“Se
voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri,
allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e
oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni
sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
Don
Lorenzo Milani
Immigrati.
Un secolo fa
Una
ciocca di capelli, una vecchia chiave che aveva perduto la sua porta,
una pipa che aveva perduto la sua bocca, il nome di qualcuno ricamato
su un fazzoletto, il ritratto di qualcuno in una cornice ovale, una
coperta che era stata condivisa e altre cose e cosette erano avvolte
fra i vestiti nelle valigie degli esiliati. Non era molto quello che
ci stava in ogni valigia ma in ognuna ci stava un mondo. Sbilenca,
sconquassata, legata con lo spago o chiusa male da serrature
rugginose, ogni valigia era come tutte le altre, ma nessuna era
uguale a nessun'altra. Gli uomini e le donne giunti da lontano si
lasciavano portare, come le loro valigie, da una fila all'altra, e si
stipavano, come loro, in attesa. Venivano da villaggi invisibili
sulla cartina geografica e, dopo la lunga traversata, erano sbarcati
a Ellis Island. Erano a un passo dalla Statua della libertà, che era
arrivata un po' prima di loro al porto di New York. Sull'isola era in
funzione il filtro. I custodi della terra promessa interrogavano e
classificavano gli immigranti, gli auscultavano il cuore e i polmoni,
gli studiavano le palpebre, la bocca e le dita dei piedi, gli
pesavano e gli misuravano la pressione, la febbre, la statura e
l'intelligenza. Gli esami dell' intelligenza erano i più difficili.
Molti dei neo arrivati non sapevano scrivere o riuscivano solo a
balbettare parole incomprensibili in lingue sconosciute. Per definire
il loro quoziente intellettivo dovevano rispondere, tra le altre
domande, a come si spazzava una scala: si spazzava verso l'alto,
verso il basso o verso i bordi?
Eduardo
Galeano - da "Le labbra del tempo", Sperling & Kupfer
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