lunedì 12 giugno 2017

ARUNDHATI ROY

Piccola e sorridente, una cascata di riccioli grigi, ciabatte di cuoio e uno scialle di lana rossa sulle spalle, Roy appare un po' frastornata e vagamente fuori posto tra i tappeti e le boiserie dell'hotel a Covent Garden, Londra, dove è arrivata per festeggiare l'uscita del libro in 27 paesi del mondo. «Sono felice. La fiction è la mia vera casa». A 55 anni la sua voce suona lieve, come quella di una bambina. «Scrivere romanzi è come una danza, il mio corpo è totalmente rilassato. So che posso prendermi tutto il tempo che voglio. Nei saggi no, sento urgenza, rabbia. Una grande differenza». Finalmente sono stati accontentati i fan che le rimproveravano di essere scomparsa dalla scena letteraria, come se gli scritti acuminati sul capitalismo, Gandhi, i Dalit, il massacro dei musulmani nel Gujarat, i guerriglieri naxaliti, le dighe sul Narmada e Snowden non contassero. Qual è stato il motivo di tanta attesa? «Non volevo fare la continuazione del Dio delle piccole cose. E volevo vivere. Questo libro è fatto di vita». A scorrere le pagine dense lo si capisce. «Ho accumulato esperienze come una roccia sedimentaria, nel mio Dna, e a un certo punto il romanzo mi è sembrata l'unica forma per raccontarle». La più libera, per legare storie molto diverse e sbatterci in faccia i segreti più scottanti del Kashmir, quella piccola valle dimenticata, occupata da 700mila soldati, dove la guerra per l'indipendenza è uno stile di vita e solo i morti sono liberi. «C'è molto rumore su quella regione ma nessuno sa che cosa davvero succede. È il trionfo del modo in cui le democrazie amiche del mercato funzionano. Le storie che vengono fuori da là sono sempre corrotte». O non fanno notizia. «Il terrore a volte è una persona che piomba a casa tua e lascia lì i suoi fucili e tu non sai che cosa ti accadrà. Fatti che non verranno mai denunciati in un report sui diritti umani, ma non per questo meno reali».
Il Ministero è il grande romanzo dell'altra India. Il cruccio dell'icona no global infatti è che la gente abbia un'idea edulcorata del suo paese: i film di Bollywood, l'ascesa del libero mercato, i depliant turistici, le scuole di yoga, la ricerca di spiritualità. «Invece no, è diventato un posto molto violento e militarizzato». L'atmosfera è peggiorata da quando il primo ministro Narendra Modi ha preso il potere ed è cresciuta la marea del suprematismo indù, basato sulle caste. «È sinceramente difficile capire perché ha vinto ancora con una valanga di voti. Sono stati proprio i poveri a essere maggiormente colpiti dalla demonetizzazione. Gente che sta male ma sente di doversi sacrificare per l'induismo, la nazione o chissà che». Le derive sono aberranti. «Lo scorso anno una folla arrabbiata ha ammazzato un uomo accusandolo di aver mangiato carne di manzo, di fronte alla sua famiglia. Un sacco di leggi speciali permettono detenzioni senza processi o alla polizia di uccidere istantaneamente. Il clima è tremendo. Il risultato è che nessuno è libero di parlare, e quindi non parla». Lei va avanti per la sua strada ma ci si chiede se, con un libro così spietato nel denunciare gli abusi del governo, non abbia paura di ritorsioni. «In India oggi bisogna avere paura di tutto. Non lo dico solo per me. Molti scrittori sono stati uccisi, deportati non solo dal governo ma da gruppi di caste locali, di vigilantes. I giornalisti sono arrestati e torturati, gli attivisti condannati all'ergastolo. Non so davvero che cosa potrà accadere. C'è un clima molto pericoloso, a meno che non si faccia propaganda per il governo».
I detrattori la accusano di sporcare ingiustamente l'immagine della patria. Di avere una visione manichea della vita e di essere una fervente ammiratrice del leader separatista Ali Shah Geelani che vuole reintrodurre la sharia. «Non è vero. Vogliono che io sia neutrale ma non posso, visto che ne succedono di tutti i colori. Quanto a Geelani, è molto chiaro da quello che scrivo che non appoggio la sharia. La verità è che lo stato indiano pubblicizza gli islamici più violenti e non i moderati, proprio per creare un nemico. È tutto complicato». La sua voglia furiosa di capovolgere il mondo non ha dato i risultati sperati. «Quando ho scritto del massacro in Gujarat pensavo che la gente sarebbe stata rimasta scioccata, ma la cosa scandalosa è che non lo era affatto, e che l'allora primo ministro del Gujarat lo è diventato dell'India. Un uomo adorato perché sa mettere i musulmani al loro posto». Per questo la sua visione della natura umana è diventata più amara. «Le persone violente e brutali non sempre vengono punite come nelle filastrocche per bambini. A volte vengono premiate».
Mara Accettura

(D la Repubblica, 3 giugno 2017)