mercoledì 28 giugno 2017

UNA CORAGGIOSA DECISIONE DEL PAPA



Pedofilia, il Papa riduce allo stato laicale don Mauro Inzoli


La «tolleranza zero» di Francesco contro tutti i sacerdoti macchiati del crimine di abusi su minori - scempio pari alla celebrazione di una «messa nera» - ha investito ora don Mauro Inzoli, già condannato nel 2016 a 4 anni e 9 mesi per pedofilia. Il sacerdote, esponente di Comunione e Liberazione, è stato ridotto dal Pontefice allo stato laicale. “Spretato”, secondo il linguaggio comune. 
Il provvedimento è stato stabilito nei giorni scorsi e comunicato in giornata dal vescovo di Crema, Daniele Giannotti, in una lettera pubblicata sul sito della diocesi in cui Inzoli era incardinato. «Carissime e carissimi tutti, nei giorni scorsi, la Congregazione per la Dottrina della Fede mi ha comunicato la decisione, presa da Papa Francesco il 20 maggio scorso con sentenza definitiva, di dimettere don Mauro Inzoli dallo stato clericale», si legge nella coraggiosa nota di Giannotti. Coraggiosa perché mai un vescovo aveva comunicato in così totale trasparenza ai fedeli il tipo di provvedimento preso dalla Santa Sede nei confronti di un prete pedofilo.  
«Non possiamo pensare – scrive il vescovo - che il Papa sia giunto a una decisione così grave senza aver vagliato attentamente davanti a Dio tutti gli elementi in gioco, per arrivare a una scelta che fosse per il bene della Chiesa e al tempo stesso per il bene di don Mauro: perché nessuna pena, nella Chiesa, può essere inflitta se non in vista della salvezza delle anime, che può passare anche attraverso una pena così grave, la più grave che possa essere inflitta a un sacerdote». Il presule invita ad accogliere dunque «con piena docilità al Papa questa decisione, custodendola prima di tutto nel santuario della preghiera». 
Il provvedimento di Papa Bergoglio è l’ultimo capitolo di una oscura vicenda che aveva investito la Chiesa lombarda e il movimento di Comunione e Liberazione del quale Inzoli è stato per una trentina d’anni esponente di spicco, nonché responsabile della Gioventù studentesca che riuniva il lato più giovane di CL.  
È proprio lì che il sacerdote, anche ex responsabile della Compagnia delle Opere di Cremona e Crema e tra i fondatori del Banco Alimentare, adescava le sue vittime. Lo faceva durante le confessioni, durante le gite fuori porta, negli alberghi dei soggiorni estivi e addirittura in ospedale. Tanto che gli stessi ragazzi si erano quasi “abituati” a questi comportamenti anomali di don Mauro al punto da scherzarci sopra, come si leggeva nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Cremona. Su di lui le chiacchiere e barzellette si sprecavano e anche molti genitori delle vittime pur accorgendosi di certe stranezze non avevano avuto la forza di reagire, vittime come i figli di una «forte sottomissione psicologica» da parte di quest’uomo così carismatico che amava circondarsi dal lusso (“don Mercedes” era il suo soprannome semi-ufficiale). 
Inzoli, scriveva infatti il gup Letizia Platé, agiva «con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani nei momenti di confidenza delle proprie problematiche personali ed anche nel corso del sacramento della Confessione, ammantando talora le proprie condotte di significato religioso così confondendo ulteriormente i giovani». Ad esempio, giustificando i baci, le carezze, i palpeggiamenti con frasi del Vecchio Testamento. 
Per il prete erano stati chiesti 6 anni di reclusione dal procuratore del Tribunale di Cremona, che tuttavia aveva tenuto in considerazione lo sconto di un terzo di pena previsto per il rito abbreviato e per l’attenuante relativa ai risarcimenti. Don Mauro Inzoli aveva infatti risarcito di 25 mila euro a testa le vittime: cinque ragazzi, molestati dal 2004 al 2008, quando all’epoca avevano 12 anni il più piccolo, 16 anni il più grande. I casi, però, a partire dagli anni ’90 sarebbero molti di più, circa quindici, finiti ormai in prescrizione. 
Don Mauro Inzoli è stato quindi condannato a 4 anni e nove mesi insieme al divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori. Già negli anni precedenti la Congregazione per la Dottrina della Fede lo aveva sospeso «in considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo provocato da abusi su minori». Per primo fu Benedetto XVI a infliggere una sanzione della riduzione allo stato laicale; Papa Francesco, il 27 giugno 2014, gli aveva invece imposto di condurre una «vita di preghiera e di umile riservatezza come segni di conversione e di penitenza». Quasi una seconda chance da parte del Pontefice argentino.  
Ma don Mauro non si era fatto problemi a mostrarsi in pubblico nel gennaio 2015, seduto in seconda fila ad un convegno sulla “famiglia tradizionale” della Regione Lombardia. Il fatto aveva provocato grande scalpore ed era stato interpretato da molti come una chiara provocazione.