone e per secoli Cristianesimo e Islam hanno convissuto liberamente. Oggi, dei 4 milioni che la popolano, il 50 per cento sono cristiani, l'altra metà musulmani. La Chiesa ortodossa copta, confessione maggioritaria in Eritrea ed Etiopia, rappresenta quasi il 95 per cento della popolazione cristiana. l cattolici sono 150 mila, divisi in 144 parrocchie e non mancano di vocazioni: 500 preti, 250 seminaristi, 700 frati e 1.000 suore. Come tutti i credenti del Paese, cristiani e musulmani, nella persecuzione "godono" di pari opportunità tanto che, in oltre 300 carceri, languono più: di 10 mila prigionieri di coscienza. Tra loro, circa 3.500 cristiani. Dal 1993, quando la popolazione sancì per referendum l'indipendenza dall'Etiopia, l'Eritrea viene retta dal dittatore pseudo-marxista Isaias Afewerki. Uno dei peggiori Caino che il cosiddetto ordinamento internazionale obbliga a considerare "capo di Stato". Fonti Onu definiscono il suo regime la "Corea del Nord africana», piazzandolo terzo nell'infame classifica degli Stati in cui i cristiani sono più perseguitati. Ufficialmente, la Costituzione del 1997 prometteva il rispetto di tutti i diritti umani, forse anche qualcosa in più. Peccato che una volta scritta e promulgata, Afewerki l'abbia fatta ignorare. Nei primissimi anni Novanta mise "sotto tutela" la politica religiosa del Paese affidandola, per i cristiani, ai Testimoni di Geova e per i musulmani ai qaedisti yemeniti.
La grande fuga degli eritrei attraverso l'Africa e il Mediterraneo inizia allora e prosegue oggi con cifre impressionanti: 5.000 al mese, 160 al giorno, 7 ogni ora. In Eritrea, i cristiani che non usano la Bibbia propagandata dai Testimoni di Geova vanno in prigione, quelli più zelanti nella difesa del Vangelo, come gli esponenti delle Chiese ortodosse e protestanti, guadagnano una forma di tortura chiamata "Gesù Cristo": vengono appesi ad un albero, le braccia tese legate ai rami e le gambe al tronco. In questi giorni ricorrono 10 anni da quando il Patriarca Antonios, "Papa" della Chiesa Copta di Eritrea, è stato posto agli arresti domiciliari e rinchiuso in condizioni forse peggiori che in carcere. Protestava, stanco di vedere dati alle fiamme i libri sacri e le Bibbie delle sue chiese. Un "Papa" in carcere di cui non importa niente a nessuno. Chissà perché.
Filippo Di Giacomo

(Il Venerdì 9 giugno)