venerdì 9 giugno 2017

SOLIDARIETA'

di Gianni Geraci  (Gruppo del Guado – Milano)
Caro Marco,
ho letto sui giornali delle tue nozze con Luca (chiamiamole così visto che si stracciano le vesti se usiamo la parola “matrimonio”) e ti faccio innanzi tutto i miei auguri.
Ho poi letto delle reazioni del tuo parroco. Del fatto che ti ha invitato a dare le dimissioni dal gruppo scout in cui sei impegnato in parrocchia e delle cose che ha scritto nel bollettino parrocchiale, accusandoti di non “condividere e credere, con l’insegnamento e con l’esempio, le mete, le finalità della Chiesa nei vari aspetti della vita cristiana”.
Se non si fosse dimenticato delle cose che aveva studiato quando era in seminario sarebbe stato più prudente e avrebbe evitato di scrivere che: “Come cristiani, dunque, siamo chiamati ad annunciare il modello di famiglia indicata da Gesù: quella fondata nell’amore tra un uomo e una donna uniti nel sacramento del matrimonio”. Si sarebbe infatti ricordato che, se c’è un’istituzione che Gesù scardina nel Vangelo, è proprio quel modello di famiglia da Mulino Bianco che sembra emergere da quanto lui scrive.
Lo stesso fatto che la chiesa chieda ai suoi ministri di andare oltre a questo modello di famiglia e di aprirsi a prospettive diverse dovrebbe fargli capire che tutta questa retorica sulla “grandezza e bellezza del matrimonio tra un uomo e una donna” sarebbe meglio evitarla quando si ha a che fare con un omosessuale che decide di metter su famiglia con il suo compagno.
Magari, se ti capita di incrociarlo, consigliagli di leggere quel bel libretto che il professor Alberto Melloni ha scritto sull’argomento. Si intitola: 
Amore senza fine, amore senza fini e, già nel sottotitolo: “Appunti di storia su chiese, matrimoni e famiglie” puoi capire quanto possa essere utile per aiutare il tuo parroco a rinfrescare i suoi studi di storia della chiesa.
Ma non era del tuo parroco che volevo parlarti e mi scuso per averti fatto perdere tempo prima di arrivare al nocciolo della mia lettera che ho scritto per invitarti a non mollare e di continuare a vivere in pienezza la tua vita.
La tua omosessualità, innanzi tutto, che si sta strutturando nella relazione che hai con Luca e nel progetto di vita che avete condiviso con quanti vi vogliono bene in occasione della celebrazione delle vostre nozze.
Ma anche la tua fede, perché se il Signore ti ha chiamato ad avere incarichi di responsabilità all’interno della comunità cristiana di cui fai parte è perché, prima, ti ha chiamato alla fede..
Ti scrivo, perché il rischio che si corre, quando qualche prete dalla penna facile scrive certe cose, è quello di pensare che per noi, nella Chiesa, non c’è posto, perché per sentirci pienamente membri della comunità ecclesiale abbiamo bisogno dell’approvazione e dell’autorizzazione di qualche membro del clero.
Ti scrivo perché questo rischio è alimentato da un’ignoranza molto diffusa che pensa che essere cattolico significhi innanzi tutto obbedire al papa, al vescovo e al parroco, seguendo quelle che sono le loro indicazioni in merito alla nostra vita morale.
Ti scrivo per dirti che le cose non stanno così, anche se preti come il tuo parroco fanno di tutto per farci credere il contrario.
Naturalmente non lo dico io, che non sono nessuno, ma lo dice addirittura Tommaso d’Aquino quando, nel 
De Veritate, si chiede se sia più giusto seguire le indicazioni del Magistero ordinario (che lui chiama praeceptum prelati) o le indicazioni della propria coscienza.
Non so come te la cavi con il latino, ma credo che sia importante citare il testo di Tommaso nella sua forma originale per evitare che qualcuno dica che ho equivocato traducendolo.
«
Comparare igitur – scrive il Doctor Angelicus – ligamen conscientiae ad ligamen quod est ex praecepto praelati, nihil est aliud quam comparare ligamen praecepti divini ad ligamen praecepti praelati. Unde, cum praeceptum divinum obliget contra praeceptum praelati, et magis obliget quam praeceptum praelati: etiam conscientiae ligamen erit maius quam ligamen praecepti praelati, et conscientia ligabit, etiam praecepto praelati in contrarium existente».
Il più grande teologo cristiano dice in sostanza che la voce della coscienza è la voce di Dio e che, quando c’è contrasto tra la voce della coscienza e le indicazioni del magistero il cristiano deve obbedire alla propria coscienza.
Naturalmente questo testo di Tommaso non è isolato. Ci sono altri autori, come Alfonso Maria de Liguori o John Henry Newman che affermano con decisione il primato della coscienza. Ma soprattutto c’è la dichiarazione 
Dignitatis Humana promulgata dal Concilio Vaticano II e, per non andare troppo lontano, ci sono le cose che il Catechismo della chiesa cattolica scrive quando parla della Coscienza morale.
Alla luce di queste riflessioni puoi ben capire come sia importante che tu continui a vivere la tua fede così come la vivevi prima: a frequentare la messa nella tua parrocchia; a fare la comunione quando, in coscienza, sai di essere in Grazia di Dio; ad offrire il tuo servizio e la tua competenza per le attività che la parrocchia porta avanti, senza offenderti se il parroco, accecato dai suoi pregiudizi, contro ogni buon senso, preferisce affidare quelle attività a qualcun altro. Pensa a questo tuo rimanere nella tua comunità come a un aspetto nuovo della tua vocazione cristiana: magari ti può costare un po’ di fatica, ma è l’esercizio di un ministero che solo tu puoi svolgere.
La tua presenza serena e forte; la tua vita di preghiera e la tua frequenza ai sacramenti; il tuo restare nella comunità di cui fai parte, nonostante le parole di rifiuto che ti sono state rivolte. Tutte queste cose aiuteranno la tua chiesa a chiedersi se, davvero, la fede che professa è cattolica, visto che emargina e tende ad escludere qualcuno che a quella fede è stato chiamato non dalle parole più o meno opportune di qualche uomo di chiesa, ma dall’autorità dello Spirito Santo che abita in ciascuno di noi e che ci parla proprio attraverso la voce della nostra coscienza.
E interrogando la tua chiesa, interroga tutta la chiesa che deve ancora capire molte cose sull’omosessualità e sui valori che può esprimere una relazione di coppia tra due persone dello stesso sesso.
Credo che non sia un caso il fatto che le polemiche legate alle tue nozze siano venute fuori in questi giorni, quando ancora abbiamo nei nostri cuori le parole che la liturgia ci propone in occasione della Pentecoste.  Credo che non sia un caso, perché sono convinto che, attraverso la tua vicenda, lo Spirito Santo ci chiami a fare qualcosa per la sua chiesa.
Lo chiede a te che sei chiamato a non lasciare la tua comunità nonostante le parole che il parroco ti ha rivolto.
Lo chiede a noi tutti, invitandoci a esprimerti la nostra vicinanza, la nostra amicizia e la nostra solidarietà.
Lo chiede agli uomini di chiesa, sollecitandoli a mettersi innanzi tutto in ascolto e a non esprimere giudizi affettati su situazioni che conoscono solo per sentito dire.
Un saluto cordiale a te, al tuo compagno e al tuo parroco.