sabato 15 luglio 2017

Conoscere con la testa, conoscere con il cuore
Luca 24, 13-35 … Riconobbero Gesù risorto mentre spezzava il pane …

La disillusione ci accompagna nella vita, nel lavoro, nell'impegno sociale, nelle amicizie, negli amori, anche nella religione. I due discepoli di Emmaus sono l'icona più rappresentativa della disillusione, prima, e poi del reinnamoramento. Disillusi del loro maestro, Gesù. Le parole di Gesù avevano suscitato entusiasmo e loro avevano riposto la loro fiducia in quell'uomo buono e forte. Ma ecco il giorno della grande delusione: il maestro forte si lascia condannare come un debole, senza reagire; il maestro buono è abbandonato anche dai suoi amici; il maestro che annuncia la vita, muore. Perché seguire un maestro che si lascia crocifiggere? Già quella prima Pasqua di Risurrezione fu accompagnata da dubbi, domande, incertezze.
Come tutti i disillusi, anche i discepoli di Emmaus cercano di dimenticare e di tagliare i ponti con quanto ricordava la loro storia con Gesù. Stavano ritornando a casa, a Emmaus, quando accadde qualcosa, incontrando lungo la strada il maestro risorto. «Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo». Continuavano a misurare la loro storia con Gesù con occhi lontani dagli occhi della resurrezione. Ma, appena risentirono Gesù di nuovo presente entrarono nella vera fede che non è più condizionata dal vedere con gli occhi, ma dal sentire con il cuore. «Si alzarono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme con una nuova fiducia e speranza». Due discepoli oltre la disillusione.
Questo racconto di Luca è tra i più belli e meno sicuri dei Vangeli. Tra i più belli, perché la visione dei due discepoli di Emmaus è una splendida messa in scena dei simboli cristiani: la memoria della Passione, la cena, il pane e il vino benedetto. Una vera celebrazione eucaristica. Ma anche uno tra i meno sicuri, perché Gesù era stato crocifisso dai Romani e non dai grandi sacerdoti e capi del popolo, come racconta il vangelo di Luca. Quanto ai due discepoli, il racconto non arreca molto di certo, poiché i testimoni e i luoghi delle apparizioni di Gesù risorto differiscono secondo i Vangeli e quello di Marco nella sua composizione iniziale non ne riportava alcuna.
Ma dunque che cosa rimane della Resurrezione di Gesù? Rimangono gli effetti, le trasformazioni di quanti hanno vissuto quella esperienza, la forza che ne è derivata, il cambiamento dei discepoli, il fascino del Maestro, la rivincita sulla disillusione. Tutti avevano solo visto la tomba vuota; ma era stato sufficiente per credere.
Anche dei due discepoli di Emmaus ci interessa la loro trasformazione esistenziale, tanto da essere diventati l'icona più rappresentativa della disillusione e poi dell'entusiasmo. Disillusi prima e poi di nuovo reinnamorati del loro maestro.
Gesù dovette ripetere i gesti e le parole dell'Ultima Cena per farsi riconoscere da risorto. Lo riconobbero quando, sedutisi a tavola, Gesù benedisse e spezzò il pane. Ma, appena lo riconobbero, sparì dai loro occhi. Videro per un attimo il volto di Gesù risorto. Poi, quando non lo videro più, entrarono nella vera fede che non è più condizionata dal vedere con gli occhi, ma dal sentire con il cuore. «Si alzarono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme con una nuova fiducia e speranza». Oltre la disillusione.
Devo confessare che fin da bambino, non capivo questa cosa: i discepoli, e prima ancora Maria di Magdala, quando videro Gesù risorto non lo riconoscevano più. Eppure il Gesù risorto era lo stesso Gesù che aveva vissuto con loro. Proprio perché Maria e i discepoli non riconoscevano Gesù, tutto ci dice che la risurrezione richiede occhi diversi. Solo se io risorgo posso vedere Gesù Risorto. San Paolo scrive una cosa sorprendente: «Se i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto» (1aCorinti 15,16).
A volte, spieghiamo questa affermazione di Paolo all'incontrario. Se io non risorgo, neppure Gesù risorge in me. La risurrezione di Gesù comprende la mia, e la mia risurrezione comprende quella di Gesù: non sono separabili. È comprensibile allora che i discepoli non potessero riconoscere il volto di Gesù risorto. Non perché era un volto trasfigurato, ma perché senza la propria resurrezione non si può riconoscere il volto di Gesù risorto. Solo a partire dalla propria esperienza della risurrezione si può comprendere la resurrezione di Gesù. I discepoli di Emmaus sapevano tutto, in teoria, ma non ne avevano fatto l'esperienza. Infatti, quando le cose che sapevano accaddero davvero, non le riconobbero.
La storia dei discepoli di Emmaus che lasciano Gerusalemme per disillusione, come è raccontata da Luca, è la più bella metafora della religione, che non si può insegnare e imparare in teoria, perché si realizza solo aprendosi allo stupore di ciò che già si sa; aprirsi alla meraviglia della verità scritta nel cuore della vita di ciascuno e di ciascuna cosa. La religione appartiene all'esperienza personale. «Allora si aprirono a loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista». Aperti gli occhi, non c'è più bisogno di nessun'altra prova. Aperti gli occhi, non c'è più bisogno di vedere come un oggetto di fede il volto di Gesù risorto fino ad allora non riconosciuto. La risurrezione si fa esperienza personale, inseparabile, per sempre. Conoscere con la testa e conoscere col cuore. Molte cose si conoscono solo con il cuore.
I discepoli di Emmaus sapevano già tutto, in teoria: conoscevano le scritture, la predicazione di Gesù, sapevano che il maestro aveva detto che sarebbe risorto. Sapevano tutto, ma era un sapere e un conoscere con la testa. Quando le cose che sapevano accaddero davvero, non le riconobbero. Allorché, deposto ogni sapere teorico, seduti a tavola, videro Gesù spezzare il pane, allora lo riconobbero. Allora si risvegliarono allo stupore di ciò che sapevano già.
Luigi Berzano

(Tempi di Fraternità, Giugno 2017)