giovedì 22 giugno 2017

"Questa sarebbe la vera rivoluzione"

ROMA. «Mi sembra una buona idea, e del resto non si tratta di inventare niente di impossibile: a Torino, ma anche in altre città, in alcune scuole già sono previste attività d'estate. Gli insegnanti? Possono essere coinvolti in queste iniziative, ma non soltanto loro». La sociologa Chiara Saraceno, grande esperta di famiglia e dei problemi della povertà, concorda con la proposta del ministro Fedeli. «Purché - precisa - non si tratti né di un semplice doposcuola o di un "parcheggio"».
Per esempio, come «vedrebbe» questo tempo estivo nelle scuole?
«Con attività sportive e culturali, ma anche corsi per poter recuperare eventuali debolezze scolastiche, evitando di costringere le famiglie a ricorrere a insegnanti privati. Più in generale, quello delle lunghissime chiusure della scuola è un problema molto serio. Ormai nessuno o quasi può fare vacanze molto lunghe: se va bene, una famiglia può organizzare una ventina di giorni di vacanza con i figli. Non è che i nostri ragazzi facciano molte più vacanze in assoluto rispetto a quelli europei: le fanno però molto concentrate. In Germania, ad esempio, i giorni di ferie sono gli stessi, ma diluiti nel corso dell'anno».
I tre mesi di vacanze sono un modello pensato per un'Italia anni '50, con un marito che lavora e la moglie a casa...
«Certo, ma anche allora i tre mesi di chiusura delle scuole erano un grosso problema, e solo il 20% delle famiglie andava in vacanza. Allora come oggi si contava sui nonni, sui centri estivi a pagamento, o su equilibrismi. Possiamo anche decidere di continuare a fermare l'anno scolastico da giugno a settembre, ma allora è giusto cercare il modo giusto di trascorrere al meglio queste lunghe vacanze. Bisogna pensare soprattutto ai bambini e ai ragazzi delle famiglie con meno risorse; risorse economiche, ma anche risorse culturali. Perché non consentire ai figli degli immigrati di recuperare competenze linguistiche in italiano? La scuola può e deve vivere d'estate: non solo chiamando in causa gli insegnanti, ma anche animatori culturali, sportivi e altro ancora».
Serviranno a suo avviso investimenti importanti?
«Non è detto. Le scuole d'estate sono comunque aperte e funzionanti. Anche gli insegnati vengono retribuiti per un periodo che va oltre l'anno scolastico in senso stretto. Sono l'unico settore professionale che ha due mesi di vacanza. Potrebbero - non certo per tutto il periodo estivo - essere utilizzati così, con un orario di lavoro pieno. Poi magari gli si può dare un aumento di stipendio. E si può chiedere alle famiglie di dare, sulla base del loro reddito, un contributo, così come già si fa per i servizi a domanda individuale. Chi può pagare risparmierà comunque rispetto al costo del centro estivo; chi ha meno darà invece un contributo minimo. Sicuramente tanti genitori sarebbero ben contenti da lasciare i figli a scuola. Specie i ragazzi meno privilegiati, che d'estate hanno poche se non nessuna alternativa».
Roberto Giovannini

(La Stampa 10 giugno)