martedì 13 giugno 2017

Un'emergenza e cento illusioni

DICE bene Carmine Pinto, presidente degli oncologi italiani (Aiom), quando parla di «criticità urgenti che rischiano di compromettere la qualità dell'assistenza». Lo ha detto tra le pieghe del meeting annuale dell'American Society of Clinical Oncology che si chiude in queste ore a Chicago. Dove la sostenibilità delle terapie anticancro è stato il file rouge delle conversazioni private e il tema di molte sessioni pubbliche di lavoro, giacché non è un tema solo italiano, e riguarda il mondo intero.
Ma Pinto ha in mente l'Italia e annota che siamo tra i primi paesi al mondo per numero di guarigioni, «perché il nostro sistema, basato sul principio di universalità, è efficiente grazie alle eccellenze ospedaliere» ma, appunto, è a rischio. I lettori di Rsalute ormai lo sanno: il costo per il Ssn dei farmaci anticancro è ingestibile. Nel 2016 abbiamo speso 4 miliardi e mezzo per questo. Una spesa che fa sballare tutti i budget. Perciò il governo si è inventato un fondo aggiuntivo di 500 milioni l'anno per gli innovativi oncologici, e noi abbiamo espresso le nostre riserve perché coi fondi speciali non si risolve un problema strutturale. Infatti dei 500 milioni speciali messi a disposizione nel 2016 ne sono stati spesi 342.469.428 (fonte Aifa) a riprova del fatto che a far saltare il banco non sono i "nuovissimi" farmaci ma tutta la spesa farmaceutica per l'oncologia. Che però è molto controllata. Gli oncologi dicono che non c'è nessuna inappropriatezza, ma che, invece, si buttano soldi in altri settori della lotta al cancro. «Il 15% degli esami è improprio», dettaglia ancora Pinto. Che aggiunge: «e moltissima chirurgia si potrebbe evitare». Dare una governance al costo della guerra al cancro significherebbe tagliare Tac e risonanze inutili, ma che i medici prescrivono per coprirsi le spalle dai rischi di diagnosi inappropriate e ormai i pazienti pretendono; così come significherebbe sindacare tra i chirurghi che "aprono" anche quando non è il caso. Togliere via massa tumorale è il must, ma, dicono oggi gli oncologi: è davvero sempre giusto farlo? La parola passa ai chirurghi. Da un lato, però, c'è la natura antropologica del loro mestiere: tagliare, aprire, risolvere col bisturi. E dall'altro, ancora, le aspettative dei malati, senza bisturi non c'è domani. Insomma, l'emergenza c'è ma pensare di risolverla con una governance razionale dei cento fronti della lotta al cancro resta per ora un'illusione.
Daniela Minerva

(la Repubblica 6 giugno)