venerdì 9 giugno 2017

Le Filippine cercano un antidoto al contagio dell'Isis



L'ESERCITO delle Filippine ha annunciato due giorni fa di aver ucciso 61 miliziani islamici e di tenere sotto controllo il 70 per cento della città di Marawi, capitale di Lanao del Sud, una provincia strategica della grande regione meridionale di Mindanao. Sono nomi di luoghi spesso sconosciuti in Occidente ma è proprio questo, per ammissione ufficiale del presidente filippino Rodrigo Duterte, il teatro dell'ultima guerra al jihadismo.
Per ora i morti registrati sono un centinaio, oltre ai miliziani circa 20 soldati e altrettanti civili, tra i quali almeno 8 uccisi con le mani legate e un colpo alla nuca, altri decapitati dai militanti islamici del nuovo fronte targato Isis di nome Maute. Nel difficile sforzo di liberare gli ultimi abitanti rimasti barricati in casa a Marawi, i soldati hanno usato anche attacchi aerei "chirurgici" e artiglieria pesante, mentre a decine di migliaia fuggono verso nord, a Iligan soprattutto. Tra loro vecchi, bambini, arrancanti su terreni sconnessi e macchie intricate coi loro poveri fagotti, inseguiti a terra da cecchini e bande del nuovo spauracchio targato Isis, un consorzio di dieci diversi gruppi e gruppetti formato da un numero imprecisato - pare poche centinaia - di militanti che hanno anche combattuto in Siria e Iraq, giunti qui da mezzo mondo per aprire il nuovo fronte dell'Islam.
Ma forse ci saranno molti più esuli nell'immediato futuro sull'onda di un attacco concentrico tra Marawi e la provincia degli uomini guidati dall'"Emiro" Isnilon Hapilon, vero ispiratore della inedita esplosione di violenza in una città tradizionalmente tranquilla, dove musulmani e cristiani fino a due settimane fa prosperavano insieme col commercio, l'agricoltura e la pesca. Per catturare Hapilon i soldati filippini avevano lanciato la settimana scorsa una caccia all'uomo evidentemente inadeguata alla preparazione dei militanti. Nella capitale di Lanao del Sud c'è stato un contrattacco simultaneo da vari fronti di una coalizione formata da militanti addestrati e devoti all'Emiro, compresi indiani, turchi, malesi, indonesiani. Hanno occupato diverse zone della città assaltando e incendiando carceri, liberato detenuti islamici e secondo alcune fonti ucciso cristiani che non sapevano recitare il Corano, issato bandiere nere dell'Isis un po' ovunque e sui mezzi sequestrati alle forze dell'ordine. Poi è stata la volta delle sedi governative, di scuole e cattedrali, come quella dove sono stati rapiti dieci fedeli assieme al sacerdote e tre suoi assistenti. La loro sorte potrebbe essere ora legata, oltre che a un eventuale pagamento di riscatto, alla difficilissima trattativa tra governo e militanti, auspicata dal presidente Duterte ma oggi assai improbabile.
Isnilon è un predicatore-guerriero, temuto in quanto formale rappresentante nel sud est asiatico del califfo dello Stato islamico al Baghdadi. L'Emiro di Lanao del Sud unisce il carisma militare a quello spirituale, un leader capace di motivare attraverso Internet, social network ed esempi sul campo del nuovo "esercito dell'Islam". L'obiettivo finale è un califfato panasiatico, fino alle coste dell''islamica Indonesia a sole 5 ore di barca.
Anche se l'Emiro dovesse cadere in battaglia, secondo l'intelligence che gli ha posto 5 milioni di dollari di taglia sul capo, il suo martirio potrebbe ispirare molti altri militanti, e non solo musulmani nativi come i Maranao, gran parte dei ribelli. Ben otto stranieri, compresi arabi e indiani, erano tra i 33 militanti uccisi dall'esercito filippino nei primi quattro giorni del conflitto, iniziato proprio quando l'esercito era andato a cercare di stanare dopo una soffiata l'emiro Isnilon. Ora la paura è che tra il fiume di persone in fuga verso il nord, nella città di Iligan a 30 chilometri da Marawi, si possano nascondere anche i militanti.
Raimondo Bultrini

(la Repubblica 31 maggio 2017)